L’anno appena iniziato si porta dietro l’eredità del 2022, le sue tensioni geopolitiche, i suoi tassi in ascesa. I megatrend in atto da qualche anno. Come impatta questo mutato scenario sulla costruzione di un buon portafoglio wealth? Lo abbiamo chiesto a Paolo Tenderini, country head per l’Italia di Edmond de Rothschild.
Quali sono i principali trend ravvisabili nell’industria del wealth management in questo inizio d’anno?
Il primo e più importante trend che stiamo vivendo è quello demografico. Da qualche anno – e proseguirà ancora per molto – è in atto uno dei più grandi passaggi di ricchezza intergenerazionali che si siano mai visti. Si tratta di un’opportunità, ma anche di un tema sensibile per il settore: è in atto un allargamento della base della clientela. Un tema che rimescola le carte in tavola per chi fa wealth management e vuol far crescere il business; si tratta di un fenomeno sostanzialmente diverso rispetto al precedente passaggio generazionale. Oggi, a meno di peculiarità personali, il cliente ricco ha un profilo molto diverso in base alla propria età. In mezzo è intervenuta la rivoluzione digitale, ma non solo. I più giovani al giorno d’oggi sono molto più attenti alle tematiche della sostenibilità, ai mercati dei capitali privati, alle criptovalute. Bisogna essere in grado di servire entrambe le tipologie di clientela. Una parte può aver necessità solamente di un service automatizzato a basso costo, mentre i clienti più senior di un servizio più personale e diretto. Il consulente finanziario, con il supporto della propria organizzazione, deve essere capace di essere quello che i clienti chiedono, indipendentemente dalla loro età e dai loro bisogni. Saranno queste qualità a fare la differenza.
Date le circostanze attuali, quanto è robusta da parte del cliente la domanda di Esg?
Stando a una recente ricerca Consob, siamo in una situazione di mezzo. Circa il 25% del campione non è interessato a queste tematiche, il 20% lo è solo in presenza di importanti ritorni finanziari. La parte restante si dice generalmente interessata. Ma poi, guardando ai portafogli, si scopre che solo il 15% ha investito seguendo le logiche della sostenibilità. Si può indagare se dipende dall’offerta degli operatori o dalle scelte fatte dal cliente. Ad ogni modo, l’industria (e il regolatore) non è ancora del tutto pronta, dovendosi anche guadagnare la fiducia dei clienti che spesso temono operazioni di greenwashing (cambiare il nome a un fondo per renderlo sostenibile, per dire, ndr). Ad ogni modo i ragazzi giovani sono molto sensibili alle tematiche Esg, più dei loro genitori e dei loro nonni. L’industria si allineerà: le aziende per prime sanno che, se vogliono essere sul mercato, devono essere allineate con quei principi.
Oltre al megatrend della demografia, ne ravvisa altri nell’industria?
Una tendenza molto forte negli ultimi anni è quella dell’emergere dei mercati privati nell’asset allocation strategica della clientela private di una certa dimensione. È un trend che permarrà, è uno dei temi fondamentali non solo del settore, ma anche del modello di ingaggio che l’industria ha verso il cliente.
Negli anni scorsi erano l’attraente alternativa a un contesto perdurante di tassi bassi, quando non negativi.
Si. Anche indipendentemente dai tassi, è ormai consuetudine avere una parte private all’interno dei portafogli dei clienti più abbienti. Oggi le motivazioni di selezione di questo asset sono diverse, perché differenti sono le valutazioni delle aziende. Ovviamente il rialzo dei tassi di interesse sarà un tema per l’utilizzo della leva, ma in generale il private equity è una asset class che dà risultati di lungo periodo, diversi rispetto a quelli degli asset più liquidi. Permette inoltre al cliente di essere ancor di più allineato con i propri valori e idee, con i precisi temi di investimento che gli sono cari. Per questo abbiamo costruito una apposita piattaforma operativa sui mercati privati, al servizio dei banker. È un modo per gestire ancora meglio il portafoglio dell’azionista, meno influenzato dalle dinamiche dei soli tassi di interesse.
Un esempio?
Abbiamo messo in piedi una strategia con professionalità provenienti dal mondo dell’agrifood, per investire nelle aziende che stanno tecnologizzando quel settore. Un mercato interessantissimo, giovane – è partito 5-6 anni fa. Il ritorno che stiamo avendo è straordinario. A investire in questo comparto sono soprattutto operatori del settore, guardando strategicamente al futuro.
Come bisognerebbe muoversi per costruire da zero un portafoglio wealth?
Siamo in un contesto di grandi ritorni cui non eravamo più abituati, se non prendendoci grossi rischi. Un portafoglio di buona qualità oggi deve essere sostenibile, contenere obbligazioni di buona qualità con scadenze non troppo lunghe; per quanto riguarda l’equity siamo ancora cauti; ma costruire un portafoglio con una logica pac su aziende di buona qualità, con buoni dividendi, è certamente possibile. Il private market dovrebbe rimanere fra il 5% e il 15% del portafoglio.
Che settori scegliere?
Possono essere per esempio il lusso, i consumer staples, i finanziari. Costruendo nel tempo il proprio portafoglio, si può fare un buon lavoro.
Su che direttrici si orienterà lo sviluppo strategico di EdR nei prossimi mesi?
Proseguiremo la strategia di crescita degli ultimi anni, introducendo professionalità nuove, in arrivo da altre realtà. Saranno in grado di supportarci nella proposizione al cliente di soluzioni ulteriori rispetto a quelle cui eravamo abituati; ciò avverrà sia nel front end (banker) che nella parte di struttura, volta servire i consulenti finanziari nel modo migliore. Un altro elemento che caratterizzerà il nostro sviluppo strategico nell’anno a venire è quello della geografia (è prevista l’apertura di nuove sedi in Italia, ndr). Desideriamo essere sempre più vicini ai nostri clienti, con l’intenzione di essere al top anche per quanto riguarda le idee da proporre loro, sempre rapportate alle situazioni di mercato; ma con in più una logica che è quella di investire nel lungo periodo, puntando non solo sui risultati finanziari ma anche sull’impatto. La ricchezza è una leva per costruire e sviluppare il nostro futuro prossimo. Sono i valori nostri e del nostro azionista, la bussola che ci guida.