Quali sarebbero invece i passi imprescindibili da compiere?
Pochi e semplici. Un inventario completo del patrimonio, del nucleo relazionale/familiare e soprattutto dei bisogni, delle necessità e delle paure dei clienti, per individuare una o più strategie potenziali, mostrando le alternative disponibili e gli strumenti più adatti, contemplando impatti fiscali e profili civilistici di ognuno. Spesso la strategia migliore si ottiene combinando più strumenti. In ogni caso, la nostra analisi personalizzata permette al cliente di acquisire una consapevolezza circa la possibilità di scegliere: egli potrà anche decidere di non agire, ma è fondamentale essere consapevoli per ridurre al minimo il rischio di pentirsi o di voler “smontare” quanto fatto in precedenza.
Perché il passaggio generazionale è un tema che dovrebbe interessare soprattutto la clientela Private e Hnwi?
La risposta è nei numeri. Le famiglie dei clienti di elevato standing sono spesso, per non dire sempre, imprenditori. Ebbene, le imprese familiari italiane (che sono l’85% del totale, secondo Aidaf, ndr) raggiungono soltanto per un 30% la seconda generazione e soltanto per il 15% la terza. Questo è sicuramente in parte dovuto a motivi e problemi di mercato. Ma, al di là di questa causa, accade purtroppo che per la normalità delle realtà imprenditoriali, che riguarda anche grandi aziende, si tende ad associare la titolarità dell’azienda con la governance, il che di fronte ad una successione non pianificata determina una deriva generazionale pressoché inevitabile. È un grande sforzo che proviamo a realizzare quotidianamente: chiarire che la titolarità della partecipazione è espressione del diritto di voto del socio, che interviene in assemblea per approvare il bilancio e per nominare l’organo amministrativo. Mentre è l’apparato amministrativo che prende le altre decisioni e assicurare la governance d’impresa. Allora quando si ha in mano la gestione di un’azienda si deve assicurare stabilità alla partecipazione e sostanza e continuità alla governance: per farlo si devono scindere i ruoli e i diritti. Ci sono molti strumenti che possono coadiuvare questo processo.
Tra di essi il trust. In quali situazioni è uno strumento utile?
Il trust funziona bene appunto perché può consentire di scindere la titolarità della partecipazione, espressione del diritto di voto, dalla governance, che determina l’operatività dell’azienda. Inoltre è uno strumento flessibile che consente di strutturare un programma dinamico, un progetto di lunga scadenza con cui il disponente affida una parte del proprio patrimonio a un soggetto che si chiama trustee, per poterlo amministrare nell’interesse dei beneficiari. È una sorta di cassaforte di famiglia in cui il patrimonio viene segregato appunto per essere funzionalmente asservito al miglior raggiungimento degli scopi e a favore dei beneficiari per cui è stato istituito. Il che lo rende inattaccabile in tutti i casi in cui le vicende personali, familiari e patrimoniali dei vari soggetti coinvolti avrebbero potuto erodere il patrimonio libero in assenza di pianificazione. Con la donazione o il patto di famiglia si prende invece una decisione che non dipende più dal disponente e neppure da chi riceve l’azienda, basta una sfortuna per mettere a repentaglio la creatura tanto cara al nostro disponente/imprenditore.
Spesso si associa all’idea di trust il concetto di spossessamento del patrimonio rendendo questa via più difficile da percorrere sotto il profilo psicologico per il disponente. Come si può aiutare il disponente a superare questo bias?
Si deve partire dall’assunto che la successione può creare problemi se non pianificata, anche solo in caso di due figli che hanno a loro volta le loro famiglie e dunque soggetti che si moltiplicano nella linea successoria. In caso di partecipazioni, questo può creare stallo anche per nominare il cda e per decidere le linee guida delle società.
Senza contare il depauperamento complessivo derivante dal rischio di non poter godere dell’esenzione fiscale in caso di trasferimento delle partecipazioni di società di capitali, che si ottiene se i discendenti che acquisiscono o integrano la percentuale di controllo (ergo diritto di voto del 50% + 1 dei voti in assemblea ordinaria), la mantengono per cinque anni, secondo l’art 3, comma 4 ter, del decreto legislativo 346 del 1990. Con il trust questa esenzione è pacificamente raggiungibile qualora i beneficiari del trust siano discendenti in linea retta del disponente senza dover necessariamente nominare un rappresentante comune dei coeredi e senza dover interpellare il giudice tutelare in presenza di minori.
