- Nicolai Tangen, amministratore delegato del fondo sovrano norvegese che possiede azioni della maggior parte delle più grandi banche europee, sostiene che il continente abbia bisogno di un maggior numero di istituzioni finanziarie dal peso mondiale
- Un’analisi della Bce mostra come le dimensioni delle banche acquisite dopo la crisi del 2008 sono molto più contenute rispetto a prima, mentre il tasso di fallimento dei tentativi di fusione è aumentato
Le fusioni bancarie transfrontaliere, in Europa, tornano sotto i riflettori. Com’è ormai noto, recentemente Unicredit ha scosso l’industria finanziaria aggiudicandosi a sorpresa una partecipazione del 9% in Commerzbank. Poi, l’istituto guidato da Andrea Orcel ha aumentato tale partecipazione al 21% e richiesto alla Banca centrale europea l’autorizzazione per salire fino al 29,9%. Secondo il Financial Times, si tratta dell’ultimo “e più appariscente segnale” che le trattative tra le banche del Vecchio Continente sono nuovamente in auge. In altre parole, potrebbe non essere finita qui.
La redditività di molti istituti di credito europei, evidenzia il quotidiano economico-finanziario britannico in un approfondimento dal titolo Why european bank mergers are back on the table, è migliorata grazie all’aumento dei tassi di interesse. Considerando anche bilanci più puliti e livelli di capitale più solidi, significa che si trovano in una posizione “più sana” per acquisire rivali.
Fonte: Financial Times
Più fusioni per competere con i colossi di Wall Street
Nicolai Tangen, amministratore delegato del fondo sovrano norvegese da 1,7 miliardi di dollari (il Norges bank investment management) che possiede azioni della maggior parte delle più grandi banche europee, sostiene che il continente abbia bisogno di un maggior numero di istituzioni finanziarie dal peso mondiale. Al contempo, tra i responsabili politici c’è un ampio consenso sulla necessità di fusioni per respingere la concorrenza dei colossi bancari di Wall Street e dei rivali asiatici in rapida crescita. E qualcosa si è già iniziato a muovere. I dati di Dealogic visionati dal FT mostrano come nel secondo trimestre del 2024 il valore delle fusioni annunciate tra banche europee abbia toccato i 13,8 miliardi. Si tratta della cifra più elevata dal terzo trimestre del 2010. Tra le operazioni più importanti degli ultimi 18 mesi si ricordano il salvataggio di Credit Suisse da parte di Ubs e l’offerta ostile di Bbva sulla rivale Sabadell.
Il lungo inverno delle fusioni e acquisizioni tra banche
“Molte di queste transazioni sono state tentativi di consolidamento nazionale, ma in alcuni ambienti c’è l’entusiasmo che possano preannunciare una più ampia ondata di operazioni transfrontaliere”, fa sapere il quotidiano. Operazioni che tuttavia restano difficili da realizzare, principalmente a causa dell’opposizione della politica e della natura frammentata del mercato bancario europeo. Dopo la crisi finanziaria del 2008, le fusioni e acquisizioni bancarie in Europa hanno vissuto infatti una lunga fase di standby. Come ricordato da Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Societe Generale ed ex membro del comitato esecutivo della Bce, i regolatori e le autorità di vigilanza nazionali hanno mantenuto o addirittura innalzato barriere per operazioni transfrontaliere. Un’analisi della Bce mostra come le dimensioni delle banche acquisite dopo la crisi del 2008 sono tra l’altro molto più contenute rispetto a prima, mentre il tasso di fallimento dei tentativi di fusione è aumentato. In più, circa quattro operazioni su cinque completate nell’area euro sono state nazionali. E quelle che hanno travalicato i confini nazionali, sono state tendenzialmente tra banche di paesi limitrofi, come la spagnola CaixaBank che ha acquisito la portoghese Banco Bpi nel 2017.
Le 10 banche più grandi al mondo: 3 sono europee
In parte per questo motivo, le banche europee “sono rimaste molto indietro rispetto alle loro controparti statunitensi e asiatiche dopo la crisi finanziaria”, scrive il Financial Times. Mentre gli istituti del Vecchio Continente si focalizzavano sul risanamento dei loro bilanci, i loro rivali a stelle e strisce “si sono ingranditi in patria e hanno incrementato la loro presenza all’estero”, soprattutto in aree come l’investment banking e il trading. Basti pensare che nella classifica delle 10 banche più grandi al mondo, solo tre sono europee. Per di più una di queste, Hsbc, ha sede al di fuori dell’Unione europea. Il resto sono principalmente banche cinesi e statunitensi. Per fornire un metro di paragone, una classifica simile nel 2008 vedeva otto banche europee tra le prime 10 al mondo, nessuna banca cinese e solo due statunitensi.
Il risiko bancario si riaccenderà?
Fatte queste premesse, il Financial Times ricorda come la ragione principale per cui si parla sempre più di risiko è il miglioramento della “salute” delle banche europee, che potrebbe incentivare i potenziali acquirenti. Considerata tra l’altro l’attuale traiettoria in discesa dei tassi di interesse, che potrebbe eroderne la redditività, gli investitori si attendono un maggiore interesse per le fusioni. “Se si dovesse assistere a una maggiore pressione sui ricavi del settore – cosa che ritengo possibile nell’area euro se i tassi scenderanno di nuovo sotto il 2% – scommetterei che ci saranno molte fusioni e acquisizioni per migliorare la redditività”, afferma Justin Bisseker, banking analyst di Schroders. La stessa presidente della Bce, Christine Lagarde, ha dichiarato lo scorso mese che “le fusioni transfrontaliere hanno molti vantaggi se si traducono in istituzioni più grandi, più agili e più complete”. Per Lagarde, le banche che “possono effettivamente competere a livello di scala, profondità e raggio d’azione con altri istituti in tutto il mondo – inclusi quelli americani e cinesi – sono auspicabili”.