I passaggi generazionali all’interno dei family business sono momenti critici. Non è un caso che solo il 15% delle imprese famigliari sopravviva alla terza generazione: quando un’organizzazione passa di mano si generano conflitti e incomprensioni che hanno un impatto potenzialmente enorme sul futuro dell’impresa, del business e sui rapporti famigliari. Ma cosa succede quando uno dei soci, in questa fase, decide di recedere? Ne abbiamo parlato con Valentina Guarise, dottore commercialista e revisore dei conti per lo studio Bourlot Gilardi Romagnoli e Associati.
La definizione di recesso
“Innanzitutto – dice Guarise – occorre precisare che il recesso è un negozio giuridico, unilaterale, perfezionato dal socio. Il suo obiettivo è quello di consentire lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al solo socio”. Il diritto di recesso nelle società per azioni è disciplinato dall’art. 2437 del Codice Civile che stabilisce che i soci hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, se non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti specifiche materie: che vanno dalla modifica della clausola dell’oggetto sociale quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società; alla trasformazione della società; al trasferimento della sede sociale all’estero; alla revoca dello stato di liquidazione; all’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto; alla modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso; alle modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
Chi ha diritto di recedere tra i soci
“Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso all’approvazione delle deliberazioni riguardanti la proroga del termine o l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari”, dice Guarise. “In sostanza l’art. 2437 c.c. riconosce il diritto di recesso ai soci che non hanno concorso alle deliberazioni, e ai soci privi del diritto di voto. Inoltre, il medesimo articolo 2437 c.c. prevede che per le sole società per azioni costituite a tempo indeterminato con azioni non quotate in un mercato regolamentato il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni. Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso”.
Pertanto, al di fuori di specifiche circostanze previste dal Codice Civile non è prevista dalla normativa la possibilità di recesso ad nutum (ossia in via unilaterale e a proprio piacimento) per le società per azioni costituite a tempo determinato.
Come influisce sul passaggio generazionale questa possibilità
“Va precisato – risponde Guarise – che nei passaggi generazionali che coinvolgono più soggetti o più rami familiari occorre individuare il leader tra i componenti della nuova generazione, che possa portare avanti l’attività imprenditoriale, evitando la dispersione di risorse ed asset. Spesso, all’interno delle famiglie non tutti i componenti hanno l’intenzione, le capacità o la formazione necessarie per il proseguimento del business aziendale e potrebbe sorgere la volontà/necessità per un erede di liquidare la propria quota che, in ipotesi di una quota di minoranza (ad esempio nel caso di tre fratelli dei quali ciascuno eredita il 33,33% del capitale di una spa) sarebbe di fatto illiquida sul mercato”. Una premessa doverosa perché, come abbiamo visto, lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso diverse da quelle che elenca il Codice Civile e che potrebbero essere identificate e concordate in sede di pianificazione del passaggio generazionale e, al fine di gestire la liquidità necessaria per il rimborso del socio uscente (liquidazione della quota in base al valore di mercato alla data del recesso). “Sarebbe opportuno prevedere l’inserimento nello Statuto della società di meccanismi di liquidazione delle quote, quali ad esempio finestre temporali in cui esercitare il recesso, definizione dei metodi di valutazione della società – suggerisce Guarise – In assenza di possibilità di recesso o di liquidazione delle quote si potrebbero creare situazioni di insoddisfazione legate al ruolo aziendale ricoperto dal singolo erede, alla quota di capitale detenuta, alla necessità di adeguarsi alle decisioni degli altri soci (che sono più o meno coinvolti nell’attività) etc. con il rischio di sorgere di conflitti all’interno della compagine societaria”.
Gli effetti fiscali del recesso
La Corte di Cassazione (con sentenza n. 2629 del 29 gennaio 2024) ha esteso la possibilità di recesso volontario (ad nutum), ritenendo valida la clausola statutaria che prevede il recesso ad nutum anche nelle società per azioni a tempo determinato, specificando che la funzione del recesso ad nutum è quella “perseguita dai soci fondatori e condivisa dai successivi aderenti, di assicurare ai soci la facoltà di uscita dalla società, ove non più rispondente ai propri interessi.”
“Occorre tuttavia soffermarsi sugli effetti fiscali del recesso del socio – avvisa Guarise – che devono essere anche valutati in sede di gestione dei passaggi generazionali. In particolare, l’utile realizzato dal socio uscente – determinato sulla base del Tuir: importi percepiti dal socio meno costo fiscale della partecipazione – rientra tra i redditi di capitale con la conseguenza che sulla base di quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate, il costo fiscale della partecipazione da confrontare con quanto percepito in sede di recesso sarebbe quello riconosciuto in capo al de cuius (senza rilevare il costo determinato per la trasmissione delle quote in sede successoria). Infine, ai fini della determinazione del costo non assumerebbero rilevanza precedenti rivalutazioni effettuate a titolo oneroso dal de cuius”.