Circolazione dei beni d'arte in Italia: qualche riflessione

3.12.2021
Tempo di lettura: 5'
La attuale legge che regola la circolazione di opere d'arte in Italia è stata promulgata durante il regime fascista, in piena autarchia. Ma i governi del dopoguerra non ne hanno mai modificato l'impianto complessivo
La circolazione delle opere d'arte al di fuori dei confini nazionali è un aspetto di fondamentale importanza per l'efficiente funzionamento del mercato. Purtroppo, per ragioni che sarebbe troppo lungo discutere in questa sede, l'Italia ha una legislazione molto restrittiva, che assoggetta lo spostamento di tutte le opere d'arte (ma anche delle, fotografie, dei mobili, delle stampe, degli oggetti di design et.) ad un permesso accordato dal Ministero dei Beni Culturali. Nel 2017 il Parlamento ha approvato una legge che rende più agevole l'ottenimento di questo permesso. Per tutte le opere che hanno meno di 70 anni, infatti, è sufficiente compilare un'autocertificazione in cui si precisa l'autore e la data di esecuzione dell'opera.
Lo stesso vale per le opere di valore inferiore a 13.500 euro, che non necessitano più di essere portate fisicamente presso gli uffici esportazione. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che le opere che rientrano in queste categorie possano uscire impunemente dal nostro territorio nazionale. Il ministero si riserva infatti, in casi particolari, di vincolare sul territorio nazionale anche opere di poche migliaia di euro ed eseguite più di 50 anni fa. La riforma introdotta dal ministro Franceschini è stata a lungo osteggiata sia da alcune forze politiche sia da alcuni funzionari. Eppure si tratta solo di un piccolo, timido sforzo di allineare le regole italiane a quelle vigenti in altri stati europei come la Francia e la Germania, dove le soglie di valore sono ben più alte (300.000 euro) e dove vengono vincolati solo opere di eccezionale importanza storico-artistica.
La attuale legge che regola la circolazione di opere d'arte è stata promulgata durante il regime fascista, in piena autarchia, ma i governi del dopoguerra non ne hanno mai modificato l'impianto complessivo. In sostanza la proprietà privata di un bene è la libertà di scambio delle merci viene assoggettata ad un rigido controllo da parte dello stato, nella paura che il nostro patrimonio venga impoverito o saccheggiato. Ma l'Italia è oggi la quinta potenza industriale del mondo, non è più terra di conquista da parte degli stati stranieri, e è dotata di risorse economiche sufficienti non solo per difendere, ma anche per incrementare il proprio patrimonio, come dimostra il ruolo dei collezionisti italiani nel mondo.
Bisogna inoltre ricordate che tutte le opere più importanti presenti nei musei italiani così come quelli appartenenti alla chiesa sono vincolati ed inamovibili. Invece di controllare e bloccare il mercato, lo stato farebbe bene ad utilizzare le proprie risorse per valorizzare il patrimonio pubblico e per finanziarne i restauri: certo, in casi eccezionali (pensiamo per esempio alla prima versione della Conversione di Saulo di Caravaggio, ancora in mani private o alla collezione Torlonia di sculture antiche), la libera esportazione di questi beni potrebbe costituire una vera perdita per il nostro patrimonio, ma si tratta di casi isolati, del tutto eccezionali. Nella maggior parte delle volte la tutela invece viene esercitata su opere di importanza minore, neppure degne di far parte di una collezione pubblica, oppure di cui ci sono già centinaia di esempi nei nostri musei.
A tutt'oggi manca inoltre una banca dati aggiornata e consultabile per sapere quali e quante sono le opere di proprietà privata vincolate sul nostro territorio. Succede così che vengano “notificate” opere del tutto minori, mentre si rilascia il permesso per autentici capolavori come la grande tela di Jacopo Bassano intitolata “Il miracolo delle Quaglie” finita di recenti al Getty Museum. Non esistono linee guida o criteri generali per definire cosa è veramente rilevante per il nostro patrimonio. La formulazione della legge è vaga, e i singoli funzionari la interpretano in modo molto diverso a seconda delle loro convinzioni e anche della loro preparazione.
