L’esperimento artistico di Tripstillery.
Negli anni ’80 la chiamavano “Milano da bere”, una città che – per dirlo con le parole di una reclame televisiva ideata dal pubblicitario Marco Mignani – “rinasce ogni mattina, pulsa come un cuore. Milano è positiva, ottimista, efficiente; Milano è da vivere, sognare e godere”. Traghettata da un secolo all’altro, quest’epoca di movida, fatta di aperitivi alla moda, eventi a non finire e un amore per la mixologia che a giudicare dalla quantità di locali notturni, pub e bar presenti nel capoluogo non sembra essersi esaurita, si è evoluta nel tempo ed è diventata a tutti gli effetti parte integrante del DNA meneghino.
Ma in un luogo in cui i locali da frequentare e le esperienze da provare sembrano non finire mai, come fare a distinguersi dalla concorrenza? A dare una risposta quanto mai originale a questo annoso quesito è Tripstillery Milano (Piazza Alvar Aalto, n.1N01), il primo cocktail bar con una micro-distilleria all’interno, un “luogo dove la magia della distillazione si connette con il fascino della miscelazione e dello ‘stare bene’”.
Tripstillery – Un viaggio nel mondo degli spiriti
Un vero e proprio “viaggio nel mondo degli spiriti” – come suggerisce brillantemente il nome – creato in seno a Farmily Group, progetto che unisce 7 imprenditori-bartender a capo di alcuni dei locali più “in” della città. Grazie alla mente creativa di Flavio Angiolillo, al particolare alambicco progettato da Nicola Corna e – soprattutto – alle sapienti mani del master distiller Francesco Zini, Tripstillery è in grado di fondere insieme il fascino misterioso dei processi di produzione non industriali e l’alta qualità del settore dell’hospitality in un unico luogo.
Bresciano, classe 1982, Zini si è formato grazie agli incontri e agli insegnamenti di diversi professionisti del mondo del gusto e un periodo di affiancamento e crescita tecnica accanto al maestro Silvano Facchinetti, presidente della federazione ANAG – Assaggiatori Grappa e Acquaviti, dando forma negli ultimi anni a un personale metodo di produzione in piccoli lotti, dove la sperimentazione su botaniche e tecniche artigianali è all’ordine del giorno.
“Un lavoro incentrato sulla personalizzazione delle ricette che ha reso fondamentale l’ascolto e l’empatia con il cliente – ci spiega, – completando così il ruolo tecnico con una significativa componente umana. Tripstillery è un luogo unico perché unisce distillazione e miscelazione. Qui si può vedere nascere il proprio gin, amaro o liquore e gustarlo subito dopo in un cocktail pensato per valorizzarlo al meglio. Grazie anche alla coltivazione delle botaniche nella nostra Farm a 600 metri di altitudine, tra le colline del Lago d’Iseo, rendiamo tangibile la connessione tra ciò che si beve, chi lo crea e dove nasce.”
La decisione di Tripstillery di aprire le porte al mondo dell’arte contemporanea
Conoscendo, dunque, i protagonisti di questa realtà produttiva così originale e incline ad accogliere ogni novità, non appare certo strana la decisione di aprire le proprie porte al mondo dell’arte contemporanea che per sua natura ha a che fare con la creatività, la sperimentazione e l’innovazione.
Tripstillery Art Collection. A raccontarci le origini del progetto che nel 2024 ha promosso e avviato la collezione d’arte di Tripstillery è la curatrice Elena Maccari, storica e critica d’arte che ha alle spalle molteplici collaborazioni con fondazioni ed enti privati e una significativa esperienza nel mercato secondario dell’arte moderna e contemporanea. “Lo scorso anno, dopo una lunga esperienza in casa d’aste, ho deciso di fare ritorno alle origini e dedicarmi a progetti che coniugano arte contemporanea emergente e impresa” – ci racconta. “Parlo di ‘ritorno’ in quanto la mia tesi di laurea magistrale era incentrata proprio sulla collaborazione tra un grande imprenditore, Osvaldo Borsani, e numerosi artisti, tra cui Lucio Fontana, Agenore Fabbri, Arnaldo Pomodoro e Aligi Sassu.”
