La pianificazione successoria per evitare conflitti familiari
La successione rappresenta un momento delicato nella vita di una famiglia. Spesso, la distribuzione del patrimonio del defunto può generare tensioni, incomprensioni e, nei casi peggiori, litigi e contenziosi tra eredi. Il legislatore nel caso contenziosi successori ha previsto una fase preliminare di mediazione obbligatoria che in molte parte dei casi fallisce con la successiva apertura di un contenzioso lungo e faticoso per le parti.
La pianificazione successoria rappresenta dunque un momento cruciale nella gestione e nella trasmissione del proprio patrimonio.
In questo articolo, esploreremo le principali strategie e strumenti giuridici a disposizione del de cuius per evitare futuri litigi familiari, focalizzandoci sull’importanza di un testamento chiaro, sull’uso delle donazioni in vita e sulla opportunità di una comunicazione trasparente tra i membri familiari in merito a quanto ricevuto in vita.
Come scrivere un testamento che eviti i conflitti tra eredi
L’atto principale con cui procedere alla propria pianificazione successoria è il testamento, definito dall’articolo 587 c.c. come l’atto revocabile con il quale, per il tempo in cui si avrà cessato di vivere, si dispone di tutte le proprie sostanze o di parte di esse.
I requisiti per un testamento valido
Che requisiti deve avere un testamento per essere valido?
Perché il testamento sia un efficace strumento di prevenzione dei conflitti, deve rispettare alcuni requisiti essenziali.
Tra questi, di primaria importanza per evitare contenziosi, vi è la certezza. A norma dell’articolo 628 c.c., è nulla la disposizione a favore di persona non determinata o non determinabile.
Allo stesso modo si ritiene invalido il testamento in cui non sia determinato o determinabile l’oggetto del lascito. Ricorre l’ipotesi di disposizione a favore di soggetti determinati dallo stesso testatore (e non quella di disposizione a favore di persone da determinarsi successivamente in funzione di un criterio astratto, come quello di appartenenza ad una determinata categoria o ad una data famiglia) non solo nel caso in cui la disposizione sia stata dettata a vantaggio di soggetti nominativamente indicati, ma anche nel caso in cui i beneficiari, designati per relationem, siano immediatamente ed individualmente determinabili, in base a precise indicazioni fornite dallo stesso testatore.
È poi indispensabile che il testamento rispetti i requisiti formali a seconda della tipologia che è stata scelta dal testatore (olografo, pubblico o segreto) e che sia revocabile fino all’ultimo istante della vita del testatore.
Disposizioni sulla divisione dei beni: quando aiutano a prevenire le liti
Ai fini della pianificazione e di evitare i conflitti, si suggerisce che il testamento contenga disposizioni sulla divisione dei beni tra i coeredi, ai sensi degli articoli 733 e 734 c.c.
Queste disposizioni, sebbene presuppongano un’istituzione di erede (anche implicita), non sono considerate meramente accessorie, ma vere e proprie disposizioni testamentarie indipendenti. Possono addirittura costituire l’unico contenuto del testamento. Predefinire nel testamento le modalità di ripartizione dei beni o disporre l’assegnazione di specifici cespiti (cosiddetti assegni divisionali qualificati) può prevenire radicalmente le discussioni tra gli eredi al momento della divisione.
Donazioni in vita: gestire l’impatto su imputazione e collazione
Le donazioni compiute dal de cuius durante la vita rappresentano un altro elemento critico che incide sulla futura successione e che, se non gestito con chiarezza, può innescare liti.
Due istituti fondamentali disciplinano i loro effetti: l’imputazione e la collazione.
Chiare disposizioni testamentarie relative all’imputazione e alla collazione, specificando espressamente (ove voluto) le dispense tramite le apposite formule, sono essenziali per evitare dubbi sull’incidenza delle donazioni effettuate in vita sulle future quote ereditarie e sulle operazioni di ripartizione.
L’imputazione ex se: cosa significa e come funziona
L’imputazione ex se è un’operazione contabile imposta dalla legge ai soli legittimari (coniuge, discendenti, ascendenti in assenza di discendenti). Essi hanno l’obbligo di imputare alla propria quota di legittima le donazioni e i legati ricevuti. Queste attribuzioni sono considerate per legge come anticipazioni sulla quota di legittima.
