Intelligenza artificiale e creatività. Ars ex machina?

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Una recente sentenza della corte di giustizia americana ha negato la tutela del diritto d’autore a un’opera generata da un sistema di IA, Creativity Machine. Il proprietario del sistema non può rivendicarla, in quanto l’opera è “priva di autorialità umana”. Ma fino a che punto è “artificiale” l’AI? Basta davvero l’intervento di un algoritmo per escludere totalmente l’intervento umano e quindi la sua tutela patrimoniale?

IA e tutela della creatività umana – Prologo 

Può un’opera interamente generata da un sistema di intelligenza artificiale essere tutelata dal diritto d’autore ? Questa domanda è stata recentemente al centro di una controversia tra il signor Stephen Thaler, imprenditore e scienziato americano, titolare di numerosi brevetti rilasciati da numerosi paesi del globo, ed il Copyright Office degli Stati Uniti. Thaler aveva chiesto la registrazione presso il Copyright Office di un’opera d’arte intitolata A Recent Entrance to Paradise creata da un sistema di intelligenza artificiale denominato Creativity Machine, con trasferimento di ogni diritto allo stesso Thaler, in qualità di proprietario del sistema. Il Copyright Office ha negato la registrazione motivando che l’opera fosse priva di autorialità umana, che è un prerequisito per la registrazione di un valido diritto d’autore. 

Thaler ha promosso un giudizio davanti al US District Court for the District of Columbia e quest’ultimo con decisione del 18 agosto ha respinto la domanda sostenendo le ragioni del Copyright Office: perché vi sia tutela dal punto di vista del diritto d’autore è necessario un intervento umano. Secondo la corte americana, la legge richiede che la tutela autoriale possa essere accordata a un’opera solo se la stessa sia riconducibile a un soggetto “con capacità di lavoro intellettuale, creativa o artistica”. L’atto di creazione umana, la tutela e la promozione della scienza e delle arti sono state al centro della normativa americana fin dalle origini: “creatori” non umani non hanno bisogno di incentivi, tramite la previsione di diritti esclusivi e, pertanto, il copyright non si applica in tali casi.

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Creativity Machine, A Recent Entrance to Paradise, 2023

Sulla “macchina della creatività” – Giuseppe Calabi


Creativity Machine
è un sistema di intelligenza artificiale, in particolare, un algoritmo applicato ad un computer e capace di generare opere d’arte: il risultato è analogo a quello che potrebbe essere realizzato da un artista “umano”. Alla richiesta di registrazione a nome del sistema di AI “creatore”, Thaler ha accompagnato la richiesta di essere riconosciuto quale titolare dei diritti di utilizzazione economica, come normalmente avviene nel campo della proprietà intellettuale quando l’output (l’opera) è il risultato di una attività lavorativa svolta e remunerata nel corso di un rapporto di lavoro (work for hire). Naturalmente, in questo caso si trattava di una finzione, non essendovi un rapporto di lavoro tra Thaler ed il sistema di AI (ed il computer con cui lo stesso interagisce), bensì di proprietà (macchina, schiava dell’uomo?). 

È utile precisare che anche negli Stati Uniti, la registrazione non è una condizione perché sorga il copyright, ma è molto utile per stabilire la anteriorità (e quindi la titolarità effettiva) dell’autore rispetto a soggetti che vantino sull’opera diritti concorrenti. Se tuttavia, la registrazione viene negata, come in questo caso, il diritto d’autore in relazione all’opera neppure si considera sorto. Il corte americana ha confermato che il diritto d’autore può sorgere solo si vi sia un intervento umano, respingendo l’argomentazione che lo stesso diritto, a prescindere dall’assenza di intervento umano a livello creativo, possa traslare sul proprietario del sistema, che sicuramente ha caratteristiche umane. 

Anche se nella causa Thaler ha sviluppato l’argomento per il quale il suo intervento umano debba riconoscersi nello sviluppo del software che costituisce l’anima di Creativity Machine, nella domanda di registrazione dell’opera lo stesso aveva indicato che l’opera fosse stata autonomamente creata dal sistema, senza che lui avesse svolto alcun ruolo nella sua creazione. La corte ha sottolineato la “malleabilità” del diritto d’autore, richiamando casi di interazione uomo-macchina e citando Sarony, un caso del 1884, in cui la Corte Suprema aveva riconosciuto l’autorialità di un’opera fotografica, in cui un “autore” può essere riconosciuto, nonostante l’opera derivi da una macchina che riproduce un’immagine che si trova di fronte. L’autorialità umana è fondamento su cui si regge il copyright.

Sulla questione artistica – Sharon Hecker 

L’intelligenza artificiale (AI) non è affatto artificiale: si basa su materiale creato da umani che è spesso protetto da copyright. Spesso le aziende di AI (anch’esse formate da persone) utilizzano questo materiale senza chiedere il permesso, riconoscere il contributo o compensare i creatori. Le immagini artistiche generate dall’AI, quindi, non vengono create dal nulla: amalgamano immagini artistiche esistenti in un pastiche. Poiché le fonti che “alimentano” le immagini artistiche generate dall’AI sono opere precedentemente messe online dagli artisti, i loro creatori umani sono preoccupati: si ritrovano immagini delle loro opere liberamente prese e copiate da internet, pure dai loro account social media. 

Gli artisti spesso pubblicano online immagini ad alta risoluzione per mostrare i dettagli, ma non immaginavano che i sistemi di AI avrebbero iniziato a consumare queste immagini per copiarle. I governi non hanno ancora approvato leggi che regolamentino questa complessa materia, ne’ vi sono incentivi per un volontario utilizzo etico e responsabile della produzione creativa degli artisti o sanzioni severe per chi ne faccia un utilizzo indebito. Questo fa sentire gli artisti impotenti, incapaci di proteggere le proprie opere. Rischia di privarli dei loro mezzi di sostentamento. 

In attesa che le leggi intervengano, è necessario studiare dei meccanismi di difesa. Una forma di protezione è quella sviluppata dal professore di informatica Ben Zhao dell’Università di Chicago, che ha guidato un gruppo per il progetto Glaze (https://glaze.cs.uchicago.edu/index.html). Glaze è un sistema gratuitamente scaricabile in grado di proteggere le immagini dal furto e dalla copiatura da parte dell’AI. Gli artisti possono “velare” o “appannare” le immagini che caricano in modo che l’AI non possa prenderle. Come una filigrana, l’immagine viene “mascherata” e diventa distorta, ed è pure protetta dal rischio di essere copiata da uno screenshot. 

Anche se l’occhio umano non può notare la differenza, l’apprendimento approfondito dell’AI non è in grado di “vederla” perché modifica i pixel. C’è già stato più di un milione di download dello strumento da quando è stato reso disponibile a marzo. Sono in fase di sviluppo altri programmi, come il prototipo del MIT, PhotoGuard, che “immunizza” le immagini dalla manipolazione dell’AI. In futuro, questi strumenti potrebbero proteggere attori, scrittori, musicisti e giornalisti che si sentono minacciati dall’AI. Creativi:en garde!

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