Non solo strette monetarie, le banche centrali e i governi possono influire anche sulla spesa in tecnologia per contrastare l’aumento dell’inflazione. L’impennata globale dei prezzi, come è noto, è il risultato di eventi eccezionali sia dal lato dell’offerta che della domanda: difficoltà della catena di approvvigionamento, carenza di manodopera, aumento dei costi della sanità, strozzature dei trasporti e incremento dei costi del carburante, sullo sfondo di una bomba a orologeria demografica sempre più evidente, sono fenomeni sotto gli occhi di tutti. Per questo negli USA, ad esempio, è stato messo a punto l’Inflation Reduction Act approvato nell’agosto di quest’anno. È il più grande provvedimento legislativo federale per affrontare le questioni legate al cambiamento climatico e ha creato incentivi fiscali per il passaggio a veicoli elettrici prodotti negli Stati Uniti, per la creazione di un settore manifatturiero più pulito e per il potenziamento della capacità di energia eolica e solare.
Ma che tipo di relazione c’è tra tecnologia e inflazione? La relazione tra la riduzione dei rendimenti obbligazionari e dell’inflazione e l’adozione della tecnologia è stata evidente per un periodo di circa 25 anni. Storicamente, la combinazione tra l’adozione della tecnologia e la globalizzazione attraverso l’aumento della produttività, la riduzione dei costi della manodopera e dei fattori produttivi, l’integrazione delle catene di fornitura ecc. ha abbassato le aspettative di inflazione e fatto scendere i rendimenti obbligazionari ha spiegato Alison Porter, Portfolio manager di Janus Henderson Investors, illustrando il grafico rappresentato sotto.
L’adozione di nuove tecnologie ha determinato una riduzione dell’inflazione e dei rendimenti obbligazionari nel lungo periodo Fonte: Janus Henderson Investors, *Citi Research, as at 30 December 2016. Bloomberg US 10-year Treasury yields March 1980 to September 2022
Ma è ancora così? L’esperto di JHI concorda con il pensiero di Satya Nadella, CEO di Microsoft, secondo cui “la tecnologia è una forza deflazionistica in un’economia inflazionistica“. Ciò vuol dire che, a lungo termine, gli investimenti in strumenti di trasformazione digitale, produttività e ottimizzazione delle risorse saranno considerati come aree di spesa in grado di combattere piuttosto che alimentare l’inflazione. Alcuni analisti del settore IT poi, come quelli di Gartner, parlano di deflazione digitale, cioè di una strategia di investimenti in tecnologia per ridurre in modo permanente i costi di gestione.
Insomma le aziende, è la convinzione degli esperti, continueranno a investire nella trasformazione digitale, anche in un periodo di crescita economica più debole e di inflazione più elevata. La selezione delle opportunità di investimento, mai come in questi momenti di incertezza, punta su aziende con bilanci solidi e altrettanto valide prospettive di free cash flow. Ciò vuol dire concentrarsi su società che beneficiano di temi secolari con un potenziale di crescita a lungo termine, ma solo a fronte di aspettative razionali di crescita e di valutazioni ragionevoli, unite a una solidità di bilancio che faccia capitalizzare alla società i propri vantaggi competitivi. Le società con margini lordi positivi di solito hanno la capacità di assorbire l’inflazione e mantenere una redditività soddisfacente.
La tecnologia, in poche parole, può rendere prodotti e processi più economici, più veloci e migliori e questa prospettiva è realistica visto che oggi possiamo avere in tasca uno strumento che ha una potenza di calcolo superiore a quella a disposizione della NASA negli anni ’60.
Potenza di calcolo e infrastrutture a basse emissioni di carbonio e a basso consumo energetico
Nonostante l’esplosione dei dati, il consumo di elettricità dei data center è rimasto pressoché invariato negli ultimi dieci anni grazie al passaggio al cloud compute e agli hyperscaler con data center super efficienti. Nel 2018 uno studio di Microsoft ha dimostrato che la sua piattaforma cloud Azure potrebbe essere fino al 93% più efficiente dal punto di vista energetico e fino al 98% più efficiente dal punto di vista delle emissioni di carbonio rispetto alle soluzioni on-premise. A risparmi energetici del 50% hanno contribuito anche investimenti in soluzioni integrate verticalmente, come le unità di elaborazione grafica (GPU) di nVIDIA nei rack di server che consumano 1/20 del consumo energetico dei rack tradizionali o i sistemi di storage flash. Le aziende Hyperscale sono anche all’avanguardia nell’uso di energia rinnovabile, andando oltre la compensazione delle emissioni di carbonio e utilizzando elettricità completamente priva di carbonio. Google di Alphabet ha fissato l’obiettivo di alimentare i propri data center e uffici 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con elettricità priva di carbonio entro il 2030. Nel frattempo, le aziende hanno preso in considerazione il passaggio al cloud pubblico per migliorare la trasformazione digitale. Ora i costi energetici, la sicurezza energetica e le emissioni di anidride carbonica stanno emergendo come potenti motivazioni per la transizione, fa notare il portfolio manager di JHI.
La tecnologia favorisce la creazione di nuove imprese
Nel 2021, quasi 5,4 milioni di persone negli Stati Uniti hanno richiesto licenze per piccole imprese, con un aumento di oltre il 50% rispetto al 2019. I finanziamenti globali per le start-up hanno raggiunto i 643 miliardi di dollari, decuplicando rispetto a un decennio fa. Perché questo boom di start-up? I tassi di interesse e i finanziamenti sono stati relativamente bassi e disponibili, ma al centro del trend delle start-up c’è il fatto che la tecnologia ha reso più facile la creazione di nuove imprese grazie ai servizi in cloud e alle piattaforme esistenti praticamente per tutte le funzioni aziendali: pubblicità, canali di distribuzione e logistica, digitalizzazione dei pagamenti. Uno dei settori di piccole imprese in più rapida crescita è la “creator economy”. Secondo il Creator Report 2022 di Linktree oggi ci sono 200 milioni di creatori di contenuti, compresi quelli che su piattaforme di creazione come Instagram, YouTube, Facebook e TikTok monetizzano i loro contenuti e guadagnano un reddito supplementare.