Com’è nata l’idea di creare la Tripstillery Art Collection
In particolare, l’idea di inserire delle opere d’arte all’interno del cocktail bar nasce quasi casualmente grazie al fortuito incontro con l’AD di Tripstillery “mi recavo spesso in pausa pranzo da Tripstillery, ho sempre amato l’attenzione e la cura per i dettagli, la location meravigliosa e l’unicità dei loro prodotti. Una sera, dialogando con Francesco Bonazzi, è emersa la possibilità di creare qualcosa che potesse unire il mondo dei distillati e quello dell’arte. Così, a maggio 2024 ho presentato il progetto ‘Tripstillery Art Collection’. Da subito il team si è mostrato molto attento, partecipe e curioso. Il progetto ha trovato un terreno particolarmente fertile su cui crescere ed evolversi, è stato tutto un continuo crescendo, un climax ascendente. Grazie a questa iniziativa, oggi la clientela di Tripstillery coinvolge un nuovo pubblico, quello legato ad artisti, galleristi, collezionisti e altri professionisti del settore dell’arte.”
Il progetto si radica nella ferma convinzione che gli artisti siano, come direbbe lo scrittore e curatore Gianluigi Ricuperati, “sismografi viventi perfetti” e cioè sensibili a tutte le sottili vibrazioni, tensioni e cambiamenti nella società, capaci di percepire e interpretare le dinamiche culturali, sociali ed emotive, fungendo da indicatori precoci di trasformazioni e tendenze del presente. Per questo, la curatrice ha scelto di coinvolgere 4 giovani artisti ultra-contemporanei – Pablo Bermudez, Thomas Berra, Nicole Colombo e Agnese Guido – e creare una piattaforma di dialogo e confronto con il mastro distillatore di Tripstillery, con l’obiettivo di produrre sia opere d’arte permanenti sia veri e propri “capolavori edibili.”
Il lavoro degli artisti
Gli artisti, infatti, sono stati invitati non solo a realizzare un lavoro site specific per gli ambienti di Tripstillery, ma anche a collaborare attivamente con il Master Distiller per realizzare una limited edition di un TripGin disponibile in sole 90 bottiglie, di cui 9 pezzi unici che portano la loro firma. “Il progetto è di per sé innovativo – afferma Zini. – Spesso l’arte viene usata per “vestire” una bottiglia, mentre noi abbiamo ribaltato questo approccio.
Per la prima volta abbiamo creato un gin in cui contenuto e immagine nascono insieme, in un dialogo reale tra distillazione e arte. Questo ci ha permesso di entrare in contatto con un pubblico diverso, che si è lasciato incuriosire e coinvolgere da questa sinergia. Il lato più interessante di questa esperienza è stato il confronto con i diversi artisti: ognuno con la propria sensibilità artistica e peculiarità tecnica e ciò mi ha consentito di intraprendere quattro percorsi molto diversi tra loro. Il confronto è stato paritario, la distillazione ha completato l’arte e viceversa. La cosa più stimolante è stata proprio osservare l’influenza e la contaminazione reciproca che questi due mondi sono riusciti a esercitare l’uno sull’altro.”
Naturalmente, ci spiega Maccari, come ogni esposizione pensata per uno spazio di lavoro, ci sono alcuni aspetti da tenere in considerazione, dai limiti strutturali – ad esempio, pareti che non possono essere toccate, oggetti legati alla storia dell’azienda che non possono essere spostati – a opportunità inedite, come la possibilità di sfruttare un gioco di specchi e di riflessi per l’opera di Bermudez o la collocazione insolita delle tele, come nel caso di Agnese Guido, che ha creato un percorso espositivo celato tra gli anfratti del locale, una sorta di “caccia all’opera d’arte”.
