Un’indagine dimostra come l’universo dei fondi impact sia stato dominato nel tempo dai real asset molto più dell’universo dei fondi non-impact. E gli asset reali hanno spesso registrato rendimenti nettamente inferiori
Wiek (Pitchbook): “Sebbene questa non sia ancora un’analisi completa delle performance dell’universo impact, non è affatto evidente che tale fattore sia dannoso per i rendimenti dei fondi di questo tipo”
Molti investitori credono che investire a impatto – ovvero con l’ambizione di generare un effetto ambientale e sociale positivo, misurabile e addizionale rispetto agli investimenti tradizionali – significa necessariamente sacrificare le performance. Al punto che alcuni preferiscono non descriversi come “investitori impact”, perseguendo di fatto una strategia che mira (anche) a massimizzare i rendimenti. In realtà, non è necessariamente così. A dimostrarlo è una nuova analisi di Pitchbook dal titolo 2023 Impact investing update, che ha suddiviso l’universo dei fondi in fondi a impatto e non a impatto per analizzarne l’andamento e mostrare come l’impact investing non precluda inevitabilmente una performance positiva.
Osservando l’Internal rate return (o Irr, metrica utilizzata per valutare la redditività di un investimento che tiene conto del valore del denaro nel tempo e dei flussi di cassa associati all’investimento stesso, ndr) mediano dei due gruppi, risulta evidente come i fondi impact siano stati in vantaggio solo in 3 degli ultimi 17 anni, a partire dal 2006. Tuttavia, data la popolazione molto più ridotta di fondi impact e il fatto che tale universo abbia una ponderazione delle strategie complessivamente molto diversa rispetto all’universo dei fondi non-impact, questo risultato non racconta l’intera storia.
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Entrando nel dettaglio, i decili superiori e inferiori dei fondi impact (che ricordiamo ricadono sotto l’ombrello dell’art. 9 della Sustainable finance disclosure regulation, la normativa europea sull’informativa di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari) e di quelli non impact non mostrano uno schema chiaro se non che, a causa delle dimensioni ridotte e della diversa composizione delle strategie dei fondi impact cui accennavamo, i rendimenti dei prodotti a impatto sono stati più irregolari nel tempo. “Per molte annate, il decile peggiore dei fondi impact è stato migliore del peggiore del cluster non-impact”, spiega Hilary Wiek, senior strategist, fund strategies & sustainable investing di Pitchbook e autrice del rapporto. “Ciò significa che alcuni investitori che non cercavano alcun impatto sono riusciti a selezionare gestori sostanzialmente peggiori del peggior fondo impact e, in altre parole, che la ricerca di soli rendimenti finanziari non garantisce rendimenti migliori rispetto alla selezione di qualsiasi fondo impact”, osserva Wiek.
L’indagine dimostra inoltre come l’universo dei fondi impact sia stato dominato nel tempo dai real asset molto più dell’universo dei fondi non-impact. E gli asset reali nell’universo complessivo dei fondi hanno spesso registrato rendimenti ben inferiori rispetto al private capital: su cinque anni gli asset reali si sono attestati all’8% contro il 14% del private capital, mentre su 10 anni si parla del 7,4% contro il 13,5%. “Pertanto, l’elevato peso dei real asset è una spiegazione del fatto che l’universo impact ha registrato una performance inferiore a quella dell’universo impact”, dice Wiek. “Sebbene questa non sia ancora un’analisi completa delle performance dell’impact, non è affatto evidente che tale fattore sia dannoso per i rendimenti dei fondi di questo tipo”, aggiunge la strategist. Poi conclude: “Tra la mancanza di dati esaurienti sui fondi impact e altri fattori che potrebbero spiegare le differenze di performance storiche, i dati di cui disponiamo non indicano un fallimento sistemico dei fondi impact nel fornire rendimenti positivi”.