Il caso
Il caso di specie riguardava la successione, aperta all’estero, di un soggetto ivi residente, i cui eredi legittimi sono costituiti dal coniuge (residente all’estero) e dai due fratelli del defunto (residenti in Italia). La massa ereditaria comprendeva sia immobili siti in Italia che uno sito all’estero.
Dapprima, con atto di divisione ereditaria stipulato all’estero, alla moglie del defunto viene attribuito l’unico immobile non sito in Italia stabilendo che, con successivo atto, ella dovrà “trasferire” in parti uguali ai fratelli del de cuius gli immobili rimanenti.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate rileva in via preliminare che, ai sensi dell’articolo articolo 2, comma 2, decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Tus), “se alla data dell’apertura della successione o a quella della donazione il defunto o il donante non era residente nello Stato, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti ivi esistenti”. Nella fattispecie in esame, dunque, atteso che il de cuius era residente all’estero, la dichiarazione di successione è da presentarsi relativamente ai beni che si trovano in Italia, inserendo quali eredi legittimi la moglie e i fratelli/sorelle del defunto.
L’atto di divisione, successivo a quello rogato all’estero e da stipulare in Italia, dovrà considerare che nel precedente i condividenti hanno assegnato l’immobile estero esclusivamente al coniuge del defunto, separando la sua porzione di beni e facendola così fuoriuscire dalla comunione ereditaria. Ciò che si realizza nel primo atto, dunque, è un’ipotesi di “stralcio divisionale” (o “divisione soggettivamente parziale”), concretizzando l’assegnazione definitiva di uno o più beni ad uno o più condividenti e la contestuale comunione dei coeredi rimanenti sul patrimonio residuo.
Arrivati a questo punto, per assegnare a ciascun erede la rispettiva quota, ancora in comunione, all’atto da stipulare in Italia riguardante gli immobili ivi localizzati dovrà essere allegato anche il primo rogato all’estero, così da valutare le quote di fatto assegnate a ciascun coerede rispetto alle spettanti di diritto.
Se, dunque, la quota ereditaria di fatto ricevuta in assegnazione corrisponde alla quota spettante di diritto, l’atto realizzerà un’ipotesi di divisione ‘senza conguaglio’ (come affermato dall’istante) da assoggettare a imposta di registro, ai sensi della disposizione contenuta nell’articolo 3 della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Tur), in cui è stabilita la tassazione degli atti di natura dichiarativa, relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura, con l’applicazione dell’aliquota proporzionale dell’1% (Circolare del 29 maggio 2013, n. 18/E, paragrafo 2.2.1).
Da ultimo, richiamando la Cassazione (sentenza del 28 marzo 2018, n. 7606) secondo cui “In tema di imposta di registro, in caso di scioglimento della comunione ereditaria (…) mediante assegnazione dei beni in natura e versamento di conguagli in denaro, ove i coeredi abbiano ricevuto il valore delle rispettive quote, si applica l’aliquota degli atti di divisione e non l’aliquota degli atti traslativi”, l’Agenzia conclude che, nella fattispecie in esame, si ritiene che la base imponibile da assoggettare a imposta di registro con aliquota dell’1% sia costituita dal valore della massa comune da dividere con lo stipulando atto e non sia invece costituita dall’originario asse ereditario.