Una collocazione naturale
Ogni opera, alla fine, ha trovato la propria naturale collocazione: “l’unicità di Tripstillery Art Collection risiede proprio nel rapporto che si è creato tra gli artisti e il mastro distillatore. Ogni artista è stato coinvolto direttamente nel processo produttivo della distilleria andando a creare, in base alla propria ricerca artistica, al proprio vissuto e alle proprie conoscenze, un gin ma – allo stesso modo – la realizzazione delle opere è stata influenzata dall’identità e dal metodo di lavoro di Tripstillery: prima di approcciarsi alla realizzazione dell’opera, tutti e 4 gli artisti hanno partecipato a un sopralluogo, seguito il lavoro in distilleria e approfondito le diverse fasi del processo produttivo. Le opere nascono dai colloqui con Zini e contengono tutte le riflessioni emerse durante tali incontri.”
“Ogni artista, come ogni cliente, ha caratteristiche uniche – aggiunge Zini. – Lavorare insieme ci ha aiutato a sviluppare uno sguardo ancora più attento e personalizzato. Tripstillery Art Collection è stata un’ulteriore occasione di crescita nel saper trovare la chiave di lettura di ogni persona con cui ci siamo confrontati.”
Gli Artisti. “Ho voluto coinvolgere autori ultra-contemporanei perché creare una collezione d’arte contemporanea significa, in primis, sostenere e conoscere il lavoro degli artisti – precisa, ancora, Maccari. – Dovevano contraddistinguersi per l’uso di tecniche e medium diversi in modo tale da potersi approcciare al progetto in modo singolare. Inoltre, volevo che fosse un progetto alla pari, che coinvolgesse artiste e artisti allo stesso modo.”
Pablo Bermudez
A inaugurare il ciclo di esposizioni – dal 16 ottobre al 10 novembre 2024 – è stato Pablo Bermudez (Pereira, Colombia, 1988), artista colombiano con formazione italiana che indaga il ruolo delle immagini utilizzate dai mass media come mezzo per diffondere e divulgare certi canoni e messaggi. “Ho conosciuto Pablo diversi anni fa, durante la pandemia da Covid-19 e da subito si è instaurato un rapporto di scambio e confronto – sottolinea Maccari. – Ho seguito il suo lavoro in Italia e all’estero, intervistandolo a febbraio 2024.

Pablo Bermudez, K_Kestine & Gintonic, 2024
Il senso di identità e i movimenti migratori
È un artista strabiliante, la sua ricerca riguarda alcune tra le più scottanti tematiche odierne, come il senso d’identità e i movimenti migratori, mentre il suo linguaggio si estende ai più svariati supporti. Sapevo che avrebbe dato a questo progetto un grande contributo.” L’opera “K_Kestine & Gintonic” (2024, rivista intagliata) ci presenta così il gesto artistico di Bermudez, un vero e proprio atto sovversivo che trasforma la superficie bidimensionale in un’installazione tridimensionale, diventando quasi un “Concetto spaziale” di fontaniana memoria: attraverso l’uso di un cutter, l’artista incide i volti dei personaggi che popolano le copertine di riviste di moda e – scavando in profondità – lascia emergere in superficie nuovi contenuti che trasformano e modificano il soggetto indagato e, di conseguenza, il messaggio veicolato.
Di fronte a quest’opera dove l’ambiente diventa parte integrante del contenuto, l’osservatore è ammaliato dalle linee morbide, avvolgenti e sinuose della figura tanto quanto è sedotto dal primo incontro con il TripGin creato per l’occasione: camomilla e rosa, le prime botaniche che si percepiscono all’olfatto appaiono morbide e profumate ma il distillato – così come l’opera di Bermudez invita ad addentrarsi con lo sguardo nei dettagli lacerati della carta per scoprirla man mano – invita ad andare oltre, svelandosi con sfumature più secce e balsamiche grazie a lavanda, malva e viola. Resinoso e pungente, il ginepro si fonde con questi odori e sapori senza sovrastare. Un gin che, secondo Zini, “ha una doppia valenza: forza e morbidezza, decisione e dolcezza.”
