I serpenti disconosciuti da Jeff Koons – prologo
Nel corso del 1988, la galleria Sonnabend di New York che rappresentava l’artista Jeff Koons commissionò a una società italiana alcuni esemplari in porcellana di una scultura dell’artista raffigurante due serpenti, uno più grande e uno più piccolo, denominata dall’autore Serpents. Secondo la sentenza, quattro esemplari furono firmati dall’artista mediante il trasferimento di una decalcomania durante la cottura e quindi contrassegnati uno con le lettere ”AP” (acronimo di Artist’s Proof, ovvero prova d’artista) e gli altri con i numeri 1/3, 2/3, 3/3; ciò in quanto era stata prevista l’edizione in tre esemplari soltanto. Cinque esemplari vennero spediti dalla società italiana alla galleria committente, mentre quello firmato e contrassegnato con 2/3 fu inviato alla Galerie Max Hetzler di Colonia ed esposto alla mostra di opere di Koons tenutasi nel novembre 1988. Al termine della mostra l’esemplare 2/3 non fu spedito alla Sonnabend Gallery, ma per qualche motivo restò bloccato alla Dogana di Milano, la quale a un’asta tenutasi nel 1991 avente ad oggetto la vendita di merci introdotte sul territorio nazionale sotto vincolo doganale e non riesportate o ritirate nei termini previsti, lo aggiudicò ad un privato. Vi fu un successivo passaggio di proprietà e nel 1996 l’attuale proprietario decise di vendere la scultura all’asta presso Christie’s a New York. Di fronte alla reazione dell’artista che denunciò l’opera disconoscendone la paternità e reiterando il proprio disconoscimento qualche anno dopo, ritenendola un prototipo imperfetto mai approvato e del quale mai autorizzò la commercializzazione, il proprietario ha fatto causa in Italia a Jeff Koons ed alla sua società, chiedendo, previo accertamento dell’autenticità dell’opera, la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni. In via riconvenzionale Koons ha chiesto, a sua volta, la condanna al risarcimento del danno del proprietario per aver immesso sul mercato un’opera disconosciuta dall’artista.
La circolazione dell’opera disconosciuta – Giuseppe Calabi
A seguito di tre gradi di giudizio, lo scorso agosto la Corte di Cassazione ha definito la controversia a sfavore di Jeff Koons. La Cassazione ha indicato che il diritto dell’autore al disconoscimento di una propria opera non è illimitato. Innanzitutto, il diritto morale al “disconoscimento” di un’opera in base all’art. 20 della legge sul diritto d’autore (LDA), non può essere esercitato se l’artista non ha riconosciuto ab origine la paternità. L’autore ha diritto ad opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, e a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. Ma tale diritto secondo la Cassazione si può esercitare solo nei confronti di un’opera di cui l’autore abbia riconosciuto la paternità e non già nei confronti di un’opera che lo stesso autore abbia disconosciuto a causa di presunte imperfezioni al momento della realizzazione. Né ricorre nel caso in esame, un’ipotesi di intervento manipolativo successivo alla realizzazione dell’opera.
A mio parere, mentre la conclusione della Cassazione sulla impossibilità di invocare il diritto morale al fine del “disconoscimento” di un’opera mal riuscita non è condivisibile, in quanto il disconoscimento è un diritto morale assoluto e non condizionato e può essere sempre esercitato dall’artista, coglie invece nel segno l’argomento per il quale se l’artista ha approvato la “pubblicazione” dell’opera mediante esibizione in una galleria (esposizione che normalmente connessa ad una possibile vendita), non può in un momento successivo opporsi alla vendita, in quanto il suo diritto si è esaurito con la pubblicazione. In altre parole, una volta pubblicata con il consenso dell’autore, l’opera è libera di essere immessa sul mercato, senza che l’autore possa ostacolarne la circolazione.
Resta tuttavia aperta una domanda: se l’autore può legittimamente rifiutarsi di rilasciare un certificato di autenticità, come potrà l’opera circolare sul mercato ?
Il diritto al cambiare idea, anche per capriccio – Sharon Hecker
Oggi è prassi accettata che molti artisti contemporanei facciano circolare le loro opere senza rilasciare certificati di autenticità. Può Koons disconoscere capricciosamente un’opera per motivi non specificati, dopo che l’opera ha circolato nel mondo? Questo differisce da casi come quello dell’artista Cady Noland, che disconosceva le opere a causa di danni evidenti e restauri impropri.
Il mondo è appassionato di arte perché può essere estrosa e imprevedibile. Tuttavia, il mercato e la legge preferirebbero la stabilità e l’affidabilità. Gli artisti sono sempre stati associati al capriccio, definito come un improvviso e inspiegabile cambiamento di idea. Koons è noto per far emergere l’assurdità delle convenzioni di alto e basso, valore e svalorizzazione. Prende oggetti banali che sembrano merci di plastica a buon mercato, come Michael Jackson e il suo scimpanzé, Bubbles, o in questo caso, due serpenti giocattolo simili a cartoni animati, e li fa realizzare in un materiale tradizionale prezioso come la porcellana. Anche i titoli delle sue opere, come Banality e Luxury & Degradation, esprimono questa incongruenza. Il ribaltamento delle convenzioni è incorporato nel tessuto stesso dell’arte di Koons: perché dovremmo sorprenderci se improvvisamente revoca la sua paternità disconoscendo un’opera anche quando non è più di sua proprietà?
Koons non è l’unico artista vivente che rivendica il suo diritto di essere imprevedibile rispetto alla paternità della produzione artistica. Gerhard Richter è solito modificare la propria opera disconoscendo i primi lavori dal suo catalogo ragionato.
Nel campo letterario, gli autori modificano liberamente le proprie biografie, e questo viene accettato. HG Wells ha omesso le sue relazioni extraconiugali e Edith Wharton ha cancellato il suo ex marito Teddy dalla sua vita in A Backward Glance. Accettiamo anche i compositori che decidono di eliminare parti delle loro canzoni. Per esempio, nel 1984, Prince eliminò la linea di basso da When Doves Cry dopo la sua pubblicazione.
Gli artisti possono divorare la loro prole, come Saturno nel dipinto famoso di Goya? Hanno il diritto di omettere dalle loro stesse narrazioni materiali? Devono spiegare perché rifiutano capricciosamente un’opera del passato? A me sembra che per Koons questo gesto possa essere l’ultima dichiarazione artistica, in linea con la sua abitudine di attraversare il confine tra lusso e degrado.
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In copertina: Jeff Koons, Serpents (1988)