Pensioni: perché una donna deve investire di più (e quanto)

Il divario retributivo di genere si riflette sulla posizione previdenziale delle lavoratrici, spingendole a versare fino a un terzo circa in più rispetto agli uomini per ottenere una rendita integrativa di 500 euro al mese

  • Retribuzioni più basse in partenza significano avere pensioni nette più basse e dover investire una percentuale più elevata del proprio reddito per ottenere la stessa rendita integrativa
  • Secondo l’Inps, la differenza di retribuzione tra uomini e donne in Italia ha toccato i 7.922 euro nel 2022
  • Carbone: “Pianificare gli anni della propria longevità è per una donna una tematica doppiamente importante”

Sebbene la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o dello stesso valore, sancito dal Trattato di Roma nel 1957, rappresenti uno dei principi fondanti dell’Unione europea, i conti continuano a non tornare. Almeno in Italia. Secondo l’ultimo Osservatorio dell’Inps sui lavoratori e sulle lavoratrici dipendenti del settore privato, la differenza salariale tra uomini e donne ammonta a 7.922 euro. Nel dettaglio, lo stipendio medio annuo di chi lavora nel Belpaese è di 22.839 euro, ovvero 26.227 euro per il genere maschile a fronte dei 18.305 euro del genere femminile. Un dato che non sorprende ma che, ancora una volta, invita a ragionare sugli effetti a cascata del gender pay gap.

Il divario di genere nel mondo del lavoro si riflette infatti anche sulla posizione previdenziale delle lavoratrici. Nel nostro sistema pensionistico il valore delle pensioni deriva dai contributi versati, che a loro volta dipendono dal reddito. Ciò significa che più sarà elevato lo stipendio medio nell’arco della propria carriera, maggiore sarà il tesoretto percepito al momento del pensionamento. In soccorso arrivano le pensioni “di scorta” ma, anche in questo caso, le donne rischiano di dover risparmiare fino a un terzo in più rispetto agli uomini. Per dimostrarlo, smileconomy ha calcolato per We Wealth quanto bisognerebbe versare in una forma di previdenza integrativa – in percentuale alla propria retribuzione – per ottenere 500 euro netti al mese, ipotizzando tre profili di età e di reddito.

“Per lavoratori 25, 35 e 45enni dipendenti con redditi rispettivamente di 1.500, 2.500 e 3.000 euro netti, abbiamo innanzitutto simulato l’età media alla pensione, compresa tra i 65 anni e 5 mesi di un 45enne e i 67 anni e 4 mesi di un 25enne”, spiega Andrea Carbone, fondatore di smileconomy. Il tasso di sostituzione, pari al rapporto tra la pensione e il reddito da lavoro è risultato intorno al 70%, con pensioni nette comprese tra i 1.003 euro di un 25enne e i 2.043 euro di un 45enne. Per ottenere 500 euro netti al mese di rendita integrativa, l’investimento percentuale necessario è in funzione dell’orizzonte temporale (gli anni mancanti alla pensione), del reddito attuale e della linea di investimento scelta. La forchetta va dal 9% di un lavoratore 25enne con un reddito di 1.500 euro che investa in una linea azionaria ad alto rischio al 21% di un 45enne da 3mila euro al mese che investa in una obbligazionaria.

Ma come cambiano le cose per una lavoratrice? “Recentemente l’Inps ha evidenziato come la retribuzione media delle lavoratrici dipendenti sia di circa un terzo inferiore a quella degli uomini”, ricorda Carbone. “Nelle elaborazioni siamo partiti proprio da questo dato”. L’età di pensionamento, per i profili simulati, è la stessa, anche se non è sempre necessariamente così, sia per un diverso requisito di base (la pensione anticipata, che una lavoratrice matura un anno prima di un lavoratore, a 41 anni e 10 mesi), sia per la recente riforma pensionistica che ha modificato le soglie di accesso alla pensione anticipata contributiva (in funzione dell’ammontare della pensione e del numero dei figli). I tassi di sostituzione sono invece simili, intorno al 70%. Quello che cambia è il valore assoluto, che è legato al reddito di partenza, con pensioni nette comprese tra i 751 e i 1.522 euro netti al mese: circa il 25% in meno rispetto agli uomini.

“Per quanto riguarda la percentuale di reddito da investire in previdenza integrativa per ottenere 500 euro netti al mese, la forchetta va dall’11% di una lavoratrice 25enne che investa in una linea ad alto rischio fino al 29% di una 45enne che versi in una a basso rischio. Possono sembrare piccole differenze rispetto agli uomini, ma percentualmente significa fino a un terzo circa in più rispetto a quello che devono fare i lavoratori”, osserva Carbone. Così si chiude il cerchio del cosiddetto “gender gap previdenziale”: retribuzioni più basse in partenza (-30% nei casi simulati) significano avere pensioni nette più basse (-25%) e dover investire una percentuale più elevata (circa 30%) del proprio reddito per ottenere la stessa rendita integrativa di 500 euro netti al mese. “Pianificare gli anni della propria longevità è per una donna una tematica doppiamente importante, non solamente per il maggior numero di anni di vita attesi (maggior tempo significa maggiori risorse), ma anche perché vivere più a lungo significa essere maggiormente esposte a problemi di salute e quindi a una maggior necessità di risorse. Altri buoni motivi per pianificare il prima possibile il proprio futuro”, suggerisce Carbone.

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