Regionalizzazione: effetti e beneficiari delle nuove rotte

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Stati Uniti e Cina stanno riorganizzando le catene di approvvigionamento con l’impatto di queste scelte che ricadrà a cascata su tutto il mondo. Vediamo i paesi che beneficiano della regionalizzazione e che tipo di impatti si prevedono sull’inflazione

Il Covid ha risvegliato la paura di rimanere completamente scollegati dal mondo, proprio per questo, uno dei piani principali post riapertura è stato quello di rilocalizzare le filiere, portandole sempre più vicine a casa. Dagli Stati Uniti alla Cina, le catene di approvvigionamento stanno subendo delle trasformazioni drastiche. Quali sono le economie che verranno favorite da questa trasformazione? Ma soprattutto, il filo che unisce Cina e Stati Uniti è pronto a spezzarsi?

Da guerra per conquistare territorio a quella per la costruzione di fabbriche

“I sussidi statunitensi stanno alimentando una guerra globale per la costruzione di nuove fabbriche e ci sono alcuni segnali che indicano che questi incentivi stanno attirando investimenti stranieri”, spiega Magdalena Polan, Head of EM macro research di PGIM Fixed Income. L’obiettivo è chiaro: avvicinare la produzione al territorio nazionale, creando partnership strategiche, come quelle con Canada, Australia e Corea del Sud, basti pensare che nel 2022 le esportazioni da Seul agli Stati Uniti hanno superato, per la prima volta in quasi due decenni, le spedizioni di merci cinesi.

La prima azienda ad attirare l’attenzione dei fondi di Washington è stata la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company che nel 2022 ha annunciato la costruzione di un secondo stabilimento in Arizona per un investimento totale previsto di 40 miliardi di dollari. Ma non è un caso isolato. La tedesca BMW ha aperto un cantiere in South Carolina, le asiatiche Hyundai e LG hanno intenzione di costruire uno stabilimento per l’impianto di batterie in Georgia.

Dal canto suo la Cina già dal 2015 ha reso disponibili dei sussidi per le industrie strategiche lanciando il piano ‘Made in China 2025’ per espandere la propria base produttiva. Le aziende in focus sono quelle dell’alta tecnologia, dai veicoli elettrici alla robotica, passando per l’intelligenza artificiale e lo sviluppo di chip per ridurre la dipendenza da altre economie.

Tra nuovi vincitori e sfide

Le nuove politiche commerciali statunitensi hanno messo in luce economie di paesi che spesso passavano solo in secondo piano: dal Canada al Messico, dalla Corea del Sud al Vietnam, passando anche per India e Australia. Questo però non significa che questi paesi non facciano più affidamento sulla Cina, quindi il filo che unisce gli Stati Uniti alla Grande Muraglia continua a esistere, e Pechino è destinata a rimanere un anello cruciale nelle catene di approvvigionamento. Ad esempio, spiega Polan, “l’Australia ha trovato nuovi mercati per i beni che erano stati sottoposti a sanzioni commerciali cinesi e la sua partnership con gli Stati Uniti è destinata a favorire i settori minerario e manifatturiero. Tuttavia, i legami con la Cina rimangono. La Cina continua a essere una destinazione per altre risorse australiane, tra cui il gas naturale e il minerale di ferro”.

Una cosa è certa, le strade del commercio globale si stanno trasformando e questo non può che portare sfide su tutti quei Stati che dal centro del mondo, stanno passando alla periferia del commercio, come alcuni paesi europei. Nonostante il recente investimento per un nuovo impianto di produzione di chip, ad esempio, il processo di deindustrializzazione è già avviato in Germania, tra l’incertezza sulla sicurezza energetica e la carenza di manodopera interna. Lo stesso si può dire per il Regno Unito, che rischia di diventare sempre più dipendente dalle importazioni. Si trovano davanti a grandi sfide anche le economie più piccole, che devono riuscire a creare nuove alleanze commerciali e i paesi emergenti, dove i vincoli commerciali possono portare a una riallocazione del capitale e a una minore crescita se le catene di approvvigionamento vengono dirottate verso altri lidi.

Regionalizzazione e inflazione

La regionalizzazione delle catene non ha però solo un effetto sui Paesi che si troveranno sul nuovo percorso, ma potrebbe avere un impatto sull’inflazione: se la globalizzazione aveva portato con sé un lungo periodo di inflazione moderata, adesso le prospettive di un aumento dell’inflazione nei prossimi anni si stanno rinforzando. Ad esempio, l’Indonesia, il più grande produttore di nichel al mondo, componente chiave per i veicoli elettrici, ha reso chiara la possibilità di creare un gruppo simile all’OPEC per coordinare le esportazioni del minerale. “Politiche di questo tipo possono potenzialmente mantenere alti i prezzi e aumentare l’incertezza nelle catene di approvvigionamento globali”, spiega l’esperta.

Si tratta di un rischio particolarmente forte per le economie in via di sviluppo dei paesi dell’area Asia-Pacifico, dove le preoccupazioni inflazionistiche e l’impatto degli alti tassi di interesse presenti nei Paesi occidentali, potrebbero limitare la politica monetaria. In una simile situazione, “la capacità dei governi di fornire sostegno fiscale o di rispondere a sviluppi economici inattesi potrebbe quindi essere limitata. Nel frattempo, l’aumento del debito aumenta il rischio di sofferenza e minaccia di trascinare gli investimenti privati”, conclude Polan.

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