Salvator mundi: caso chiuso? Il costo di un capolavoro

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A distanza di anni dalla vendita record del 2017, il quadro attribuito a Leonardo da Vinci continua a essere al centro delle cronache giudiziarie

Lo scorso 30 gennaio 2024, una giuria della U.S. District Court – Southern District Of New York ha rigettato le domande azionate da Accent Delight International LTD. e Xitrans Finance LTD. – società con sede alle Isole Vergini Britanniche e riconducibili al miliardario russo Dmitry Rybolovlev avverso la casa d’aste internazionale Sotheby’s.

La vicenda

Rybolovlev è un importante collezionista di opere d’arte che, nel corso degli anni, ha arricchito la sua collezione con numerosi capolavori per un valore di circa 2 miliardi di dollari. Fra le opere acquistate si contano Domaine d’Arnheim di Rene Magritte, Tête di Amedeo Modigliani, Wasserschlangen II Gustav Klimt, e il Salvator Mundi di Leonardo da Vinci. Al fine di poter ottenere questi capolavori, Rybolovlev si è avvalso dell’aiuto di Yves Bouvier, intermediario svizzero esperto nel mercato dell’arte.

Dopo numerosi affari conclusi insieme, tuttavia, il rapporto fra i due si è deteriorato al punto che nel 2015 Rybolovlev ha deciso di fare causa a Bouvier in plurime giurisdizioni (Monaco, Svizzera, Francia, U.S.A., Hong Kong e Singapore). La tesi sostenuta dal miliardario russo è che Bouvier lo avrebbe frodato, presentandogli delle opere da acquistare a prezzi molto più alti di quelli in realtà richiesti dai venditori e arrivando talvolta a inventarsi perfino delle trattative inesistenti al solo scopo di aumentare il proprio compenso.

Rybolovlev v. Bouvier

I procedimenti giudiziari si sono rivelati estremamente complessi e ondivaghi. Ad esempio, la magistratura di Monaco ha prima arrestato e in seguito rilasciato Bouvier. La giustizia singaporiana ha disposto la confisca internazionale dei beni di proprietà del mercante svizzero salvo poi revocarla in secondo grado dietro reclamo dell’uomo d’affari svizzero. La giustizia svizzera ha invece archiviato la domanda nei confronti di Bouvier in prima battuta, decidendo poi di riaprire il fascicolo a seguito di una valutazione per cui l’interesse pubblico per il procedimento era ancora presente e che i presunti danni causati alle società si aggiravano intorno a un miliardo di franchi svizzeri.

La linea seguita da Bouvier è stata quella di negare qualsiasi esistenza di una frode nei confronti di Rybolovlev, scegliendo curiosamente di non smentire l’accusa di aver talvolta inventato delle trattative con alcuni venditori (in quanto, a suo dire, questa sarebbe una tattica e una prassi ben diffusa nel settore). Bouvier ha invece sostenuto fermamente di non aver mai agito in qualità di agente e/o mandatario di Rybolovlev – figura che sarebbe stata vincolata ad agire nell’interesse di quest’ultimo – ma soltanto quale mercante (“dealer”). In tale veste, infatti, Bouvier sarebbe stato libero di agire come meglio ritenuto e di fissare liberamente i suoi margini di profitto.

Dopo 7 anni di udienze e deposito di atti, le parti hanno infine raggiunto un accordo, (il cui contenuto è rimasto strettamente confidenziale), che ha determinato la rinuncia di tutte le pretese sollevate da Rybolovlev.

Rybolovlev v. Sotheby’s

Contestualmente alla causa contro Bouvier, nel 2018 Rybolovlev ha fatto seguire un’azione giudiziaria negli U.S.A. avverso la casa d’aste Sotheby’s accusandola di essere stata – direttamente o indirettamente – complice dell’uomo d’affari svizzero nella realizzazione della frode avendo concluso con quest’ultimo più di 800 transazioni nel periodo 2005-2015. In particolare, il miliardario ha presunto che la casa d’aste avrebbe fornito assistenza a Bouvier nel sovrastimare 15 opere d’arte per un controvalore complessivo di circa 1 miliardo di dollari.

A marzo 2023, il Giudice del New York Southern District aveva rigettato la maggior parte delle domande formulate da Rybolovlev, ritenendo che per 11 delle 15 opere censurate non vi sarebbero state sufficienti prove per affermare un coinvolgimento di Sotheby’s nella asserita frode perpetrata da Bouvier. Per le altre quattro opere, tuttavia ha ritenuto le domande ammissibili e ha rinviato le parti a processo, consigliando tuttavia il raggiungimento di un accordo stragiudiziale, al fine di evitare un processo mediaticamente rischioso per entrambe.

Le parti hanno inizialmente accettato il consiglio del Giudice di tentare la strada della mediazione e si sono sedute al tavolo al fine di tentare di raggiungere un accordo conciliativo.

Il verdetto

Le reciproche posizioni si sono sfortunatamente rivelate troppo distanti e le parti hanno quindi deciso di proseguire il giudizio che si è concluso a favore della casa d’aste.

Segnatamente, la giuria ha rigettato le tesi propugnate da Rybolovlev ed ha ritenuto che Sotheby’s non abbia mai collaborato ad alcun tentativo di frode con Bouvier, ponendo in essere esclusivamente la sua condotta di casa d’aste: ossia porre in vendita i beni nell’interesse dei venditori, cercando di massimizzare il profitto per quest’ultimi.

A seguito della vittoria in Tribunale, scontata si è rivelata la soddisfazione della casa d’aste mentre più perplessa si è rivelata anche quella (strumentalmente?) manifestata dalla difesa del miliardario russo che, a suo dire, avrebbe comunque raggiunto l’obiettivo di sollevare il velo posto sul mercato dell’arte, rivelando la non trasparenza e la complessità della circolazione delle opere d’arte.

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In copertina: Dmitry Rybolovlev.

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