Più recentemente, la scuola comportamentale tedesca, guidata da Gerd Gigerenzer del Max Planck Institute di Berlino, ha proposto una chiave di lettura alternativa delle euristiche, definendole “fast and frugal”, cioè “veloci e frugali” modi per prendere decisioni. Gigerenzer ha provato che spesso queste euristiche portano a risultati – in vari ambiti, non solo economico-finanziario – molto vicini a più complesse strategie ottimizzanti. Quest’approccio si rifà in qualche modo all’idea di “razionalità ecologica” proposta da Vernon Smith, l’economista sperimentale che ha condiviso il Nobel con Kahneman nel 2002.
Al di là del fatto che le euristiche diano risultati similari o quanto meno confrontabili con strategie più sofisticate, da un punto di vista evolutivo sono state, e sono tuttora, funzionali al farci prendere decisioni in condizioni di incertezza. Se dunque è vero che possono portate a commettere degli errori, è altrettanto vero che ci rivelano molto riguardo le preferenze degli investitori.
Proprio da qui vogliamo partire per proporre a consulenti finanziari e private banker un nuovo approccio alla finanza comportamentale che grazie all’utilizzo di adeguati inquadramenti (o framing) dia modo al cliente di esprimere in piena consapevolezza le sue reali preferenze, limitando il condizionamento da bias comportamentali.
Ancora prima di addentrarci in questo innovativo approccio, dobbiamo partire dalla consapevolezza del contesto. Un contesto in cui è venuto a mancare un riferimento fondamentale per gli investitori – un’àncora mentale per usare il gergo della finanza comportamentale – ossia il titolo che offre rendimento (positivo!) privo di rischio.
I tassi davvero risk free sono da tempo in territorio negativo (il Bund tedesco offre tassi negativi fino alla scadenza trentennale), ma il cliente medio fa fatica a comprendere e certamente non accetta di investire a tassi negativi. Fino a dieci anni fa i tassi negativi non esistevano e i rendimenti espressi dai governativi domestici fornivano un porto sicuro per una vasta platea di investitori.
L’ancoraggio mentale però rimane, come pure la convinzione, seppure errata, che il titolo di Stato italiano non sia rischioso, anche se non lo è! Si tratta ovviamente di una percezione distorta, ma tant’è… è lì e lì rimane e dobbiamo tenerne conto. Rimane presente non solo per una tradizione ormai pluri-decennale che ha abituato i “Bot people” a un rendimento minimo garantito offerto dai titoli di Stato, ma anche perché serve come àncora di riferimento per valutare le “altre” alternative d’investimento percepite, quelle sì, come rischiose.
Sino a pochi anni fa, infatti, Bot e pronti contro termine erano alla portata di tutti, lo spread sul Btp era usato solo nelle società di gestione del risparmio (sgr) e dalle case d’investimento e, quindi, la liquidità accumulata nei conti correnti non era il problema che è diventato oggi.
Era l’età delle scelte in condizioni di “certezza”: da un lato avevi il rendimento del tuo governativo (o dei bond bancari che rendevano anche qualcosa in più) e dall’altra il rendimento di Borsa. Far passare un investitore dalla sua vecchia cara obbligazione a un titolo o un fondo azionario era davvero difficile e per riuscirci come consulente dovevi chiedere, prima di tutto, un investimento sulla fiducia e poi sulle tue capacità di specialista.
Oggi tutto questo è passato e, forse, ormai anche i consulenti pensano che provare a spiegarlo nuovamente – e forse nuovamente senza successo – ai propri clienti non sortisca gli effetti sperati. Da anni, quindi, non solo i consulenti, ma tutta (o quasi) l’industria del risparmio gestito ha iniziato a comunicare le alternative d’investimento in termini di scelta in condizioni di incertezza. Tuttavia, i clienti continuano a cercare il loro minimo garantito, restando sempre ancorati alla solita fonte: il governativo domestico. Ne abbiamo una riprova nel risultato del Btp Italia dello scorso anno, 14 miliardi di euro di sottoscrizioni da parte degli investitori retail in pochi giorni – un successo ampiamente amplificato dai media che hanno sottolineato la scelta “patriottica” di comprare Btp in questo periodo così particolare – per un rendimento lordo (vale la pena ricordarlo, lordo, non netto) di solo l’1,40%!
È quindi il momento di un bagno di realtà per fare prendere coscienza ai clienti della reale situazione di quello che pensano sia il mercato.
