Nelle ultime settimane è tornato alla ribalta con inedita frequenza il David di Michelangelo Buonarroti. Dopo il clamore suscitato dal licenziamento della preside di una scuola di Tallahassee in Florida per aver mostrato ai propri studenti una foto del David, considerata da alcuni genitori come immagine pornografica, ed il suo invito a Palazzo Vecchio da parte del sindaco di Firenze con consegna di una pergamena di riconoscimento per il suo impegno per l’educazione, recentemente il Tribunale di Firenze ha condannato la casa editrice della rivista GQ, appartenente al colosso editoriale Condé Nast, al risarcimento del danno patrimoniale (20.000 euro) e non patrimoniale (30.000 euro) per aver riprodotto sulla copertina del numero luglio-agosto 2020 un’immagine del David, senza aver ricevuto l’autorizzazione del Ministero della Cultura e pagato le royalties dovute. Più precisamente, la testata è stata ritenuta responsabile per avere “insidiosamente e maliziosamente accostato l’immagine del David di Michelangelo a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando, umiliando l’alto valore simbolico ed identitario dell’opera d’arte ed asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale”.
Il Tribunale di Firenze ha affermato il diritto dello Stato a tutelare l’immagine di un bene culturale, con facoltà di inibire ogni riproduzione ritenuta incompatibile con la destinazione culturale del bene, in quanto espressione memoria della comunità nazionale e del territorio, quale nozione identitaria collettiva.
Giuseppe Calabi – contributor WE
Il diritto dello Stato a tutelare l’immagine del David è stato riconosciuto dallo stesso Tribunale di Firenze lo scorso anno con riferimento alla riproduzione sul sito di una società di Massa Carrara operante nel settore della lavorazione artistica del marmo, dell’immagine di una replica 1/1 in vetroresina e polvere di marmi dell’opera realizzata dalla stessa società. La società ha rimosso l’immagine dell’opera dal sito e si è impegnata ad utilizzarla quale strumento didattico per la formazione degli scultori.
Nel 2018 la replica era a stata installata per un mese in Piazza San Babila a Milano per la promozione del documentario biografico “Michelangelo Infinito” e nel 2010 nell’abside del Duomo di Firenze, in occasione della manifestazione Florens 2010.
Il Tribunale ha ritenuto che la riproduzione sul sito sia idonea a “svilire l’immagine del bene culturale facendolo scadere ad elemento distintivo delle qualità della impresa che, attraverso il suo uso promuove la propria immagine, con uso indiscutibilmente commerciale, che potrebbe indurre terzi a ritenere siffatto libero utilizzo lecito o tollerato”. Quindi, il Tribunale ha concluso che la società non solo non aveva chiesto l’autorizzazione per la riproduzione dell’immagine del David sul proprio sito, ma non aveva neppure pagato le royalties dovute. Tuttavia, l’accento è stato posto sul danno anche immateriale che la “volgarizzazione dell’opera” tramite riproduzione sul sito ha arrecato al bene culturale “per il suo valore collettivo”. Nulla rileva che la società abbia esposto a titolo gratuito la replica del David durante eventi o manifestazioni culturali di alto livello organizzate da istituzioni pubbliche: quelli erano “utilizzi in ambito non commerciale rispettosi del valore simbolico del bene nelle quali è secondario il sicuro risvolto positivo in termini di immagine da parte dell’impresa”.
Se invece l’uso è strumentale all’immagine della società, allora ne deriva la volgarizzazione dell’opera.
Sharon Hecker – contributor WE
L’inclusione dell’icona di Michelangelo sulla copertina di una rivista popolare ha delle radici in una giustapposizione strategica tra l’arte “alta” e la cultura di massa nell’Italia del dopoguerra. Nel 1957, fu proprio Enzo Biagi a inaugurare questa pratica, decidendo di mettere la Gioconda di Leonardo sulla copertina di Epoca, collocando il capolavoro artistico in una posizione di “icona” e “star” simile a quella di Sofia Loren e Marilyn Monroe: così Monna Lisa fu vista da 3 milioni di lettori di tutte le classi sociali. Come sostiene la storica Emma Barron nel libro “Popular High Culture in Italian Media, 1950-1970: Mona Lisa Covergirl”, “l’alta cultura era integrata in modo distintivo nella nuova identità italiana moderna e nel boom della cultura di massa associata all’Italia”. Gli anni ‘50 e ‘60 sono stati pieni di appropriazioni popolari della letteratura, dell’arte e della musica italiana. Le riviste popolari pubblicavano settimanalmente adattamenti illustrati di classici della letteratura, l’opera lirica veniva trasmessa in televisione e i lettori di Epoca potevano scrivere lettere a Moravia, Quasimodo e Pasolini, chiedendo consigli. I capolavori della letteratura italiana venivano adattati e resi appetibili per le masse: un esempio è I Promessi Paperi. Da lì il passo è stato rapido verso il merchandising, fino ai boxer da uomo con i genitali di David ingranditi e messi in evidenza. Oggi vediamo un desiderio di invertire questa tendenza. Sarà possibile? Le immagini da sempre, da Gesù a Garibaldi, sono state diffuse alle masse proprio attraverso il merchandising religioso o patriottico. Michelangelo ha utilizzato liberamente l’immagine biblica di Davide (senza dover pagare i diritti agli autori dell’Antico Testamento, nemmeno per aver deciso di escludere la testa mozzata di Golia), adattando la storia alle sue esigenze artistiche. Ci rendiamo conto che la storia della diffusione e dell’adattamento dell’immagine di un’icona alle masse esiste dalla notte dei tempi, creando l’icona adattandola a diversi tipi di pubblico e allo stesso tempo rafforzando la fonte.