Di chi è il Giudizio universale? Di Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 – 1564, Roma), si risponde inevitabilmente, pensando al vertiginoso affresco che rende la Cappella Sistina uno dei luoghi da non mancare nella propria esistenza. Il topos del Giudizio, come diversi temi religiosi, è molto diffuso. Lo stesso Michelangelo ne avrebbe create più versioni. Una di queste, nota ad oggi come Giudizio universale di Ginevra, è un quadro di 96,52 x 81,28 cm conservato nella città svizzera, di proprietà di una società statunitense. E si tratterebbe dell’unico olio su tela (in finissimo lino) dipinto dal maestro.

Sono, in estrema sintesi, i risultati di una ricerca durata oltre otto anni ad opera di vari studiosi, che li hanno presentati il 14 maggio 2024 a Roma (a Palazzo Grazioli, presso la sala della stampa estera). L’opera si presenta in ottime condizioni: subì due strappi, molto ben riparati. Nonostante vi siano segni di ossidazione, la colorazione rimane stabile e vivida. L’altro dipinto noto di Michelangelo, unico esemplare su tavola, è il celeberrimo Tondo Doni (Uffizi).
Il Giudizio universale di Ginevra è di Michelangelo Buonarroti? Giallo risolto
Per molto tempo, la vicenda ha assunto i contorni del giallo. La tela risultava infatti scomparsa dai radar ben più di 100 anni. Poi, l’incrocio con la dottoressa Amel Olivares, specialista di arte rinascimentale, che con una squadra di esperti l’ha sottoposta ad analisi approfondite, coinvolgendo le discipline più disparate. Secondo quanto ricostruiscono i ricercatori, Michelangelo Buonarroti fece dono di questo suo olio su lino al pittore Alessandro Allori, che lo adoperò come modello per realizzare una pala d’altare nella basilica Santissima Annunziata di Firenze, ma non ne fu l’autore, come si pensava. Ha sottolineato Amel Olivares nel corso della presentazione che solo «una decina di anni fa era impensabile parlare di pittura a olio su tela nel Rinascimento, dato che si credeva che i dipinti fossero stati realizzati solo su tavola».
Una descrizione dettagliata della tela si trova nell’Archivio di Stato di Firenze, nei documenti del 1792 relativi all’inventario delle proprietà d’arte del marchese fiorentino Donato Guadagni.
Alcuni elementi fondamentali
La ricerca si è avvalsa anche della collaborazione di monsignor José Manuel del Rio Carrasco, studioso di storia dell’arte e conservazione. Osserva la dottoressa Olivares che il dipinto – abitato da 33 figure – presenta alcune peculiarità, come la presenza del Cristo giudice senza barba. A tal proposito, il professor Gianluigi Colalucci, ultimo restauratore del Giudizio universale della Cappella Sistina, rivela che anche in quest’ultimo il Cristo è senza barba, essendo la parte scura del suo volto solo un artifizio per intensificarne l’ombra. Di contro, nella versione che Alessandro Allori realizzò per la pala d’altare, il Cristo giudice è dipinto con una folta barba scura.
Fra i “salvati”, un altro particolare: il viso di Michelangelo in cui l’artista appare con un volto più giovane rispetto a quello conosciuto. Ad analizzare l’autoritratto è stato il professor Francesco Fasce, responsabile dell’Unità di chirurgia oculistica dell’Istituto San Raffaele di Milano. Dall’analisi emerge che vi è presente una forma di strabismo. Michelangelo usò questo trucco sia nella statua del Mosè che nel David, creando così nell’osservatore la sensazione di essere costantemente seguito dagli occhi del soggetto dipinto o scolpito. Lo stesso artifizio non è presente nella pala d’altare dell’Allori.
La dottoressa Chantal Milani, esperta in analisi facciale forense, ha inoltre condotto sul volto di Michelangelo studi di ricostruzione facciale, comparazione fisiognomica e antroposomatica.
Nuovi strumenti per studiare le attribuzioni rinascimentali
Aggiunge Olivares afferma che lo studio effettuato sul Giudizio Universale di Ginevra apre nuove prospettive interpretative nell’analisi e nell’autenticazione dei dipinti del Rinascimento. Il Giudizio Universale di Ginevra, «è un esempio della conoscenza di Michelangelo della tecnica dell’olio su tela. Lo studio dell’opera ha permesso di scoprire il metodo di preparazione della tela, in cui il carbonato di piombo (più noto come biacca) ha un ruolo fondamentale». La studiosa aggiunge che Michelangelo apprese questa conoscenza da Sebastiano dal Piombo, che arrivò a Roma intorno al 1512 e strinse amicizia con il Buonarroti.
Restaurato nel 2015 dal professor Antonio Casciani, il quadro è stato analizzato chimicamente dal laboratorio di Analisi Palladio di Vicenza, mentre a eseguire la riflettografia è stata Artex (Firenze).