Fino al 16 febbraio prossimo, la Kunsthaus di Zurigo ospita un’importante retrospettiva (nonché la prima su suolo elvetico) dedicata alla “pioniera delle arti performative”: l’artista serba Marina Abramovic. La mostra, visitabile nell’edificio principale di Heimplatz, abbraccia tutti i periodi creativi attraversati da Marina nel corso della sua lunga carriera (ricomprendendo video-art, fotografie, sculture, disegni e performance) e aggiunge un nuovo elemento, l’opera immersiva Decompression Chamber (2024).Â
Marina Abramovic, gli inizi e il rapporto con Ulay
Nata a Belgrado nel 1946 da due partigiani della seconda guerra mondiale, la Abramovic fu iniziata all’arte dal padre Vojin in età adolescenziale (ricordiamo qui che negli anni sessanta la madre Danica divenne la direttrice del Muzej Savremene Umetnosti della città ). Con una tale influenza da parte dei genitori, Marina scelse di studiare all’Accademia di Belle Arti di Belgrado, dove si diplomò nel 1972.
Dopo le prime esperienze tra Serbia e Italia (dove l’artista si esibì nel 1974 con la performance Rhythm 0), Marina si trasferì definitivamente ad Amsterdam. Qui iniziò una seconda fase della sua vita, in parte condizionata dalla storia d’amore con Ulay (all’anagrafe Frank Uwe Laysiepen), artista tedesco che divenne suo compagno nel lavoro e nella vita.
Ed è proprio alle opere realizzate con Ulay che è dedicata una prima parte della retrospettiva svizzera. In orari predeterminati, l’ingresso alla mostra avviene infatti passando “attraverso” i corpi nudi di due persone che riproducono l’opera Imponderabilia (forse una delle più conosciute – e discusse – di Marina e Ulay), presentata per la prima volta dalla coppia nel 1977 alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna.
Nelle due sale successive il corpus di opere prodotte dai due amanti si arricchisce sempre di più. Le foto di Relation in Time (1977), ci ricordano la performance in cui Marina e Ulay legarono insieme la coda dei propri capelli per diciassette ore consecutive. Rest Energy (1980) li raffigura invece nell’atto di tenersi in equilibrio grazie ad un arco teso, con una freccia puntata dall’artista tedesco verso la Abramovic (lo sbilanciarsi dei protagonisti avrebbe dunque portato alla “morte” di uno dei due, rendendo l’opera una metafora dell’amore). Diversi sono poi i video in cui gli artisti corrono scontrandosi (Relation in Space, 1976), si schiaffeggiano (Light/Dark, 1977) o respirano tramite il contatto delle proprie bocche (Breathing In/Breathing Out, 1977).
Il percorso della coppia si chiude con l’opera The Lovers, The Great Wall Walk (1988), che registra i due mentre percorrono la muraglia cinese partendo dagli estremi opposti. Dopo 90 giorni, Marina e Ulay si incontrarono a metà strada e decisero di chiudere la loro relazione (litigando poi per anni sulla paternità – e di conseguenza sulla monetizzazione – delle opere prodotte insieme).Â
La crescita di Marina e il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia
Da qui, si entra nell’evoluzione personale di Marina. Ruba la scena il mucchio di ossa (più precisamente femori di bovino) appartenente a Balkan Baroque (1997), una performance (in cui l’artista pulisce ossessivamente i femori di bovino per diverse ore, come denuncia per la guerra in Jugoslavia) che fece vincere il Leone d’Oro della Biennale di Venezia all’Abramovic.
Nella stessa stanza troviamo anche Mambo in Marienbad (2001), performance realizzata nell’ex ospedale psichiatrico di Volterra, The Hero (2001) e nel corridoio che connette due stanze The Artist is Present (2010). Quest’ultima – una delle opere che più ha modificato il rapporto di Marina con il pubblico – è una performance di 736 ore realizzata al MoMa di New York. L’artista, seduta ad un capo di un lungo tavolo, fissa i singoli visitatori, invitati a sedersi di fronte a lei (l’opera ha segnato anche un nuovo incontro tra Abramovic e Ulay, che ha partecipato alla performance come visitatore).
Interessanti sono anche le sculture come White Dragon (1989), Inner Sky (1991), Portal (2022) – realizzate con pietre quali ametiste, quarzi o semplicemente in bronzo – con cui il pubblico può interagire (passando attraverso/sotto di esse o ponendo il proprio corpo a contatto con l’opera).Â
Le performance, il vero cuore dell’artista
Parte integrante della retrospettiva sono poi le immancabili opere performative, organizzate nella Kunsthaus ad orari prestabiliti. Oltre alla già citata Imponderabilia (1977) – che accoglie i visitatori all’ingresso della mostra – la seconda performance prevista è Luminosity (1997), in cui delle comparse complemente nude si bilanciano su un sellino di una bicicletta senza mai toccare terra.
Una novità proposta a Zurigo è invece Decompression Chamber (2024). La stanza, con comode sedie sdraio rivolte verso l’esterno, invita i visitatori a dotarsi di una cuffia antirumore e a prendersi un momento di “decompressione”. L’ultima opera performativa con partecipazione del pubblico è infine Counting the Rice (2014), in cui i visitatori hanno la possibilità di sedersi intorno a un tavolo, contando chicchi di riso come atto meditativo. Â
In copertina: Marina Abramović, The Spirit in Any Condition Does Not Burn, 2011C-Print, 143 x 133 cm© Courtesy of the Marina Abramović Archives/2024, ProLitteris, Zurich (dettaglio)