Thomas Berra
Dal 4 dicembre 2024 al 15 gennaio 2025 è stata la volta di Thomas Berra (Desio, 1986), conosciuto da Elena Maccari nel corso della Cremona Art Week 2024 grazie a “Fai bene finché hai tempo” (2024), opera in cui la curatrice ha colto subito l’intensità del suo lavoro: “la visita in studio è stata una conferma. Mi ha accolto con le sue ‘Vagabonde’, piante selvatiche e resilienti protagoniste delle sue tele e carte. Thomas è un narratore eccezionale e non avevo dubbi che il suo incontro con Tripstillery e, in particolare, con Francesco Zini potesse racchiudere un reciproco scambio di conoscenze.”

Thomas Berra, Studio per vagabonde 70x50
Non a caso, sin dal loro primo incontro sono emerse molteplici affinità e similitudini legate al proprio lavoro. Partendo da uno scambio e indagine sulle più svariate botaniche e ‘vagabonde’, la creazione del gin è stato frutto di un dialogo e confronto alla pari. Se la ricerca di Berra è un processo vivo e mutevole, questo gin è partito da un’immagine: la bottiglia come un giardino selvatico, dove molteplici componenti dialogano tra di loro, intrecciandosi senza sovrapporsi, un omaggio alla resistenza e diversità delle piante spontanee. “Poter assistere al processo creativo di entrambi [artista e mastro distillatore] è stata un’entusiasmante manifestazione di come due campi diversi possano fondersi, parlarsi e convergere in un progetto unico e d’insieme”, confida ancora Maccari.
L’apparente semplicità delle forme vegetali
L’opera realizzata da Berra – “Studio per vagabonde” (2024, tecnica mista su carta rosaspina) – permette all’osservatore di perdersi nella semplicità delle forme vegetali che dominano, incontrastate, la superficie dell’opera, per poi addentrarsi in profondità per fare spazio a un universo vegetale indomito. Nuove forme e colori emergono, passo dopo passo, e prendono vita su molteplici strati. Di fronte a questa varietà di piante indomite diventiamo esploratori che, a ogni cambio di direzione, scovano e si perdono in nuovi dettagli, scoprendo di essere immersi in un paesaggio immaginifico”.
Il TripGin che ‘viaggia’ insieme a questo lavoro è, secondo Zini, “un’ode alla forza e alla bellezza delle piante spontanee, ispirato alla vitalità di un giardino selvatico. Alla base, un London Dry deciso, a 49 gradi, dove il ginepro emerge con tutta la potenza indomita della natura, mentre tutt’intorno le altre botaniche convivono in un’armonia ariosamente equilibrata. Le foglie di mirto, il trifoglio e la mentuccia nepitella aggiungono un tocco erbaceo e delicato”.
“Dolci amarezze”
“La nigella e l’ortica si fondono con la dolce amarezza del tarassaco e le note mielate dei fiori di acacia, mentre l’olivello spinoso e la rosa canina offrono accenni di frutti selvatici aciduli e note di colore appena percepibili, piccoli dettagli da scoprire con attenzione. Prima della distillazione, tutte le erbe sono state immerse in acqua, simbolo di ungiardinoche si apre alla pioggia, accogliendo ogni goccia come un dono prezioso. È un gin che invita a perdersi tra i suoi aromi, proprio come un giardino selvatico dove ogni angolo custodisce una sorpresa nascosta, da svelare con pazienza e meraviglia.”
Nicole Colombo
Nicole Colombo (Monza, 1991) è stata la terza protagonista del progetto di Tripstillery, ospitata dal 27 marzo al 5 aprile 2025 con la sua “Liminal space #1” (2025, stampa su voile, tessuto leggero e trasparente).

Nicole Colombo, Liminal space, 2025
“Per quanto riguarda Nicole – ci racconta Maccari – sono stati i disegni, visti per la prima volta su Instagram a catturare la mia attenzione, accattivanti e provocatori. Le ho scritto, chiedendole la possibilità di avere una visita in studio e sono stata da lei lo scorso luglio. Lì ho avuto modo di comprendere il suo linguaggio, la sua sapienza nell’uso dei materiali, la sua ricerca prevalentemente di tipo antropologico. Nicole è riuscita a traslare il suo modus operandi all’interno di Tripstillery: il suo lavoro parte da una dimensione intima e personale sino a giungere a una dimensione collettiva e aziendale, che ha permesso di coinvolgere il team del cocktail bar.”
