Accade non di rado che un soggetto chiamato all’eredità non voglia accettarla, ovvero sia impossibilitato a farlo: in tali casi di “delazione vacante”, soccorrono delle specifiche previsioni normative all’interno della successione.
Vengono in particolare in rilievo gli istituti della “rappresentazione”, della “sostituzione” (cosiddetta ordinaria” o “testamentaria”, per distinguerla dalla sostituzione fedecommissaria ex art. 692 c.c.) e dell’“accrescimento”.
La rappresentazione nella successione
La “rappresentazione”, disciplinata dagli artt. 467 ss. c.c., opera sia nel caso di successione legittima che testamentaria (tanto universale quanto particolare) e consiste nella devoluzione del diritto di accettare l’eredità ai discendenti – nati o concepiti, ed anche adottivi – del soggetto inizialmente designato, che non ha potuto accettare per premorienza ovvero indegnità (fattispecie che ricorre nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 463 c.c., consistenti in delitti, consumati o tentati, di particolare gravità nei confronti del de cuius e/o dei suoi più stretti congiunti, ovvero contro la sua libertà testamentaria).
Perché tale istituto possa operare è altresì necessario che il soggetto inizialmente chiamato alla successione (“rappresentato”) fosse figlio o fratello del de cuius.
La rappresentazione opera “all’infinito” (art. 469, comma 1, c.c.): conseguentemente, se un discendente (“rappresentante”) non può o non vuole accettare l’eredità, il diritto si trasmette a propria volta ai discendenti dello stesso, e così via (in deroga alla previsione dell’art. 77 c.c., che limita al sesto grado la rilevanza del rapporto di parentela a fini successori).
Se vi sono più chiamati in rappresentazione, la quota spettante a ciascuno di essi si divide a propria volta in parti uguali fra i suoi discendenti, non potendo essere attribuito ad ogni stirpe più di quanto sarebbe spettato al rispettivo capostipite (Cass. civ., sez. II, 11/5/2023, n. 12813).
I rappresentanti non sono titolari dei medesimi diritti del rappresentato, bensì succedono iure proprio allo stesso de cuius, sia pur nell’identica misura che sarebbe spettata al rappresentato (Cass. civ., sez. II, 7/2/2020, n. 2914). Essi sono inoltre tenuti a collazionare e a imputare quanto ricevuto a titolo di donazione.
La rappresentazione non opera se vi sono i presupposti di applicabilità della sostituzione (art. 467, comma 2, c.c.), mentre prevale rispetto all’accrescimento (art. 674, comma 4, c.c.).
La sostituzione nella successione testamentaria
La “sostituzione” (artt. 688 ss. c.c.) si verifica invece solamente nell’ambito della successione testamentaria (sia universale che particolare) e ricorre quando è lo stesso testatore a disciplinare a chi debba devolversi la chiamata, ove il soggetto inizialmente designato non possa o non voglia accettare. Se il testatore ha disposto per uno solo di questi casi, in assenza di volontà contraria si presume che lo stesso si sia voluto riferire anche a quello non menzionato.
Salva diversa volontà del testatore, non vi è invece sostituzione quando il designato deceda dopo l’apertura della successione, ma prima di aver accettato l’eredità: in tal caso, infatti, ai sensi dell’art. 479, comma 1, c.c. il diritto di accettare l’eredità si trasmette agli eredi (tutti quanti, sia legittimi che testamentari, e non solo i discendenti come in caso di rappresentazione).
La sostituzione – che non perde validità in caso di nullità od annullamento della prima designazione – può essere “plurima” (più soggetti vengono chiamati in luogo di quello inizialmente designato), “consecutiva” (vi sono più chiamate l’una di seguito all’altra), “reciproca” (disposta tra più designati in via primaria, reciprocamente fra loro: art. 689 c.c.). Il diritto del sostituito, salva diversa volontà del testatore, ha lo stesso contenuto di quello attribuito al primo chiamato.
Il testatore può comunque determinare a propria discrezione il contenuto della chiamata del sostituito, prevedendo una quota maggiore o minore, o anche stabilendo una diversa divisione dei beni fra i coeredi.
La nomina in sostituzione, ove comporti una lesione di legittima, può essere impugnata con l’azione di riduzione da parte degli eredi del primo chiamato.
Ai sensi dell’art. 690 c.c. i sostituti devono adempiere agli obblighi (ovverosia, modus e legati) imposti all’istituito subentrandone nella medesima posizione, salvo che il testatore abbia disposto diversamente, ovvero che si tratti di obblighi personali. È invece controverso se – in difetto di espressa previsione in tal senso da parte del testatore – operi anche per i sostituti la condizione.
La sostituzione prevale sia sulla rappresentazione che sull’accrescimento.
L’accrescimento nella successione
Quest’ultimo, disciplinato agli artt. 674 ss. c.c., consiste infine nell’automatica inclusione della quota che si trovi a essere “vacante” a seguito di rinuncia o impossibilità a succedere in quelle degli altri coeredi e collegatari; perché possa operare, non devono ricorrere i presupposti né della sostituzione né della rappresentazione.
Nella successione legittima l’accrescimento ha luogo fra chiamati in pari grado, mentre in quella testamentaria ricorre in caso di istituzione di più coeredi con lo stesso testamento nell’universalità dei beni, ovvero nella stessa quota senza determinazione di parti o in parti uguali; nel caso di disposizioni a titolo particolare, perché vi sia accrescimento è necessaria la nomina di più collegatari con riferimento al medesimo bene, sempre senza determinazione di quote o in parti uguali (anche con testamenti diversi, a differenza di quanto previsto per la successione a titolo universale).
L’accrescimento opera di diritto (art. 676, comma 1, c.c.), con effetto dal momento di apertura della successione, senza necessità per i coeredi di dover accettare l’ulteriore quota loro spettante. In ragione di ciò si è sostenuto che, in caso di rinuncia dell’originario chiamato, la stessa non potrebbe essere poi revocata, in quanto l’acquisto dei coeredi sarebbe automatico. Ciò, tuttavia, non vale qualora il rinunciante abbia discendenti e vi siano perciò i presupposti della rappresentazione, potendo esservi revoca fino a quando costoro non abbiano accettato (Cass. civ., sez. II, 6/10/2022, n. 29146).
La quota vacante si trasmette con i relativi oneri ed obblighi, a meno che essi fossero di carattere personale e strettamente inerenti alla persona dell’originario chiamato (art. 677, comma 2, c.c.).
Regole di chiusura nella successione vacante
Quale regola di chiusura, il codice civile prevede, da ultimo, che l’eredità, la quale non si devolva né per rappresentazione né per sostituzione né per accrescimento, vada devoluta secondo le regole della successione legittima (art. 677, comma 1, c.c.).