L’imputazione è un procedimento indispensabile per verificare un’eventuale lesione della legittima e poter esercitare l’azione di riduzione. Non si configura come un obbligo di “conferire” beni, ma come un onere per il legittimario di dimostrare la lesione imputando ciò che ha ricevuto.
ll legittimario che abbia ricevuto una donazione analogamente al legittimario leso deve imputare tale donazione alla propria quota riservata per legge: in altri termini, entrambi devono attribuire alla loro quota, in virtù anche qui di un’operazione meramente contabile, il valore della eventuale donazione ricevuta.
L’imputazione effettuata “ex se” (inserendosi tra le operazioni di calcolo necessarie per completare quanto disposto dall’art. 556 c.c) fa valere la donazione come una sorta di anticipo (contabile) della quota di legittima, cosicché la liberalità non andrà a gravare sulla quota disponibile.
La logica di questo meccanismo è che il legittimario non potrà ottenere tutela nei confronti degli altri, oltre i diritti a lui riservati dalla legge, a meno che il donante non abbia diversamente disposto.
Quando serve la dispensa da imputazione
La dispensa da imputazione, allora, costituisce proprio questa “diversa disposizione”: la sua previsione impedisce di limitare quanto acquisito dal legittimario donatario entro i confini della quota a lui riservata dalla legge. Questo sistema consente di far gravare il valore della donazione sulla disponibile. L’effetto voluto dal de cuius, mediante l’inserimento della dispensa in questione, è, chiaramente, quello di estendere i benefici patrimoniali del legittimario donatario oltre la quota riservata, nel caso in cui venisse promossa un’azione di riduzione.
Ai sensi dell’art. 564, comma 2, c.c., la dispensa dall’imputazione ex se deve essere espressa e, quindi, occorre che la volontà di dispensare dall’imputazione sia ricavabile con certezza dal contesto della disposizione, senza ambiguità sul significato sia logico che letterale dell’espressione utilizzata, restando quindi esclusa la possibilità di utilizzare elementi esterni all’atto e di dedurre implicitamente una volontà in tal senso dalle disposizioni del donante.
Ne consegue che non può ravvisarsi una dispensa dalla imputazione alla legittima nella dichiarazione del donante che la donazione viene da lui fatta sulla disponibile.
La dispensa dall’imputazione “ex se” deve dunque evincersi inequivocabilmente dal contesto dell’atto, nè può desumersi dalla dispensa dalla collazione o dalla dichiarazione del donante che la donazione viene effettuata sulla quota disponibile.
La collazione tra eredi: chi deve farla e quando
Passando, poi, alla collazione: nella successione, essa costituisce, invece, operazione volta a determinare la massa ereditaria da dividere, al fine di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, in ragione della misura del diritto di ciascuno.
Tale determinazione avviene sommando il relictum e il donatum al momento dell’apertura della successione, in modo da garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire, su tale massa, una quantità di beni proporzionata alla propria quota. In tal senso – si aggiunge sempre in giurisprudenza (cfr., ancora, Cass. 18 luglio 2005, n. 15131, cit.) – l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione e si sostanzia nel conferimento, effettivo e non solo contabile, dei beni donati al compendio ereditario, indipendentemente da una espressa istanza dei condividenti: sarà sufficiente, a tal fine, la domanda di divisione e la menzione, in essa, dell’esistenza di determinati beni che siano stati oggetto di pregressa donazione.
Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all’obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza della stessa.
Quando si è obbligati a conferire alla massa ereditaria
La collazione, dunque, presuppone una comunione ereditaria da sciogliere ed è un obbligo, inoltre, che andrà assolto da parte solamente di determinati coeredi-donatari: vale a dire i figli, i loro discendenti e il coniuge del de cuius (cfr. comma 1 dell’art. 737 c.c.).
L’obbligo della collazione può essere eseguito in natura, mediante la restituzione alla massa comune da dividere del bene ricevuto, oppure per imputazione (cfr. artt. 724 c.c.; 746, comma 1, c.c.; 750 c.c.).