La ricerca di Colombo si estende allo spazio o, meglio, ai luoghi che le sue opere andranno ad abitare: l’artista studia e analizza ogni dettaglio e lavora con una molteplicità di media, dalla ceramica al bronzo, dalla carta alla tela, fino al legno. “L’incontro con Francesco Zini è stato dirompente: entrambi hanno posto come base di lavoro la sperimentazione e il processo artistico si è trasformato, così, in un’esperienza unica e arricchente. Da un lato l’esplorazione di un mondo nuovo per Nicole, quello del gin, dall’altro la ricerca e studio per un distillato equilibrato e ‘stabile’ per Francesco. Un gioco di equilibri, un saper andare oltre, un poter esplorare nuove terre e concetti.”
L’intreccio fra presenza e assenza
“Questo Distilled Gin si ispira alla ricerca di Nicole Colombo, dove presenza e assenza si intrecciano in un equilibrio sottile – conferma Zini. – Al naso, le note dolci e avvolgenti del papavero emergono con intensità, invitando all’assaggio, ma è al palato che il gin rivela la sua vera natura: l’ingresso è secco, con note balsamiche e amarognole in totale equilibrio, come nella sospensione di un momento perfetto. Un gin che ferma il tempo e accompagna un’incubazione di benessere senza sbalzi emotivi, dove essere presenti a se stessi diventa parte dell’esperienza.”
In linea con il TripGin creato per l’occasione, l’autrice ha realizzato un pezzo davanti a cui la vista si offusca, in cui percepiamo dettagli e particolari a noi conosciuti e familiari, ma disorientanti. Dal fondo emerge un’architettura classica immersa in un campo di papaveri, ma nessun riferimento spaziale aiuta a collocare l’immagine in un luogo realmente esistente: la matrice concettuale dei lavori di Colombo spinge proprio sull’idea di presentare situazioni e luoghi che smuovano e inneschino reazioni di reminiscenza nel pubblico, ma i soggetti sono collocati in luoghi altri, sospesi in una bolla e privi di ogni dimensione temporale.
Agnese Guido
Chiude il quartetto Agnese Guido (Lecce, 1982), che ha infine animato la primavera di Tripstillery dal 15 al 30 maggio 2025 con “The journey of the drop” (2025, quattro gouache su carta cotone e due smalti e olio su tela). “Avevo visto una sua tela alla Triennale nella mostra ‘Pittura Italiana Oggi’ a cura di Damiano Gulli [2023-2024]”, ci confida la curatrice. “Le ho chiesto un incontro in studio e sono rimasta incantata dalle sue carte. La sua capacità narrativa e il suo saper dar vita a oggetti del quotidiano mi hanno dato modo di cogliere molteplici affinità con il modo di lavorare di Tripstillery. Agnese ha saputo creare una storia avente come protagonista una bottiglia, abitando gli spazi del bar in un divertissement in continuo movimento e trasformazione.”

AgneseGuido, senza titolo (The journey of the drop IV) 2025
Magia, meraviglia, stupore e gioco sono, infatti, le parole chiave per comprendere il lavoro di Guido, la cui ricerca parte dalla realtà e dagli oggetti che “abitano” i nostri spazi. L’artista ha scelto di realizzare un’opera itinerante, trasformando il proprio intervento in uno storytelling: il pubblico è invitato a ricercare nei locali di Tripstillery il prosieguo della storia, condotto nella lettura del progetto attraverso un “titolo-guida” che lascia presagire il fatto che ogni pezzo è ricco di indici e spunti per il successivo. Il fruitore, attivamente coinvolto, è lasciato libero di costruire il percorso in base alla propria libera interpretazione.
