La rivoluzione dentro la rivoluzione: la Cina non può perdere il controllo

Tecnologia e regolamentazione: per la Cina la rivoluzione è dentro la rivoluzione, con Pechino che si prepara ad affrontare uno dei periodi più sfidanti del nuovo millennio, che ne determinerà il futuro successo o insuccesso

L’obiettivo del governo di Pechino è chiaro: utilizzare qualsiasi leva il Partito abbia a disposizione per portare il Paese ad attestarsi come potenza mondiale, a partire dalla sua popolosità: nel 2020, secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite, la Cina ha superato 1,4 miliardi di persone, pari a circa il 20% della popolazione globale, con un’età media di 38,4 anni.
Una crescita che dovrà affrontare problemi propri di una regione cresciuta ad un ritmo elevato in un periodo di tempo ridotto (quale, ad esempio, la sostenibilità del livello di debito in capo alle aziende private) e che avrà in ogni sua declinazione un comun denominatore: il fatto ch’essa non sfugga al controllo del Governo.

La stretta del Governo di Pechino

La stretta sulla regolamentazione in Cina registrata a partire dall’estate ha un chiaro obiettivo: regolamentare il cambiamento, che si sostanzia nelle aree ritenute cruciali per l’economia. Dall’epayments (con lo stop alla quotazione di Ant, società finanziaria affiliata al gruppo Alibaba), al mondo dell’ecommerce (con la multa comminata ad Alibaba per abuso di posizione dominante), al tutoring privato (con il blocco delle attività finalizzate alla non sottrazione di talenti all’istruzione pubblica), al gaming online (con il vincolo delle tre ore settimanali di gioco agli under18), fino agli algoritmi (utilizzati dalle big corporate nel processo di targetizzazione della cliantela e raccolta dati). Disposizioni severe, che hanno visto crescere la partecipazione del governo all’interno dell’azionariato aziendale, specie nel caso delle big tech.

La regolamentazione non deve fare paura

Sebbene la volatilità registrata sul susseguirsi di notizie abbia aperto delle domande sulla futura stabilità del mercato cinese, “questa stretta sulla regolamentazione non deve far paura” commenta Riccardo Volpi, Fund Manager di Pharus, per almeno quattro motivi.
Anzitutto, “si tratta di una regolamentazione ciclica che avviene regolarmente in Cina”.
In secondo luogo, prosegue Volpi, “la regolamentazione si basa sul fatto che il modello di sviluppo economico non è lasciato al mercato e quindi alla famosa ‘mano invisibile’ di Adam Smith, ma al controllo del governo. Il governo attua infatti politiche per modellare la “distruzione creativa” (Shumpeter) che caratterizza l’evoluzione economica. L’obiettivo del governo è gestire il passaggio da un’economia basata su settori economici tradizionali (specie quello finanziario e industriale), al settore tech. Ogni passaggio da un settore economico all’altro crea vincitori e vinti. Mentre nei Paesi sviluppati questo passaggio viene lasciato al mercato, in Cina c’è regolamentazione”.
“In terza analisi” continua Stefano Reali, Fund & Portfolio manager di Pharus, “questo interventismo rende la Cina il primo Paese ad attuare delle politiche di regolamentazione nei confronti delle aziende tecnologiche. E’ difficile pensare che anche gli altri Paesi non dovranno intervenire per regolare alcuni meccanismi caratteristici dell’industria tech che non sono ancora regolati. Interventi regolatori questi che hanno creato un gap di performance e di valutazioni, spinto anche da un eccesso di negatività che rende l’asset class interessante” (qui l’analisi approfondita di Pharus)
Infine, “rifacendoci al punto precedente, per tornare a essere una potenza mondiale, la Cina deve per forza passare dalla tecnologia”.

 
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