Depositi a regola d’arte: custodire e tramandare la bellezza

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Che cosa si intende per deposito, se si ha a che fare con beni preziosi? Al di là dei basilari requisiti di temperatura e pulizia, esistono delle altre caratteristiche necessarie per la loro corretta implementazione? Quali possono essere i benefici per la collettività di depositi allestiti a regola d’arte? Le risposte nel convegno “Prevenzione del rischio in musei, depositi ed archivi”, tenutosi presso la sede di Open Care a Milano.

Washington, 1977. Prima di quell’anno nessuno avrebbe mai pensato di aprire al pubblico i depositi dei musei. Nella capitale degli Stati Uniti però, un simposio rivoluzionava per sempre la visione del deposito di opere d’arte. Dopo quell’evento seminale, i depositi dello Smithsonian della stessa città aprirono finalmente al pubblico, facendo scuola. E il concetto di deposito si emancipò da quello di magazzino, inaugurando una nuova stagione di dibattiti su questo elemento così prezioso per la sopravvivenza e la trasmissione di tutti i pleasure asset (non solo dipinti e sculture, ma anche arredi e tessili, beni d’arte applicata, archivi, gioielli e oggetti preziosi, manufatti artistici in generale). Dai dibattiti e dalle riflessioni emerse in seguito ai seminari di Washington, sono scaturiti diversi documenti di indirizzo, come la guida pratica RE-ORG Gael de Guichen del 2017, o la più recente (15 marzo 2019), frutto della giornata di studi dedicata ai depositi museali a Matera, organizzata da Icom (International Council of Museum) Italia. Le ultime linee guida ministeriali afferiscono al recovery art del Pnrr e sono volte all’individuazione, l’adeguamento, la progettazione e l’allestimento di depositi per il ricovero temporaneo (in caso di calamità naturali) di beni culturali mobili, con annessi laboratori di restauro (decreto del direttore generale del 9 marzo 2022). 

Ma cosa si intende esattamente per deposito? Lo ha spiegato Isabella Villafranca, Direttore Scientifico del Dipartimento di Conservazione e Restauro di Open Care Servizi per l’Arte: «Un luogo che svolge la primaria funzione di tramandare le opere d’arte tramite la conservazione. Nati come magazzini, stratificatisi nel tempo, generalmente non erano pensati come luoghi per ricoverare le opere, che spesso vi erano semplicemente accatastate, troppo numerose. Solo la moderna museologia li ha elevati a dignità museale, come spazi di studio, ricerca, approfondimento culturale. Raggiungere questo livello però non è sempre fattibile». L’occasione di questa esemplificazione è stata quella del convegno Prevenzione del rischio in musei, depositi ed archivi svoltosi presso la sede di Open Care a Milano il 30 novembre 2022. Un evento nato dalla collaborazione tra Mazzini Lab, Fercam Fine Art e Open Care con il supporto di MUSEION, SOS Archivi e Fondazione 3M. La stessa dr.ssa Villafranca ricorda che – in base a dati recenti di Unesco e Iccrom – è assodato che l’80% degli oggetti museali risulta albergato nei depositi; che il 70% è riempito oltre la sua capacità e che il 60% di questi spazi è insufficiente e/o inadeguato, anche dal punto di vista della sicurezza. Tanto è vero che il 10% è stato oggetto di furti. Per i depositi non museali la situazione è ancora peggiore

Open Care, oltre ai dipartimenti di restauro, logistica, art advisory, può vantare 8000 metri quadri di depositi climatizzati di massima sicurezza (celle private, depositi collettivi, depositi grandi opere, cassette e armadi di sicurezza). La società offre altresì servizi consulenziali volti all’organizzazione, progettazione, ri-funzionalizzazione di depositi e archivi di enti e aziende con un approccio integrato che comprende attività di conservazione, logistica e valutazione. Senza perdere di vista quanto sia realisticamente conseguibile, ricercando soluzioni ad hoc. Prosegue Isabella Villafranca: prima di intraprendere un nuovo progetto di progettazione o gestione di deposito o archivio esterno «è opportuno effettuare un’analisi preliminare per definire le priorità e gli obiettivi che si è in grado di raggiungere. A volte può essere più sensato porsi obiettivi meno ambiziosi, implementando azioni di scala ridotta, consequenziali; oppure cercando di allungare il più possibile l’orizzonte temporale». Le criticità che inevitabilmente si presentano non devono impedire di dare soluzioni ottimali: effettuare delle scelte in tal senso spesso significa fare i conti con spazi inadeguati ai requisiti conservativi, con la carenza di personale (soprattutto nelle istituzioni), con risorse finanziarie limitate.» 