“Guido è una narratrice strabiliante e anche l’incontro tra lei e Zini è stato coinvolgente e immersivo. In un processo complementare, hanno dato forma alle loro creazioni: partendo da un primo studio dell’opera, Agnese e Francesco hanno cominciato un viaggio in cui la protagonista, come ognuno di noi, si evolve e si trasforma.”
Un viaggio emotivo
Il TripGin creato in quest’occasione non poteva che rappresentare un viaggio emotivo, riflettendo la poetica di Guido, un attraversamento di stati d’animo e passaggi interiori dove le sensazioni si fondono e si dissolvono in un unico ciclo. L’impatto iniziale è delicato, con un profumo che ricorda un bouquet floreale e lievemente erbaceo, sfumato e non del tutto definibile, ma la svolta avviene con un’improvvisa nota legnosa, di quercia arsa, che introduce un senso di trasformazione.
Sul palato, il dolce si spegne nell’amaro, l’effimero diventa cenere e la leggerezza dei fiori lascia spazio a una profondità inattesa e rituale. “Il gin si muove tra estremi opposti, dolcezza e bruciato, luce e buio, che ritornano e si alternano come fasi di uno stesso ciclo, dove ciò che è positivo è ciò che è negativo si confonde. – afferma Zini. – È un distillato di contrasti che non risolvono e spingono a sostare nella tensione tra ciò che accende e ciò che spegne, tra ciò che consola e ciò che inquieta.”
Un’esperienza, dunque, dirompente e fuori da quegli schemi che solitamente connotano le collaborazioni tra mondo dell’arte e mondo degli alcolici, dove l’opportunità di creare una sintonia tra ambienti, persone e gusto vale molto più della mera possibilità di appendere un’opera d’arte a una parete come semplice decorazione. “Quello che non mi aspettavo è come il lavoro con gli artisti abbia generato rapporti umani autentici – spiega ancora Francesco. – Le serate di Tripstillery Art Collection non sono state solo incontri su arte, sapori e profumi, ma anche momenti di festa dove l’artista si è rivelato/a nella sua dimensione più personale. Questo scambio ha aggiunto un valore inaspettato all’esperienza.”
Tripstillery, l’arte fa bene allo spirito?
A questo punto ci sembra legittimo chiedergli, quindi: possiamo dire che l’arte faccia bene (anche) al business? “Assolutamente sì, ma forse non nel senso più immediato del termine. L’arte è prima di tutto uno stimolo per la creazione, per il confronto, per trovare nuove strade. Così come l’arte genera altra arte, può essere anche un motore per ripensare e rinnovare il proprio approccio, uscire dalle abitudini e crescere. E questo, inevitabilmente, fa bene anche al business.”
Curiosissime di sapere quali firme arricchiranno la Tripstillery Art Collection, segnaliamo nel frattempo l’ultima e imperdibile mostra prima della pausa estiva, una collettiva che ci permetterà di vedere riunite per la prima volta tutte e 4 le opere, i TriGin e gli artisti protagonisti del progetto: appuntamento, quindi, a giovedì 19 giugno 2025, dalle ore 18 presso Tripstillery Milano, non mancate!
Domande frequenti su Tripstillery Art Collection, dove l’arte e la distillazione si incontrano
L'idea è di unire il mondo degli spiriti con quello dell'arte contemporanea, creando un'esperienza che valorizzi entrambi. Tripstillery ha deciso di aprire le sue porte all'arte contemporanea, vedendo una naturale collocazione tra le due discipline.
L'articolo menziona il senso di identità e i movimenti migratori come temi centrali nel lavoro di Pablo Bermudez. Questi temi sembrano risuonare con la filosofia di Tripstillery.
L'articolo sottolinea l'apparente semplicità delle forme vegetali nel lavoro di Thomas Berra. Questo aspetto viene definito 'Dolci amarezze'.
Nicole Colombo esplora l'intreccio fra presenza e assenza attraverso la sua arte. Questo tema aggiunge un ulteriore livello di profondità all'esperienza offerta da Tripstillery.
L'articolo descrive l'esperienza artistica di Agnese Guido come un viaggio emotivo. Questo suggerisce che la sua arte mira a suscitare forti reazioni nel pubblico.