A questi e ad altri problemi che interessano la sfera dell'arte e quella del diritto è stato dedicato un volume a cura di Laura Castelli e Silvia Giudici, intitolato “Conversazioni di arte e diritto”. Il volume ha il merito di affrontare tutti gli aspetti in cui le due discipline si sovrappongono, con approfondimenti da parte di singoli esperti della materia.
Il tema della circolazione delle opere d'arte è di grande attualità, come dimostra anche la tavola rotonda tenutasi recentemente a Roma fra il ministro Franceschini e gli esponenti delle associazioni di categoria, in cui sono stati discussi i problemi a cui abbiamo qui accennato. Un cambiamento della legge di recente approvata sembra fuori discussione, ma una revisione dei criteri con cui viene applicata è sempre più urgente, non solo per favorire il mercato, ma anche per ottenere una efficienza, equilibrio e soprattutto uniformità nei provvedimenti adottati che si riflettono immediatamente sul valore patrimoniale di un bene.
La attuale legge che regola la circolazione di opere d'arte è stata promulgata durante il regime fascista, in piena autarchia, ma i governi del dopoguerra non ne hanno mai modificato l'impianto complessivo. In sostanza la proprietà privata di un bene è la libertà di scambio delle merci viene assoggettata ad un rigido controllo da parte dello stato, nella paura che il nostro patrimonio venga impoverito o saccheggiato. Ma l'Italia è oggi la quinta potenza industriale del mondo, non è più terra di conquista da parte degli stati stranieri, e è dotata di risorse economiche sufficienti non solo per difendere, ma anche per incrementare il proprio patrimonio, come dimostra il ruolo dei collezionisti italiani nel mondo.
Bisogna inoltre ricordate che tutte le opere più importanti presenti nei musei italiani così come quelli appartenenti alla chiesa sono vincolati ed inamovibili. Invece di controllare e bloccare il mercato, lo stato farebbe bene ad utilizzare le proprie risorse per valorizzare il patrimonio pubblico e per finanziarne i restauri: certo, in casi eccezionali (pensiamo per esempio alla prima versione della Conversione di Saulo di Caravaggio, ancora in mani private o alla collezione Torlonia di sculture antiche), la libera esportazione di questi beni potrebbe costituire una vera perdita per il nostro patrimonio, ma si tratta di casi isolati, del tutto eccezionali. Nella maggior parte delle volte la tutela invece viene esercitata su opere di importanza minore, neppure degne di far parte di una collezione pubblica, oppure di cui ci sono già centinaia di esempi nei nostri musei.
A tutt'oggi manca inoltre una banca dati aggiornata e consultabile per sapere quali e quante sono le opere di proprietà privata vincolate sul nostro territorio. Succede così che vengano “notificate” opere del tutto minori, mentre si rilascia il permesso per autentici capolavori come la grande tela di Jacopo Bassano intitolata “Il miracolo delle Quaglie” finita di recenti al Getty Museum. Non esistono linee guida o criteri generali per definire cosa è veramente rilevante per il nostro patrimonio. La formulazione della legge è vaga, e i singoli funzionari la interpretano in modo molto diverso a seconda delle loro convinzioni e anche della loro preparazione.
A questi e ad altri problemi che interessano la sfera dell'arte e quella del diritto è stato dedicato un volume a cura di Laura Castelli e Silvia Giudici, intitolato “Conversazioni di arte e diritto”. Il volume ha il merito di affrontare tutti gli aspetti in cui le due discipline si sovrappongono, con approfondimenti da parte di singoli esperti della materia.
Il tema della circolazione delle opere d'arte è di grande attualità, come dimostra anche la tavola rotonda tenutasi recentemente a Roma fra il ministro Franceschini e gli esponenti delle associazioni di categoria, in cui sono stati discussi i problemi a cui abbiamo qui accennato. Un cambiamento della legge di recente approvata sembra fuori discussione, ma una revisione dei criteri con cui viene applicata è sempre più urgente, non solo per favorire il mercato, ma anche per ottenere una efficienza, equilibrio e soprattutto uniformità nei provvedimenti adottati che si riflettono immediatamente sul valore patrimoniale di un bene.