La valutazione del bitcoin? Come uno Stradivari: impossibile da attualizzare

Mark Casey, gestore portafoglio azionario, e Douglas Upton, analista investimenti azionari di Capital Group, hanno analizzato pro e contro di quella che si è ormai attestata come la rivelazione finanziaria del secolo, nonché il caposaldo di un movimento, quello della digitalizzazione valutaria, che terrà banco negli anni a venire

La valutazione del bitcoin? La medesima di un violino Stradivari o di un oggetto da collezione: impossibile da attualizzare.

La valutazione del bitcoin

“La valutazione del bitcoin è un vero paradosso” spiega Mark Casey di Capital Group. Da un lato, è un attivo che non potrà mai generare utili in sé e che “può generare profitti solo in base a ciò che le persone sono disposte a pagare per averlo a loro volta”. In altre parole, “non è possibile attualizzare il flusso di cassa del bitcoin proprio come non è possibile attualizzare il flusso di cassa dell’oro, di un violino Stradivari, delle belle arti”.
D’altro canto, il bitcoin dispone di proprietà uniche: ve n’è una quantità finita (il bitcoin è stato progettato sul principio della fornitura limitata, fissata a 21 milioni, in modo che nessuna persona o governo possa diluire le posizioni aumentando il numero di moneta in circolazione); è una forma di scambio aperta e decentralizzata, che non può essere bloccata o censurata dall’esterno, né dal sistema finanziario ufficiale; è difficile da confiscare: nella realtà, esiste infatti solo una password.

Bitcoin riserva di valore?

Per le caratteristiche che possiede, con il tempo, il bitcoin è stato sempre più visto come un bene riserva di valore. “Ho seguito l’oro per molti decenni e posso dire che ho l’impressione di avere di fronte un film già visto” commenta Upton. “Il prezzo del bitcoin è stabilito dai mercati finanziari, ovvero dalle persone che lo comprano solo perché pensano che, in futuro, altri saranno disposti a pagare di più per averlo”.
Una struttura piramidale che può dare adito a un rischio: che i governi decidano di vietare il bitcoin e altre criptovalute o di limitarne l’uso. La Cina ha già provveduto al ban dell’attività di mining e scambio su valute decentralizzate, ma potrebbe accadere di nuovo qualora i governi avessero la percezione di perdere il controllo del sistema finanziario. Anche in questo caso, la storia insegna.
“Nel 1933, il governo degli Stati Uniti vietò la proprietà privata dell’oro. Era il periodo della Grande Depressione, quando il governo si appigliava a ogni leva possibile per controllare l’offerta e il costo del denaro”. La rapida crescita del bitcoin potrebbe portare ad un epilogo simile. “Credo che per i governi e le banche centrali di tutto il mondo sia inaccettabile perdere il controllo” chiosa Upton.

Tradizionale vs decentralizzato

Dopo il successo incontrato dal bitcoin nella fase pandemica da coronavirus, che ha a partire dal 2020 avvicinato i consumatori a nuove forme di acquisto e investimento online (tradottosi anche nel trading), la regina delle valute digitali potrebbe approfittare di un contesto inflazionistico più severo. “Il bitcoin è l’unica forma di denaro nella storia dell’umanità che non è soggetta a variazioni di politica monetaria e che non corre il rischio di un aumento della stampa”.
Non è tutto: in un periodo complesso per l’economia e la società, una forma di divieto da parte delle autorità centrali potrebbe in realtà accelerarne il processo di adozione, specie da parte di persone già scettiche nei confronti del sistema più tradizionale.

Un bitcoin ‘sostenibile’

Tra i punti deboli del bitcoin, ancora una volta, emerge la questione dell’impatto sull’ambiente: secondo i dati Visual Capitalist aggiornati ad aprile 2021, il dispendio di energia si attesta a 129 terawattora all’anno. Se il bitcoin fosse una nazione, si posizionerebbe al 29°posto su 196.
In un contesto di forte attenzione agli obiettivi di sostenibilità volti a ridurre l’effetto del cambiamento climatico, “ritengo che qualsiasi forma di utilizzo di energia non diretto al sostentamento delle persone sia discutibile e dovrebbe essere valutato attentamente” spiega Upton. Tra queste, anche la creazione di criptovalute.
Tuttavia, aggiunge Casey, “il software che guida il sistema bitcoin è progettato per prosperare indipendentemente dal numero di miner in circolazione, dal prezzo dei chip del computer, dal prezzo dell’energia o dal prezzo stesso della valuta. Il sistema è adattabile e varia al rialzo o al ribasso in base a queste variabili”. C’è di più: rispetto ad altre attività industriali, è tra le industrie meglio avviate per sfruttare forme intermittenti di energia (quali, ad esempio, un temporaneo eccesso di energia idroelettrica durante la stagione delle piogge). Un rapporto del 2020 dell’Università di Cambridge, mostra infatti che il 76% dei minatori di criptovalute fa affidamento per il 39% della propria attività alle energie rinnovabili per alimentare le proprie operazioni. L’energia più utilizzata, al momento, è quella idroelettrica (pari circa al 60% dell’utilizzo di rinnovabili).

E il rischio concorrenza?

Da ultima, la concorrenza. “Il bitcoin è costruito su un software open-source, quindi chiunque può farne una copia, cambiare alcune variabili e lanciare un nuovo tipo di moneta. Questo esperimento ha avuto luogo letteralmente migliaia di volte”. I proprietari di bitcoin, spiega Casey, hanno di certo preso in considerazione diverse opzioni per diversificare la propria posizione in valute digitali. Tuttavia, la stragrande maggioranza di loro ha fatto un passo indietro.
“Ritengo, quindi” conclude l’esperto di Capital Group, che il bitcoin possa sopravvivere “nella stessa forma fondamentale che ha oggi. La concorrenza non è mancata nell’ultimo decennio, ma il bitcoin continua a essere il re indiscusso delle criptovalute”.

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