Ha insegnato alla Columbia e alla Università di Ny ed è passato al venture dopo aver iniziato a fare l’imprenditore. La sua Prelude, con sede a Madrid, è oggi la più grande catena di cliniche per l’infertilità degli Usa. E adesso guarda ai robot che creano embrioni
L’Europa è piena di ottime idee e tecnologie, ma è dominata da un avversione al rischio che riguarda sia i potenziali imprenditori. Sia gli investitori. Un approccio che non possiamo più permetterci
E per le quali si spende anche come imprenditore. Nel 2015, con il sostegno di Lee Equity, ha fondato Prelude, ora la più grande catena di cliniche per la fertilità negli Stati Uniti. Nel 2017, Martin ha fondato Overture Life, con l’idea di creare gli embrioni con l’ausilio dei robot. Il suo nome sta dietro a Viatel, la prima rete in fibra ottica paneuropea, alla telecom Jazztel, a Ya.com, venduta a Deutsche Telekom per 650 milioni di dollari.
Perché? Perché oggi il sistema regolatorio non agevola la creazione di impresa, perché servono molti più soldi (forse con il Fondo nazionale innovazione qualcosa potrebbe cambiare) ma anche, sostiene Varsavsky, «perché esiste una forte avversione al rischio. Che riguarda i potenziali imprenditori ma anche gli investitori. In Italia, e anche in Germania, i due paesi con i maggiori tassi di risparmio al mondo. E non è che non ci siano buone startup: alcune di quelle italiane hanno avuto successo trovando finanziamenti all’estero. In Germania investono tanti fondi Usa perché hanno trovato un vuoto. La paura di fallire è un freno potentissimo alla crescita».
Anche il caso Tesla aiuta a riflettere: «gli investitori Usa vedono che l’automotive è destinato a cambiare. E credono sia solo questione di tempo: guardano ai prossimi dieci anni. Gli investitori europei invece, di fronte alla mancanza di utili della società di Elen Musk, hanno preferito disinvestire». Un tema anche di maturità del mercato, certamente.
Ma soprattutto culturale. «Si fa fatica a capire che le startup sono un sistema estremamente dinamico di prova ed errori. E tuttavia è più probabile che un investitore punti su qualcuno che ha provato e non è riuscito che in uno che non si è mai cimentato. Io stesso preferisco investire su qualcuno che ha già fallito». Perché il fallimento è alla base del successo. «Le idee che non vanno bene lasciano in eredità lezioni vitali», dice Varsavky. E racconta la storia di Daniel Lubetzky, il miliardario messicano di origine lituana che ha fondato la società degli snack salubri Kind, venduta nel corso di quest’anno a Mars per 5 miliardi di dollari. «Nei venti anni precedenti ha lanciato prodotti che sul mercato non sono andati bene. Viene da chiedersi se i cinque miliardi li abbia guadagnati quando ha venduto la sua startup o nei venti anni precedenti. Si impara più dalle cose che non vanno bene che da quelle che vanno bene. La cultura italiana è meno preparata, per la connotazione quasi criminale sul fallimento. Ma il fallimento di chi fa impresa è simile a quello di chi fa scienza: esperimenti che non funzionano e possono diventare oggetto di paper che ispirano ulteriori evoluzioni». E che conducono, fatalmente, alle scoperte che (a volte) cambiano il mondo.