Italia destinata a declino o boom? Molto dipenderà dalle donne

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L’Italia ha l’opportunità di aumentare drasticamente la propria forza lavoro, nonostante il calo demografico. Katharine Neiss, Chief European economist di PGIM Fixed Income, illustra come le donne possono trainare una svolta anche nella produttività

I dati Istat certificano che l’Italia sia destinata a fronteggiare una dura crisi demografica. Nel 2022 per la prima volta dall’Unità d’Italia i nuovi nati sono scesi sotto la soglia delle 400mila unità con la popolazione diminuita del 3%, ossia il declino demografico più elevato dal secondo dopoguerra. C’è chi parla di bomba a orologeria demografica e in effetti l’Italia è il paese europeo che sta invecchiando al ritmo più veloce. Basandosi in parte sulle tendenze attuali, la popolazione italiana si ridurrà di un ulteriore 20% entro il 2070. “Per quanto questi numeri siano sorprendenti, vale la pena notare che tali proiezioni sono molto sensibili all’impatto cumulativo delle ipotesi sottostanti. Come ben sanno gli investitori, il passato non è sempre una buona guida per il futuro”, rimarca Katharine Neiss, Chief European economist di PGIM Fixed Income.

Verso uno scenario disastroso?

È sicuramente importante mettere in prospettiva il cambiamento demografico. Se si analizza accuratamente il fenomeno, associato sia all’invecchiamento della popolazione che al calo delle nascite, non mancano gli elementi per trarre conclusioni rassicuranti anche dal punto di vista economico. “Il cambiamento sta avvenendo perché le persone vivono più a lungo, in modo più sano e possono scegliere le dimensioni della famiglia. Questi sono segni del progresso umano e non il risultato di una sorta di scenario disastroso. Detto questo, i cambiamenti pongono sfide politiche che richiedono compromessi politicamente impegnativi”, argomenta Katharine Neiss.

Guardando ai risvolti sulla crescita economica, l’aspetto più importante è la dimensione della forza lavoro economicamente attiva e non il totale della popolazione. E in tal senso il quadro italiano non appare così allarmante e offre anche delle opportunità.

La variabile femminile può capovolgere lo scenario

Le proiezioni delle Nazioni Unite indicano che in un decennio la popolazione italiana in età lavorativa si attesterà intorno al livello dei primi anni ’80, periodo in cui l’Italia era al primo posto in Europa per crescita. Proiezione che però non considerano una variabile di non poco conto, il fattore donna. La presenza delle donne nel mercato del lavoro in Italia è storicamente molto bassa, con il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro che è il più basso dell’Unione Europea, pari al 61%.
Ma, come rimarcato recentemente da Bankitalia, il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro sta migliorando a ritmo spedito (+3,3% nel decennio dal 2012 al 2022) e questa tendenza positiva va inquadrata nel complessivo miglioramento della qualità del capitale umano. Già da almeno un paio di decenni le donne sono circa il 56% dei laureati ogni anno.

L’economista di Pgim Fixed Income snocciola di possibili scenari: se da qui al 2030 la partecipazione femminile in Italia raggiungesse la media dell’Unione europea (74%), il numero di lavoratrici aumenterebbe di circa 300.000 unità. Se invece la partecipazione femminile in Italia raggiungesse l’85% della Svezia (la più alta dell’UE) nello stesso periodo, il numero salirebbe a 2 milioni. “L’aumento della partecipazione modificherebbe completamente la traiettoria della forza lavoro italiana, che passerebbe da una fase di contrazione a una di crescita nel prossimo decennio”.

L’aumento della partecipazione femminile incide molto sulla traiettoria della forza lavoro italiana

Forza lavoro in età lavorativa in Italia (20-64 anni), milioni di persone ?

Fonte: Nazioni Unite, Macrobond, PGIM Fixed Income

La sfida della produttività

Un’altra area in cui l’Italia presenta potenziale di miglioramento è la produttività e anche qui il fattore donna può offrire un assist. Nell’ultimo decennio l’Italia ha registrato la terza più debole crescita della produttività del lavoro nell’UE. Secondo l’Istat, il livello di istruzione delle donne italiane è più alto di quello degli uomini e i livelli di istruzione femminile stanno aumentando più rapidamente di quelli maschili. I vantaggi di un aumento della partecipazione femminile migliorerebbero ulteriormente la produttività. La Neiss ritiene inoltre che una leva politica fondamentale sarebbe quella di elaborare politiche volte ad aumentare il livello di istruzione per tutti, per migliorare ulteriormente la crescita della produttività italiana e avvicinarla alla media dell’UE.

I possibili risvolti positivi sul PIL e debito

Se la partecipazione al lavoro e la produttività si portassero all’unisono ai livelli dell’UE entro il 2030 questo si tradurrebbe in un effetto positivo sul PIL italiano nell’ordine di oltre un punto percentuale in ogni anno. Ciò compenserebbe ampiamente il freno alla crescita derivante dal calo demografico. “Inoltre – aggiunge l’esperta – una maggiore partecipazione aumenterebbe il gettito fiscale e, a parità di altre condizioni, contribuirebbe a ridurre il debito. L’aumento delle entrate allevierebbe i trade-off creando più spazio per gli investimenti e sostenendo al contempo l’invecchiamento della popolazione”.

Rispetto alla crescita media annua del PIL reale dell’Italia, vicina allo 0% nell’ultimo decennio, questi numeri rappresenterebbero un boom, piuttosto che una rovina demografica, per la crescita italiana. “La sfida non è il cambiamento demografico in sé, ma la risposta politica ad esso. In assenza di un’evoluzione politica, tuttavia, le prospettive sono molto più cupe”, conclude l’economista di Pgim Fixed Income.


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