La finanza comportamentale ci insegna che gli eventi più recenti hanno un impatto rilevante sul nostro comportamento e minimizzano (se non azzerano) i ricordi degli eventi più distanti – in gergo si parla di recency bias o errore della “recentezza” – e che il cervello tende a dare più importanza alle informazioni prontamente disponibili, la cosiddetta euristica della disponibilità.
Da entrambi i punti di vista, il dato del rendimento del Btp Italia è dunque psicologicamente rilevante non solo perché recente, ma anche perché facilmente “disponibile”, senza che il cliente debba sentire complicate trasposizioni statistiche, perché costantemente ricordato da giornali, telegiornali, social network, eccetera.
È allora possibile partire proprio da un evento all’apparenza insignificante – il collocamento del Btp Italia (o del Btp Futura) – per mostrare come i consulenti possano accompagnare i loro clienti alla presa di coscienza di dover operare una buona diversificazione di lungo periodo per la definizione del loro portafoglio d’investimento.
Per raggiungere tale scopo, è opportuno inserire alcune tecniche comportamentali nella relazione con il cliente, in modo che ragioni meglio sulle reali alternative a sua disposizione.
Partiamo da uno degli aspetti che più rimane in mente dopo aver seguito un corso di finanza comportamentale, cioè la parte relativa alla cosiddetta “teoria del prospetto” – che è valsa il Nobel a Kahneman – e agli esperimenti sulla tolleranza al rischio, sulle cui evidenze siamo ormai tutti d’accordo.
La maggioranza delle persone preferisce ottenere 750 € con certezza, piuttosto che prendersi il rischio di vincerne 1.000, ma con solo il 75% di probabilità. Ovviamente, il valore atteso della scommessa è pari all’equivalente certo, ma si preferisce la cifra certa rispetto al gioco rischioso. Questa evidenza è alla base dell’ipotesi che in media gli individui sono avversi al rischio. Al tempo stesso, però, la maggioranza degli individui, pur di evitare una perdita certa di 750€ , è disposta a perderne 1.000 con probabilità 75%, puntando sulla probabilità del 25% di non perdere nulla. Ciò significa che quando si valuta una perdita, anziché un guadagno, potenziale si tende a diventare propensi al rischio. Il grande punto di forza, l’intuizione di questo esperimento “teorico” risiede nella chiarezza, nell’oggettività della situazione e nella semplicità del ragionamento sottostante.
Ma i 750 € sicuri nel gioco precedente chi li “regala” nella realtà?
Nessuno! E quindi? E quindi proviamo a sostituire a tale ipotesi teorica, quello che davvero si può offrire a un investitore, indipendentemente dalla sua propensione al rischio. L’idea è quella di presentare al cliente un quesito analogo a quello teorico, ma rendendolo concreto, usando cioè le alternative, certe e incerte, che caratterizzano il mercato finanziario di ogni giorno.
Cosa si può prendere come alternativa certa nella realtà?
Semplice, il rendimento del Btp Italia! Lo sappiamo, non è un rendimento privo di rischio, ma è percepito come tale dalla maggioranza degli investitori. È l’esempio perfetto che si può portare al cliente per fargli prendere scelte non distorte sul futuro dei suoi investimenti.
Quindi la domanda teorica proposta in precedenza va riformulata come segue:
“Hai un capitale di 100mila €, preferiresti avere a fine anno:
- un guadagno certo di 1.400 € (lordi) investendo tutti i 100mila € in Btp Italia,
oppure
- un guadagno certo di 1.050 € (lordi) investendo 75.000 € in Btp Italia e valutare una diversificazione investendo gli altri 25.000 € nel mercato?
La finanza comportamentale ci insegna che nelle domande è importante il framing, cioè come esse vergono presentate, formulate. Nelle domande di sopra, non si parla volutamente di montante finale (101.400 €), ma del guadagno che si può conseguire (1.400 €). Il motivo è presto detto: la teoria del prospetto ci insegna come il cervello umano non valuti tanto l’ammontare complessivo di ricchezza – come invece postula la tradizionale “teoria dell’utilità attesa” – bensì il guadagno (o la perdita) che una certa decisione di investimento può portare rispetto a un punto di riferimento, nel nostro caso la cifra investita (100.000 €).