Questi vantaggi compensano la potenziale ingerenza del terzo, che è ciò che dà l’idea dello spossessamento. Ma che in realtà genera più benefici che rischi. I trust possono essere auto-dichiarati quando prevedono come trustee il disponente stesso, quando l’architettura è più funzionale al singolo caso di specie. Ma è elevato il rischio che la situazione presenti criticità quando, in caso di conferimento di partecipazioni, disponente, trustee, beneficiario e amministratore unico della società coincidono.
Inoltre, bisognerebbe razionalmente mostrare che scindere proprietà e usufrutto – mossa che viene spesso fatta in maniera apparentemente indolore – prevede in fatto e in diritto lo spossessamento. Trasferendo beni a un trustee, invece, posso mettere insieme gli effetti tipici sia della successione e sia della donazione, prevedendo però nell’atto istitutivo cosa vorrei fosse fatto con i miei beni: insomma, tutt’altro che uscire di scena, perdere il controllo, passare il testimone. Sto organizzando e proteggendo il patrimonio e gettando le basi per un ordinato passaggio dei valori, sia patrimoniali che intangibili, cercando di minimizzare gli impatti fiscali, di potenziale contenzioso e depauperamento.
E poi, certamente, in aggiunta a tutto questo, il trust può essere usato per altri obiettivi.
Si possono creare trust di scopo, per fare beneficenza come nel caso del Trust Onlus “Uniti oltre le attese” recentemente istituito da BPER Banca, o parlando di partecipazioni, per prevenire o coadiuvare procedure concorsuali, per scopi di garanzia o per istituire voting trust. Per esempio, in assenza di legittimari, si possono attribuire le partecipazioni a favore di ordini ecclesiastici o enti del terzo settore, o alla collettività, restituendo risorse al territorio ovvero per salvaguardare il tessuto produttivo che lavora per la nostra azienda.Si può anche istituire un trust per assicurarsi che il proprio animale, che nel corso della nostra vita è diventato quasi un figlio, rimanga curato e custodito nel tempo.
Nel nostro ordinamento l’animale non può essere titolare di diritti di natura patrimoniale: l’utilizzo del trust permette di superare questo limite ed evitare di ricorrere a disposizioni testamentarie a favore di terzi soggetti, in virtù delle quali si può solo sperare che chi riceve per testamento adempia realmente l’obbligo di destinare il patrimonio ricevuto alla cura e all’assistenza dei fedeli e amati animali.
La pandemia ha reso il tema della programmazione ancora più urgente?
La pandemia ha accelerato l’esigenza di pianificazione, ha reso più consapevoli le famiglie che non affrontano volentieri questi temi per scaramanzia, mancanza di tempo, avversione. Molte persone pensano che non toccherà a loro, si ritengono in grado di proteggere, governare ed indirizzare fino a quando saranno in vita. Del resto cosa mai potrà succedere a degli highlander e self-made men? Patrimonio societario creato e sviluppato, florido e redditizio, investimenti finanziari e liquidità cospicua sui conti correnti, patrimonio immobiliare variegato e di pregio.
La pandemia ha aperto il vaso di Pandora di questa semplice verità: le persone si sono trovate ricoverate e qualcuno non è più uscito da un reparto Covid, si è percepito che siamo più vulnerabili, non esiste soltanto l’evento che determina l’apertura della successione ma purtroppo sono sempre più frequenti situazioni di difficoltà e di incapacità di autodeterminazione e dunque in molti casi si è scelto di agire anche in un’ottica preventiva.
Irripetibile occasione per erogare servizi di consulenza, in sinergia con i consulenti dei clienti quando desiderato.
Qual è il momento giusto per pianificare?
Il momento giusto è adesso. Una recente indagine dell’Istituto di ricerca Finer (Finance Mirror 2018 – 2020), compiuta su un campione rappresentativo di 900 soggetti con patrimonio superiore al milione di euro, ha rilevato che il 34% degli intervistati ritiene che non affronterà il tema nei prossimi mesi e ben il 15% è indeciso in merito. Solo il 9% degli intervistati afferma di conoscere il trust, mentre ben il 52% afferma di non averne conoscenza.
D’altronde prevenire è meglio che curare e farlo quando si è in una situazione in bonis senza attendere momenti ritenuti imprevisti e improbabili è strategico: quando si verificano determinati eventi, pur con percentuale di probabilità bassa, la loro portata improvvisa e dirompente rende tardiva ogni possibile azione.
(articolo pubblicato sul numero di luglio/agosto del Magazine We Wealth)