La cronaca recente è ricca di notizie riguardanti le vicende successorie di importanti figure del mondo dell’impresa, della finanza, dello spettacolo o dello sport, spesso accomunate da un unico filo rosso: una mancata o inadeguata pianificazione in vita, tradottasi nel proliferare di dissapori e conflitti, con conseguenze devastanti tanto sui rapporti interpersonali quanto sul valore dei beni.
Oggi approfondiremo invece il caso opposto: un esempio di pianificazione molto attenta, studiata al fine di proteggere il gruppo societario dal rischio di discontinuità conseguente al caso di morte del fondatore: quello di Bernard Arnault, il cui piano di successione per il gruppo Lvmh è stato elaborato con largo anticipo e con sensibilità non comune.
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I limiti del testamento nella pianificazione successoria
Accade infatti non di rado che l’attribuzione inter-generazionale di patrimoni molto rilevanti non venga effettuata nel corso della vita, se non in minima parte, ma venga demandata a un semplice testamento scritto “di pugno” e senza alcun supporto di natura tecnico-legale.
Tralasciando in questa sede i casi – ancora sorprendentemente diffusi – nei quali un testamento neppure viene predisposto, sembra utile soffermarsi sui limiti e i rischi di tale scelta, tra i quali possono annoverarsi, tra gli altri, quelli conseguenti all’equivocità delle disposizioni testamentarie, alle difficoltà di coordinamento tra più schede testamentarie redatte in tempi diversi, o alle possibili contestazioni in merito alla capacità del testatore di disporre validamente dei propri beni.
Soprattutto, poi, è quantomai opportuno che – nel predisporre la scheda testamentaria – l’imprenditore preveda gli scenari conseguenti all’applicazione delle sue disposizioni e predisponga strumenti volti a superare o, quantomeno, ad attenuare le difficoltà che inevitabilmente la sua dipartita comporterà, sia sul piano familiare che su quello aziendale.
Le conseguenze di una mancata o inadeguata pianificazione successoria
Le conseguenze di una mancata o inadeguata pianificazione si manifestano in tutta la propria gravità nel caso di attribuzione di partecipazioni societarie (sovente, nel caso delle grandi famiglie, quelle della holding-“cassaforte”): queste ultime sono infatti spesso considerate come un bene accomunabile a tutti gli altri, divisibile e distribuibile a piacimento, dimenticandosi che esse incorporano diritti amministrativi e che, quindi, una loro assegnazione non accurata potrebbe pregiudicare la continuità decisionale dell’ente (compromettendo, per l’effetto, il valore dell’intero patrimonio familiare).
Ecco perciò che, all’apertura della successione, capita di trovarsi di fronte a casi nei quali il capitale della holding è stato parcellizzato in diverse partecipazioni di minoranza, con conseguente frammentazione del controllo, situazione che in molti casi dà adito a conflitti familiari insanabili, determinando la compromissione della continuità della governance societaria e generando danni economici incalcolabili.
Il tema della protezione della continuità decisionale societaria sembra in effetti essere una preoccupazione piuttosto lontana per gli imprenditori nostrani, abituati a gestire le proprie aziende fino ad età molto avanzate, senza curarsi di quanto accadrà in loro assenza.
Il wealth planning sofisticato di Bernard Arnault: cosa insegna il caso Lvmh
Le cronache recenti ci offrono tuttavia un caso di pianificazione molto raffinata e attenta, studiata allo scopo di proteggere il gruppo societario dal rischio di discontinuità conseguente al caso di morte del fondatore: quello di Bernard Arnault, il cui piano di successione per il gruppo Lvmh è stato elaborato con largo anticipo e con sensibilità non comune.
Circa 15 anni fa, monsieur Arnault ha tutelato il gruppo dal rischio di una sua dipartita, attribuendo a Protectinvest (una fondazione privata di diritto belga) la funzione di “proteggere gli interessi finanziari e patrimoniali” di Lvmh sino al compimento del 25° anno del più giovane dei figli, Jean: in caso di sua morte, la gestione del gruppo sarebbe passata a un direttorio composto dai gestori di Protectinvest (oltre che da due società detentrici del 65% di un’accomandita familiare, Agache Commandité).
La soluzione rende evidente l’intenzione del fondatore di supportare i figli nella gestione del gruppo sino alla loro completa “maturazione” imprenditoriale, attraverso una governance integrativa fornita dalla fondazione privata, avente – si suppone – il compito di attuare fiduciariamente il programma da lui voluto.
Il 23 ottobre 2023, con il compimento del 25° anno di età da parte di Jean, l’“ombrello protettivo” predisposto attraverso la fondazione belga è venuto automaticamente meno, con previsione – nel caso di futura morte di Bernard Arnault – di un trasferimento del controllo del gruppo attraverso strumenti societari “ordinari” (dove un ruolo centrale è rivestito da Financière Agache, una società in accomandita per azioni, in cui la gestione sarà perciò affidata agli accomandatari in base alle regole codificate dal disponente, mentre gli accomandanti saranno soci di mero capitale).
La pianificazione operata da Bernard Arnault è degna di interesse sia per la non comune sensibilità mostrata verso il tema (che tocca da vicino tanto i grandi gruppi, quanto le medie e piccole imprese) della necessità di una governance stabile e professionale anche in caso di improvvisa scomparsa dell’imprenditore, sia per la soluzione scelta: un’intelligente e sofisticata combinazione di strumenti societari e fiduciari.
Non si pensi, tuttavia, che tale possibilità sia appannaggio solamente dei grandissimi patrimoni: anche senza ricorrere a complesse catene di controllo societarie e a fondazioni familiari (necessariamente di diritto estero – oltre al Belgio, ad esempio, l’Austria o il Liechtenstein offrono la possibilità di costituire simili fondazioni, non conoscendo l’Italia uno strumento paragonabile), in molti casi possono essere perseguiti risultati altrettanto efficienti attraverso l’uso combinato di una società holding di diritto italiano (anche una semplice Srl) e un trust “interno” che ne detenga il controllo (in vita, o anche solo dopo la morte del disponente) e quindi garantisca, per il periodo voluto dal capostipite, il buon governo del gruppo e la continuità decisionale, scongiurando conflitti e stalli.