Dalla passione per lo skateboard, Watson vira verso la musica e l’arte, apre un profilo personale su Instagram (che oggi vanta più di 2 milioni di followers, @love.watts), e poi registra l’omonimo brand.
Inizialmente il suo account ospita immagini di lavori di artisti (per lo più alle prime esperienze, ma in alcuni casi anche già noti), selezionate secondo il personale gusto del “curatore online” stesso.
Il sito è soggetto alle leggi dello Stato della California, ma la protezione fornita agli artisti “in mostra” è molto simile a quella che, ragionevolmente, riceverebbero in Italia: visto il proliferare di fenomeni illeciti – soprattutto, di illecita appropriazione e sfruttamento delle immagini di opere d’arte -, la galleria (anche quella online) si assicura di offrire all’artista un’adeguata tutela, e, di contro, fa sì che egli scelga solo partner commerciali qualificati.
La storia di Watson e della sua idea di dare visibilità, anche commerciale, a giovani artisti è fortunatamente a lieto fine, ma sappiamo che – ahinoi – non sempre funziona così.
E questo rischio in genere aumenta se la galleria o il curatore, più o meno accreditati, operano online, a prescindere che si tratti di social media account con cui si fa “semplicemente” marketing, o di veri e propri e-commerce, che consentono di cioè di acquistare le opere d’arte.
In ogni caso, il dato fondamentale da tenere a mente è sempre lo stesso: ogni atto di riproduzione (vale a dire, di moltiplicazione in copia) di un’opera è prerogativa esclusiva del suo autore.
In Italia, questo principio è espresso dalla legge n. 633/1941 in tema di protezione del diritto d’autore, al suo art. 13.
E ciò dovrà accadere per ogni riproduzione, a meno che l’artista non dia una autorizzazione più ampia, che copra cioè più atti riproduttivi.
Ancora, la violazione dell’esclusivo diritto di sfruttamento economico di un’opera d’arte si verifica non solo quando l’opera è copiata integralmente, ma anche nel caso in cui ne vengano replicati i tratti essenziali (v. Cassazione 28/11/2011, n. 25173).
Riassumendo: verificato che ci si trovi in presenza di un atto creativo, seppur minimo, anche eventualmente formato da idee e nozioni semplici, la galleria (virtuale o non) deve sempre offrire all’artista una tutela idonea.
Senza queste precauzioni, si apre il varco a una serie praticamente illimitata di azioni lesive delle creazioni dell’artista, così come dell’immagine e della reputazione di quest’ultimo.
E a quel punto non è difficile comprendere quanto possa essere poi complicato arginare la circolazione in rete della replica non autorizzata dell’immagine di un’opera.
Quando l’artista scopre che una sua creazione è stata abusivamente riprodotta e divulgata sul web, magari a fini commerciali o addirittura in associazione con prodotti o servizi che non siano “di suo gradimento”, deve infatti dar corso a una serie consistente e potenzialmente infinita di azioni, che vanno dalla diffida all’autore della illecita riproduzione (autore dell’illecito che, peraltro, va prima identificato – cosa non sempre agevole, quando si parla dell’internet) ad una vera e propria causa legale, con i tempi e costi che ne conseguono.
In conclusione, l’artista, soprattutto quello giovane, deve essere il primo a proteggere se stesso: prima di consentire a un terzo di riprodurre e diffondere le immagini delle sue opere, dovrà verificare che questa attività sia adeguatamente contestualizzata, circoscritta e regolamentata per iscritto, nonché, se del caso, pretendere che alla cessione dei diritti di sfruttamento economico dell’opera corrisponda il pagamento di un corrispettivo.
Le idee sono preziose, e meritano rispetto, soprattutto quando sono … artistiche!