Come funziona la dispensa dalla collazione
Il donante ha la facoltà di dispensare espressamente il legittimario dall’imputazione. Questa dispensa ha lo scopo di far gravare la liberalità sulla porzione disponibile dell’eredità, permettendo al donatario di pretendere per intero la sua quota riservata.
Il limite della dispensa: l’intangibilità delle quote di legittima
Tuttavia, come ribadito anche da sentenze recenti l’effetto della dispensa incontra un limite: l’intangibilità della legittima altrui. Se la liberalità dispensata eccede la quota disponibile e intacca le quote di legittima degli altri, l’eccedenza sarà comunque esposta all’azione di riduzione.
Il valore dei beni donati per la collazione è quello al momento dell’apertura della successione.
La dispensa dalla collazione nei rapporti tra coeredi
Anche dalla collazione si può essere dispensati dal donante. La dispensa dalla collazione permette al donatario di conservare la donazione ricevuta e di non doverne tenere conto in sede di divisione. Si tratta di un atto con il quale il donante stabilisce un certo assetto della propria futura successione, prevedendo che, rebus sic stantibus, il beneficato, ove dovessero ricorrere, al tempo dell’apertura della propria successione, tutte le condizioni stabilite all’art. 737 c.c., non debba conferire agli altri coeredi quanto ricevuto con quella donazione e sempre che la dispensa, al tempo dell’apertura della successione, sia contenuta nel limite del valore della quota disponibile.
Riunione fittizia e valore dei beni donati
La dispensa dalla collazione esonera il donatario dal conferimento, ma non importa l’esclusione del bene donato dalla riunione fittizia ai fini della determinazione della porzione disponibile.
Dispensa tacita o indiretta: quando è valida
La dispensa da collazione si ritiene possa risultare anche in via indiretta. Si può, infatti, considerare esistente una dispensa dalla collazione quando, pur in assenza di una dichiarazione espressa, risulti comunque l’intenzione del disponente di voler dispensare il proprio donatario, ove tenuto, dall’obbligo della collazione, ovvero virtualmente, quando in relazione alle modalità tecniche con le quali la liberalità è compiuta, deve dedursi che vi sia stata l’intenzione di dispensare il beneficato dalla collazione.
Clausole di imputazione e assenza di dispensa
La clausola con cui il donante stabilisca che l’attribuzione a titolo gratuito deve ritenersi compiuta in conto di legittima e, per l’eventuale eccedenza, in conto disponibile, non implica dispensa dalla collazione, se è vero che, a quest’ultima, sono sottoposti tutti i beni donati, sia quelli della disponibile che della legittima: tale imputazione del donante non interferisce difatti, nei rapporti tra coeredi, ma solo sul limite che la quota di legittima rappresenta per il potere di disposizione del de cuius.
L’orientamento consolidato è che la dispensa da collazione non viola il divieto dei patti successori.
Differenze tra dispensa da collazione e da imputazione
La dispensa da collazione e la dispensa da imputazione operano su piani diversi: la prima incide nei rapporti tra coeredi per la divisione, la seconda sposta il limite della quota di legittima per il potere di disposizione del de cuius.
La donazione fatta ad un legittimario dal defunto a valere in conto legittima e per l’eventuale esubero sulla disponibile, con dispensa da collazione, è soggetta a riduzione, secondo i criteri indicati negli artt. 555 e 559 c.c., non implicando tale clausola una volontà del “de cuius” diretta ad attribuire alla stessa liberalità un effetto preminente rispetto alle altre in caso di esercizio dell’azione di reintegrazione da parte degli altri legittimari lesi, secondo quanto, invece, stabilito per le disposizioni testamentarie dall’art. 558, comma 2, c.c., e rimanendo, pertanto, il medesimo donatario esposto alla riduzione per l’eccedenza rispetto alla sua porzione legittima.
Le liberalità indirette: documentare l’intento per prevenire contrasti
Una frequente causa di attrito familiare in sede successoria risiede nella gestione e valutazione delle liberalità indirette. Si tratta di negozi o comportamenti che, pur non avendo la forma tipica della donazione, producono un arricchimento per il beneficiario senza un corrispettivo sacrificio, e che sono animati dall’animus donandi.
Esempi comuni includono il pagamento di debiti altrui (come il prezzo di acquisto di un immobile intestato al figlio), la cointestazione di conti correnti, bonifici bancari senza una causale chiara, o la consegna di beni di valore.