In altri termini il nostro cervello si chiede: “Questa scelta di investimento di quanto mi farà più ricco/povero?” Si ragiona cioè in termini differenziali, anzi sperabilmente incrementali, cioè di guadagno e non di perdita.
Nella domanda, poi, non abbiamo inserito il rendimento percentuale (l’1,40%), ma il guadagno in euro, in modo da aiutare il cliente a rendersi conto della portata del fenomeno in termini assoluti (non percentuali) monetari.
Un altro motivo per questa scelta riguarda le stesse considerazioni psicologiche che troviamo, “in negativo”, nel consuntivo ex post che legge il cliente nel quale si è passati dalla rendicontazione delle commissioni in percentuale all’importo totale in euro. Ciò vale soprattutto per i clienti “private”, ma non solo. Un 2% di commissioni sembra poco in percentuale, ma se il patrimonio del cliente è di dieci milioni di euro, si tratta di 200mila € di commissioni che paga ogni anno, a prescindere poi dal risultato finale, sia esso un guadagno o una perdita.
Un terzo aspetto discende direttamente dalla neuro-economia e dalle neuro-scienze, dove molti studi hanno dimostrato un diverso comportamento del cervello davanti a scelte in condizioni di certezza o di incertezza.
Nelle scelte in condizioni di certezza il cervello attiva delle aree che sono critiche nella valutazione dei pro e dei contro delle diverse opzioni. Queste aree appartengono prevalentemente alla corteccia frontale del cervello e hanno la funzione di pesare vantaggi e svantaggi delle scelte, ad aiutarci a prevederli e a fornirci un orientamento per la decisione finale.
L’incertezza è una condizione che varia profondamente il modo con cui il nostro cervello prende le decisioni. Cambiano innanzitutto il numero delle regioni celebrali attivate e la loro posizione. La loro interazione ha un esito immediato sul circuito delle emozioni, sul recupero delle memorie negative e di precedenti non positivi e di conseguenza sulle scelte razionali.
Cosa ci possiamo aspettare a questo punto dal cliente? Come si comporterà?
Prima di rispondere, chiariamo perché abbiamo posto la domanda precedente in quel modo.
È immediato comprendere la differenza rispetto alla domanda teorica che prevede il confronto tra l’alternativa certa (750 €) e il gioco che comunque dà lo stesso risultato, ma atteso (non certo!).
Nella domanda che proponiamo, infatti, l’alternativa al risultato percepito come certo (i 1.400 € “assicurati” dal Btp Italia), cioè quella “incerta” che propone di investire una parte della propria ricchezza (il 25%, 25.000 €) sul mercato non porta alla stessa cifra – non offre esattamente come risultato atteso 1.400 € – ma offre invece solo un’alternativa, che è quella di investire una parte della ricchezza a disposizione sul mercato, sempre ovviamente diversificando.
Gli obiettivi che si pone questa seconda domanda sono i seguenti:
- utilizzare la cosiddetta “contabilità mentale” per capire la parte di patrimonio che il cliente vuole dedicare a quello che percepisce come investire “certo” e quella che invece è disposto a investire sul mercato, seppur diversificando;
- abbassare l’effetto “rimpianto”, uno dei peggiori nemici nell’investimento;
- non fornire “alibi” che portano a procrastinare la scelta.
La “contabilità mentale” è un processo tramite il quale il cervello tende a inserire in “conti” (o partizioni) mentali il denaro. Questo semplifica il processo di scelta. A ogni conto mentale è però associata una certa propensione al rischio. Chiedere dunque al cliente quanto è disposto a investire nel mercato indica in modo chiaro il cassetto mentale che sta aprendo e quanto è disposto a “metterci dentro”.
Questo è il cassetto – la parte della ricchezza del cliente – dove il consulente può operare. L’altro cassetto, invece, gli è precluso (almeno al momento) perché il cliente “vincola” quella parte della ricchezza disponibile a ottenere un risultato certo (quello dato dal Btp).
La distinzione in due conti mentali distinti, al tempo stesso, abbassa notevolmente l’effetto “rimpianto” perché avendo separato i due cassetti, quello in cui può operare il consulente “glielo ha messo in mano il cliente”, glielo ha affidato consapevolmente e dunque, all’interno di quel cassetto, sarà meno predisposto al rimpianto.
