Il faccia a faccia si avvicina: una metà dicembre di fuoco per le banche centrali

Il faccia a faccia tra Stati Uniti ed Europa si avvicina. La data è fissata tra il 14 e 16 dicembre quando, rispettivamente, Federal Reserve e Banca centrale europea, terranno l’ultimo meeting di politica monetaria del 2021

Il 2021, un anno appassionante sui mercati, che ha ospitato il ritorno dell’inflazione dopo un lungo periodo di assenza e che ha visto l’azione condivisa delle banche centrali accostarsi a quella estremamente accomodante di governi e istituzioni, uniti sotto un unico obiettivo chiamato ripresa post pandemica.

Nel meeting di novembre 2021, la Fed di Jerome Powell ha annunciato l’avvio del tapering, il rientro progressivo dalle misure accomodanti di stimolo monetario: il piano da 120 miliardi di acquisti mensili (o Quantitative easing, Qe) verrà progressivamente ridotto fino ad azzerarsi a giugno 2022, andando a tagliare l’acquisto di titoli del Tesoro (a un ritmo di 10 miliardi per mese) e titoli garantiti da ipoteca (5 miliardi per mese), per un totale di 15 miliardi in meno al mese per otto mesi. Come emerge dai verbali del meeting, all’interno del board Fed c’è però chi già chiede una fine anticipata.

L’economia ha ancora i riccioli d’oro?

“Il ciclo economico” commenta Nikolaj Schmidt, Chief international economist di T. Rowe Price “resta il punto di partenza più utile per qualsiasi dibattito sui mercati e, in generale, l’economia globale si trova tuttora sostanzialmente agli inizi della fase di espansione”. È quel contesto che spesso viene definito come Goldilocks Economy, l’economia dai riccioli d’oro, una situazione ideale che vede la combinazione di crescita economica, tassi bassi e inflazione sotto controllo. Per il momento, “tale contesto consente alle banche centrali di confermare un atteggiamento ancora accomodante sul fronte della politica monetaria”. Ma qualcosa potrebbe cambiare.

Cosa succederà al rialzo dei tassi?

Alcuni istituti centrali hanno già iniziato a muovere i primi passi nella direzione del restringimento. È il caso della Norvegia, prima tra le economie sviluppate ad avere alzato il costo del denaro lo scorso settembre; della Polonia, che a inizio novembre ha rincarato i tassi di 75 punti base, dopo il rialzo di 4 punti base a ottobre; della Corea del Sud, che, prima nazione post pandemia a intervenire a rialzo, ha toccato i tassi per la seconda volta in tre mesi a novembre. Le ragioni dietro a tali azioni sono le medesime: provare a bloccare le pressioni inflazionistiche e la crescita dei debiti privati.

Sebbene l’azione stringente condotta da alcune banche centrali sul supporto all’economia abbia sortito effetti contenuti, il ritiro del sostegno monetario americano sta però per cambiare le carte in tavola. “Quando si inietta denaro nell’economia attraverso l’allentamento quantitativo (Qe), gli investitori si ritrovano con un eccesso di liquidità e sono ben contenti di utilizzarla nel momento in cui si verificano delle correzioni, che di conseguenza tenderanno a essere poco profonde mentre la volatilità resterà bassa. Quando però il Qe viene gradualmente ridotto, la crescita delle riserve liquide degli investitori rallenta. Le disponibilità utilizzabili durante la correzione successiva sono quindi minori, cosa che rende le correzioni più durature, con un aumento della volatilità” spiega Schmidt.

Banche centrali al faccia a faccia di dicembre

È inoltre probabile che, dopo l’azione della Federal Reserve, anche la Bce, come già successo in passato, prenda esempio dall’istituto americano, iniziando a ventilare la possibilità di un restringimento dei rifornimenti liquidi all’economia del Vecchio Continente. Il meeting di dicembre sarà cruciale a proposito per iniziare ad anticipare come Francoforte si comporterà a marzo 2022, al termine del Piano emergenziale pandemico (Pepp) da 1850 miliardi di euro.

A che piano sta il tetto del debito americano?

Intanto, la politica fiscale resta ancora ampiamente a sostegno dell’economia. Tra le incognite di breve termine, a dicembre, l’innalzamento del tetto del debito americano, con Repubblicani e Democratici che probabilmente, come già a ottobre, sfoceranno in un accordo dell’ultima ora, correndo un duplice rischio: volatilità di mercato e mancato accordo entro i tempi. “Se gli Stati Uniti non riuscissero a fare fronte agli impegni di pagamento degli interessi a causa di un’impasse sul tetto del debito, la paura del rischio potrebbe scuotere i mercati”.
L’Europa resta invece incentrata sulle risorse legate al piano Next Generation Eu da 750 miliardi e alla capacità delle singole economie di tradurre tali fondi in investimenti produttivi.

Complessivamente, il ciclo economico resta al momento favorevole e permangono ampi deficit di bilancio. “Qualsiasi oscillazione dei prezzi offrirà buone opportunità agli investitori che gestiscono i portafogli in modo da poter approfittare di eventuali arretramenti nel rischio” conclude l’esperto di T. Rowe Price. Ma attenzione alla volatilità.

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