L’incertezza documentale alimenta le controversie tra eredi
Spesso, l’animus donandi in questi casi non è formalmente espresso al momento dell’atto, e l’operazione manca dei requisiti formali di una donazione tipica. Questa carenza documentale e la mancanza di un chiaro intento rendono difficile, dopo la morte la ricostruzione del patrimonio del disponente e la finalità di alcune movimentazioni. Questa incertezza è un terreno fertile per le discussioni familiari e le contestazioni tra gli eredi.
Il ruolo degli atti ricognitivi
Per ovviare a ciò, gli atti di ricognizione o di accertamento delle liberalità indirette assumono una notevole importanza.
Questi atti hanno lo scopo primario di documentare e definire il contenuto dell’atto o comportamento pregresso e di esprimere l’intento liberale sottostante.
La loro utilità principale è ricostruire in modo esatto il patrimonio del disponente e chiarire la ragione delle disposizioni fatte in vita.
In questo modo è possibile effettivamente consolidare la situazione di fatto, pur non sanando una eventuale invalidità formale di un atto precedente che richiedeva una forma specifica.
Quando l’atto ricognitivo è sufficiente
Per tali casi, potrebbero essere necessari ulteriori passaggi per formalizzare l’arricchimento. Tuttavia, per le liberalità indirette formalmente valide (come il pagamento di debito altrui), l’atto ricognitivo serve a esplicitare la causa liberale, fondamentale per le successive operazioni successorie. L’atto ricognitivo di una precedente donazione indiretta serve dunque a documentare, da una parte, l’arricchimento del donatario ed il corrispondente impoverimento del donante, e dall’altra parte l’animus donandi dell’autore della liberalità.
Il valore probatorio delle dichiarazioni nel testamento
Si noti che con l’ordinanza 8 giugno 2022 n. 18550 la Corte di Cassazione ha stabilito che la dichiarazione contenuta in un testamento, con cui il testatore affermi di aver donato un bene che, invece, era stato apparentemente venduto, va qualificata confessione stragiudiziale costituendo affermazione vantaggiosa per i legittimari e sfavorevole per l’erede.
Conclusioni: testamento, donazioni e chiarezza per una successione serena
In considerazione di tutto quanto sopra esposto, per una successione serena e per ridurre significativamente il rischio di contenziosi tra eredi, un testamento redatto in modo preciso e certo, possibilmente contenente disposizioni dirette sulla divisione dei beni, fornisce agli eredi una guida chiara sulle intenzioni del defunto.
La gestione consapevole delle liberalità effettuate in vita, comprendendo appieno le dinamiche di imputazione e collazione e utilizzando le apposite dispense in modo espresso, evita dubbi e contestazioni sull’incidenza delle donazioni sulle quote ereditarie.
Inoltre, l’utilizzo degli atti di ricognizione o accertamento per le liberalità indirette consente di superare le incertezze generate dalla mancanza di documentazione sull’intento liberale.
Documentare in modo chiaro l’intento liberale permette di rendere chiara la situazione patrimoniale, fornendo una base solida per le future operazioni di calcolo e divisione e, di conseguenza, riducendo i possibili conflitti tra i futuri coeredi in sede di successione.
Domande frequenti su Come evitare litigi tra eredi: consigli per una successione serena
L'obiettivo principale è evitare conflitti familiari che possono sorgere durante la distribuzione del patrimonio del defunto, prevenendo tensioni, incomprensioni e potenziali litigi tra gli eredi.
Il legislatore prevede una fase preliminare di mediazione obbligatoria, che spesso fallisce portando all'apertura di un contenzioso lungo e faticoso per le parti coinvolte.
Le donazioni in vita possono avere un impatto significativo sulla successione, richiedendo una gestione attenta dell'imputazione e della collazione per evitare contestazioni tra gli eredi.
Documentare l'intento delle liberalità indirette è fondamentale per prevenire contrasti tra gli eredi, in quanto l'incertezza documentale è una delle principali cause di controversie.
La chiarezza, ottenuta attraverso un testamento ben redatto, una gestione trasparente delle donazioni e una documentazione accurata, è essenziale per garantire una successione serena e minimizzare il rischio di litigi.