C’è in verità un altro aspetto da considerare, cioè che il cassetto dedicato alla certezza del risultato, nel quale il consulente non può (almeno all’inizio) operare, sortisce anche l’effetto di aumentare la tolleranza al rischio del cliente. Questo fenomeno è noto in finanza comportamentale come “editing edonico”, due parole peculiari per dire una cosa molto semplice: il cervello attua in automatico un processo di editing, cioè si “sistema le cose”, in modo edonico, ossia per stare meglio.
La parte certa rassicura il cliente, gli fa aumentare la tolleranza al rischio e lo predispone all’investimento più rischioso. Si tratta dello stesso effetto che sortiscono le cedole nell’investimento obbligazionario, i dividendi in quell’azionario e le cosiddette “cedole” nei fondi detti “a cedola”, cioè a ripartizione dei proventi.
L’ultimo punto, fondamentale, è quello di evitare che il cliente procrastini la decisione di investimento, spingendolo “gentilmente” a scegliere, non chiedendogli se è disposto a investire una parte del patrimonio sul mercato, ma quale parte vuole investire, dando per scontato che sia disposto a farlo e creandogli in automatico i due cassetti mentali, che poi lui deciderà come riempire. Manipolazione? No! Qualsiasi proposta è potenzialmente manipolatoria.
Qui si vuole di cercare di aiutare il cliente a prendere scelte migliori. Si tratta a ben vedere di quella che è ormai nota come “spinta gentile” (o nudge), idea che è valsa il Nobel per l’Economia 2017 a Richard H. Thaler, economista comportamentale dell’Università di Chicago che per primo ha intuito l’importanza delle idee di Kahneman e Tversky e le ha applicate in economia.
Il concetto di nudge si inserisce in quella che più in generale è chiamata “architettura delle scelte” e ormai si parla del consulente finanziario del futuro come “architetto (finanziario) delle scelte” del cliente perché deve cercare di aiutarlo, tramite tecniche comportamentali come quelle citate in questo articolo, a prendere decisioni migliori.
Concludendo, lo scopo di chi scrive è chiarire come la finanza comportamentale non sia solo una soft skill da utilizzare per gestire la relazione tra consulente e cliente e minimizzare l’impatto delle emozioni sulle sue scelte, ma uno strumento “tecnico”, una vera e propria hard skill da utilizzare nella costruzione del portafoglio del cliente.
È fondamentale che il consulente comprenda qual è il territorio dove può operare, che spesso è un sotto-insieme del portafoglio del cliente. Una parte, quella che il cliente vuole investire con un’attesa di rendimento certo, gli è inizialmente preclusa e deve dunque operare nell’altra, spingendo (sempre “gentilmente”) il cliente ad affidargliela esplicitamente.
Il punto, che può apparire banale, è invece fondamentale per i motivi sopra-citati, e portano a una maggiore consapevolezza del cliente, a una minimizzazione del suo rammarico potenziale e una predisposizione a investire sul mercato la parte del patrimonio su cui è davvero disposto ad accettare un rendimento incerto.
Le hard skill fornite dalla finanza comportamentale non si fermano ovviamente alla sola fase di costruzione del portafoglio, ma anche a quella della successiva gestione.
Una volta stabilito il cassetto mentale dedicato agli investimenti “veri e propri” sul mercato, si potrà dopo un adeguato lasso di tempo, chiedere al cliente se è disposto a “mettere un po’ più a rischio” quella parte per ottenere un rendimento atteso più elevato, o magari chiedergli se è disposto ad aumentare l’ampiezza del cassetto, cioè a “mettere a rischio” una maggior parte del proprio patrimonio.
Si badi che è la prima volta in questo articolo in cui usiamo l’espressione “mettere a rischio”, prima abbiamo utilizzato “valutare una diversificazione investendo nel mercato”. Il motivo è presto detto: vogliamo chiarire che prima è importante per il consulente distinguere i due cassetti mentali, quello “certo” e quello “incerto”, e solo successivamente operare sul secondo, dedicato agli investimenti veri e propri.
Questo permetterà di lavorare in condizioni di incertezza, solo dopo avere soddisfatto il requisito di rendimento certo chiesto dal cliente. Una volta compresi questi fondamentali meccanismi psicologici e neuro-scientifici, si potrà addirittura far capire al cliente il concetto di diversificazione, spesso banalizzato e al tempo stesso frequentemente non compreso appieno, senza parlare di rischio!
Ma questo sarà l’oggetto di un prossimo articolo…
Articolo a cura di Salvatore Pandolfini ed Enrico Maria Cervellati