A gennaio si parlava dell’economia statunitense come esempio di resilienza. La realtà è che non si tratta solo degli Stati Uniti, bensì l’economia sta tenendo bene in tutto il mondo. Questo non significa che non esistano rischi, anzi. Ma la maggior parte di questi sono alimentati da fattori esterni, seppure direttamente connessi al mercato: geopolitica e stimoli fiscali. Dalle elezioni presidenziali statunitensi a quelle parlamentari dell’Unione Europea, passando per altri 70 Paesi, dalla guerra in Ucraina a quella a Gaza, passando anche per la crescente competizione tra Cina e Stati Uniti. Insomma, i rischi di coda sembrano sempre più difficili da quantificare, l’unica certezza è che si potrebbero ampliare ulteriormente nel futuro
Stati Uniti: popolo pronto alle elezioni, lo è anche il mercato?
Il mercato del lavoro statunitense va a gonfie vele, il rapporto di marzo segna che sono stati creati 303mila posti di lavori, mentre gli analisti se ne aspettavano 200mila. La disoccupazione è scesa dal 3,9% al 3,8% e i salari orari sono aumentati di 12 centesimi. Si trattano di piccoli segnali che arrivano alle orecchie della Federal Reserve che, quindi, decide di posticipare ulteriormente il taglio dei tassi, pur mantenendo la prospettiva di quattro tagli per il 2024. “Sembra che la Fed sia disposta ad accettare implicitamente un livello di Fed funds più alto nel lungo periodo se ritiene che l’economia possa tollerare tassi di riferimento più elevati anche con un’inflazione al target nel lungo periodo”, spiega il Global Macroeconomic Research Team di PGIM Fixed Income.
Alle porte ci sono anche le elezioni presidenziali che potrebbero cambiare l’equilibrio del mercato. Una vittoria di Trump potrebbe, infatti, portare ad uno shock negativo sull’offerta, viste le aspettative di aumento dei dazi sulla Cina e di una potenziale riduzione dell’immigrazione, un grande motore del mercato del lavoro. D’altro canto, potrebbe avere un effetto positivo sulla domanda, con la promozione di politiche fiscali e monetarie più morbide. Al contrario, una vittoria di Biden potrebbe essere positiva dal punto di vista dell’offerta, grazie al proseguimento dell’IRA e del CHIPS, ma meno dal punto di vista della domanda.
Zona Euro: cambio di equilibri tra centro e periferia
La Banca centrale europea sembra un passo avanti rispetto alla Fed, sempre più vicina ad un taglio dei tassi. Questo permetterà all’economia dell’area euro di continuare a crescere. Secondo le stime del Fondo monetario internazionale la crescita sarà introno allo 0,6%, ovvero una crescita molto debole, soprattutto rispetto alla media pre-pandemica dell’area che si attestava all’1,4% annuo.
Inoltre, in Europa sembra ci sia un profondo cambiamento nella narrazione dell’area: i paesi periferici che sono sempre visti come secondari dal punto di vista dell’economia, come Grecia, Spagna e Portogallo, stanno invece superando le performance di quelli che erano considerati i top player, Francia e Germania. Questo è vero, ad esclusione dell’Italia, che per ora rimane il fanalino di coda dei paesi periferici.
Il Regno Unito segue l’Europa: è una buona idea?
Recentemente la Banca centrale inglese ha affermato che la riduzione dei tassi d’interesse è ormai all’orizzonte, ma questo non significa che il tasso di riferimento tornerà a livelli bassi nel prossimo futuro. “Sebbene il nostro scenario di base (40%) per l’Europa preveda anche una weakflation, l’aumento della probabilità sul lato destro della distribuzione si riflette nell’incremento di 10 punti percentuali dello scenario di atterraggio morbido, che ora corrisponde allo scenario di recessione al 25% e riflette un quadro più equilibrato dei rischi futuri”, spiegano gli esperti.
Cina: competizione tra grandi potenze ma anche ripresa interna
Per quanto riguarda le incertezze globali, le prospettive di crescita della Cina rimangono una delle preoccupazioni principali. Questo è vero, ma tenendo conto dell’inflazione, la crescita del Dragone e il contributo dei suoi consumi sembrano in buona salute, basti pensare che nel primo trimestre il pil cinese è in crescita del 5,3%. Certo, non è immaginabile una ripresa simile a quella del 2008, ma le prospettive di crescita si continuano ad aggirare intorno al 4/5%. Proprio questa relativa stabilità potrebbe essere il motivo per cui le autorità di Pechino stanno adottando un approccio graduale di stimolo. Anche in questo caso, non sarebbe realistico immaginare stimoli molto potenti, ma in linea con gli obiettivi politici: dalla sicurezza nazionale alla trasfromazione strutturale, strizzando l’occhio alla sostenibilità, passando anche per una nuova normativa finanziaria.
Secondo PGIM Fixed Income “questa visione si riflette nel nostro scenario di base, con la probabilità di un atterraggio morbido che passa dal 55% al 70%.”
Il Giappone del cambiamento
A marzo la Bank of Japan, dopo diciassette anni, ha ufficialmente posto fine all’era dei tassi negativi, portandoli dal -0,1%, all’intervallo tra lo 0 e lo 0,1%. Nonostante sia un cambiamento minimo, gli aggiustamenti dei tassi di interesse, hanno il potenziale di influenzare il comportamento delle imprese e delle famiglie.
Per il prossimo futuro, è possibile che i tassi continuino a mantenersi vicino allo zero, anche se la continua resilienza statunitense e la crescita della Cina potrebbero portare la BoJ a inasprire ulteriormente la sua politica monetaria.
Nel frattempo, lo yen si trova molto a rischio: se continuera a indebolirsi rispetto al dollaro, proprio come ha fatto dopo la decisione di alzare i tassi, i suoi mercati degli asset di rischio potrebbero beneficiare dei venti di coda in corso.