«Come si procede operativamente? Si parte analizzando “contenitore e contenuto” delle collezioni, il database (auspicabilmente informatizzato), la rispondenza fra i dati in esso contenuti e la collezione. Secondo una indagine di Icom, il 25% dei musei indagati (1500 enti in totale) non risulta avere un database completo. Le soluzioni adottate devono garantire la sicurezza sia del contenitore che del contenuto, almeno per grandi gruppi di rischi, che possono essere catastrofici o antropici, ovvero causati dall’uomo. Sono ricorrenti anche i rischi di natura fisico-chimica-biologica. Si pensi all’operato distruttivo di ratti, scorpioni, insetti xilofagi, muffe che entrano nel circolo dell’aerazione, con la poco allettante prospettiva di trovarsi in breve tutto il deposito infestato. Gli ambienti devono essere dotati di arredi adeguati (cassettiere se necessario, rastrelliere verniciate a fuoco, ecc..). Gli spazi, anche quelli esterni, vanno organizzati; la distribuzione dei beni deve essere funzionale: «Per avere accesso a un bene non deve essere necessario movimentarne altri dieci. Devono essere previsti adeguati spazi di manovra interni ed esterni. Allo stesso tempo, deve essere considerato lo specifico profilo di rischio. Solo per fare un esempio: una statua in bronzo, per quanto importante e preziosa, è meno facilmente trafugabile della Cassetta Farnese e meno deperibile di un antico manoscritto», conclude Isabella Villafranca. La conservazione va programmata ed è il risultato di un progetto organico e razionale

Conoscere il valore economico e testimoniale dei beni in deposito è essenziale per sviluppare strategie di mitigazione del rischio. Per dirla con le parole di Lorenzo Bruschi, direttore di Open Care Art Advisory: «Una corretta valutazione diventa parte integrante della prevenzione e della gestione del rischio assicurativo, perché consente di definire valori e priorità. Quando il patrimonio è eterogeneo, come accade spesso con gli enti pubblici, che comprendono beni di diversa epoca, natura e valore, risulta fondamentale poter contare su esperti con diverse specializzazioni e impostare il lavoro con metodo.» Specifica ancora Bruschi: «I criteri di stima sono variabili, adattabili, si possono differenziare a seconda dell’obiettivo da raggiungere (spesso da centrare in tempi brevi). In caso di collezioni particolarmente vaste ed eterogenee, è possibile classificare i beni per categoria e per cluster di valore, concentrandosi sulla stima puntuale dei beni più preziosi (che spesso rappresentano una percentuale considerevole del valore complessivo), attribuendo alle restanti opere un valore medio di stima. Stime più puntuali possono essere programmate per successivi lotti nel tempo. Tali indicazioni di valore possono essere utili anche ai fini di pianificare la distribuzione dei beni negli spazi.» 

C’è inoltre un guadagno inatteso derivante dalla valorizzazione dei depositi. La creazione di depositi per l’arte può contribuire alla riqualificazione del patrimonio edilizio, recuperando immobili in disuso e restituendoli alla collettività con funzioni di tutela e diffusione dell’arte e della cultura. Ne è un esempio il cinema moderno di Campi Bisenzio (FI), per cui Open Care ha messo in campo un sofisticato studio di fattibilità su richiesta della diocesi di Firenze per la custodia del suo patrimonio artistico «di indubbio valore, estremamente differenziato», come illustra Maria Bombelli, consulente senior di Open Care. Possono essere rifunzionalizzati non solo i cinema, ma anche i magazzini, le caserme, i poli industriali dismessi e altri immobili abbandonati. Conclude Bombelli: «Archivi e depositi aperti (open storage) possono essere considerati acceleratori di un nuovo processo di valorizzazione urbana». Godono inoltre di indubbi elementi di vantaggio “operativo”: si pensi solo alla loro compatibilità con i vincoli di destinazione all’uso pubblico degli immobili e con porzioni immobiliari di scarso valore commerciale. Nel pieno segno di uno sviluppo economicamente, ambientalmente e socialmente sostenibile.

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