Ricordo la vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera di un po’ di anni fa, all’inizio dell’anno scolastico, quando Berlusconi era appena diventato Presidente del consiglio. C’era un piccolo Berlusca col grembiulino di alunno e la scritta: “Io speriamo che me la cavo”. Questo “Io speriamo che me la cavo”, sembra essere oggi la battuta dell’economia – di qua e di là dell’Atlantico –, dopo il pessimismo di fine 2022. Naturalmente, bisogna sottolineare che non siamo ancora fuori pericolo, tali e tante sono le incognite e i ‘cigni neri’ – a partire dalla guerra in Ucraina – che incombono sul 2023. Tre anni di pandemia e di guerre hanno lasciato il segno sull’economia dell’Italia e del mondo. Il 2019 – prima che i ‘cigni neri’ si abbattessero sull’attività economica – è un utile punto di partenza. Abbiamo riguadagnato il livello del 2019? A livello dell’economia mondiale, sì. Facendo 100 il 2019, il Pil del pianeta, secondo le stime del Fondo monetario, si ritrova a quota 106 nel 2022. E del pari si può dire per i Paesi emergenti. Fra le economie avanzate svettano gli Stati Uniti, a quota 104. E chi invece è sotto quota 100? Giappone, Russia, Regno Unito e Spagna (quest’ultima ha brillato per crescita nel 2022; +5,5% l’aumento del Pil, ma non è stato abbastanza per recuperare la debolezza precedente).
Degli altri grandi Paesi europei, Francia e Italia sono intorno a 101,5, mentre la Germania si adagia sul 100. Una fattezza interessante che si ricava dai dati – basta guardare il grafico – è che la distanza fra la performance dei Paesi nell’annus horribilis del 2020 è molto più ampia rispetto al ‘punto d’arrivo’ del 2022: insomma, più forte la caduta, maggiore è stato l’impeto della ripresa. Quasi che le ferite al corpo vivo dell’economia fossero state capaci di sprigionare anticorpi più potenti: i tre Paesi che avevano maggiormente sofferto nel 2020 (Spagna, Regno Unito e Italia) sono quelli che hanno segnato la crescita più forte dal nadir di quell’anno allo zenith del 2022.
Cosa aspetta adesso l’economia globale
E, allargando lo sguardo al 2023 vediamo ancora Francia e Italia in testa nel recupero. Come si spiega il ‘meno peggio’ che è venuto ad alleviare le angosce recenti? Fino a poco tempo fa eravamo convinti che il quarto trimestre del 2022 avrebbe avuto una crescita negativa, dopo un lungo periodo di espansione post-Covid. Abbiamo saputo che non è stato così per gli Stati Uniti, e anche l’Eurozona è riuscita, con le unghie e coi denti, a evitare il segno meno. A giudicare col senno di poi, sembra oggi che, quando si prevedeva il ‘sotto zero’, fosse stato sottostimato l’abbrivio dell’economia: un abbrivio che proveniva dal rimbalzo forte del 2021, dopo l’annus horribilis della pandemia.
Nell’anno passato quel rimbalzo era stato spento dalle fiammate dell’inflazione, ma, non appena si è avuta la sensazione che il picco dei prezzi stava per passare, le forze sotterranee che avevano guidato la ripresa hanno ripreso fiato. La forte perdita di potere d’acquisto delle famiglie a causa dei prezzi alti è stata attenuata da sussidi e ristori, e, soprattutto, da un aumento della propensione al consumo, permessa dal ricorso ai risparmi forzosi (il ‘tesoretto’) che erano andati accumulandosi ai tempi della pandemia. Intanto, per quanto riguarda le imprese e gli investimenti, il sistema produttivo ha retto ai ‘cigni neri’, ristrutturandosi sotto la spinta della transizione ecologica ed energetica, e cambiando processi e prodotti, come si conviene quando è in gioco l’istinto di sopravvivenza. Quando i fondi di investimento riportano risultati lusinghieri, si premurano di segnalare che la passata performance non garantisce analoghi risultati in futuro. E lo stesso caveat vale per il consolante ‘meno peggio’ di cui sopra. L’abbrivio e i ‘tesoretti’ non sono fattori permanenti di supporto, e forse il ‘segno meno’ è solo rimandato. Ma intanto incassiamo e speriamo (“che me la cavo”).
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