- l’investment advisory o consulenza (sulla componente) finanziaria del prodotto
- l’insurance advisory o consulenza (sulla componente) assicurativa del prodotto
- l’insurance wealth planning o consulenza patrimonial(assicurativa)
E la quarta dimensione ?
Non può che essere la variabile tempo. Ovviamente non quello meteorologico, ma quello relativo al presente, passato ma soprattutto futuro che deve plasmare e abbracciare le tre componenti appena citate. Ma come?
Dalla prospettiva del consulente, la variabile tempo applicata alla sua attività di investment/insurance(wealth planning) advisory non deve essere mai intesa da un punto di vista statico ma dinamico in quanto va fornita, come in una “bicicletta in movimento”, in modo continuativo o periodico, se non si vuole “far cadere a terra” il proprio cliente.
Dal punto di vista del prodotto di private insurance, la variabile tempo è di norma individuata con la durata del prodotto che nell’ambito della pianificazione patrimonial-assicurativa trova la sua massima espressione nella forma della “vita intera” (anche se non si può escludere la durata determinata) e quindi con la vita del cliente, visto che la polizza cessa alla sua scomparsa (per non apparire troppo macabro, permettetemi di utilizzare questo termine in luogo di decesso nel corso di questo articolo). In un tale contesto, pertanto, l’attenzione del consulente patrimoniale andrebbe focalizzata sull’assistenza fornita in corso di vita del cliente (in merito alle tre dimensioni nel suo complesso) e con uno spettro temporale molto limitato che andrebbe circoscritto agli immediati discendenti di quest’ultimo (per quanto riguarda l’attività di insurance wealth planning): d’altronde non potrebbe essere diversamente, considerato che la struttura più inflazionata e utilizzata sul mercato è quella che vede il cliente nella doppia veste di contraente e testa assicurata con beneficiari gli eredi, individuati in forma nominativa o per lo meno individuabili. Insomma il c.d. contratto di assicurazione sulla vita propria e in favore di un terzo che personalmente identifico nel “finchè morte non ci separi” o, per essere più schematici, nella struttura A—A–B dove le lettere corrispondono, nell’ordine dato, a contraente-assicurato-beneficiario: in questo caso il contraente A è anche assicurato, mentre il beneficiario B è un soggetto diverso.
Ma se così non fosse ? E se invece esistessero delle strutture che permettano di dilatare lo spettro temporale della propria attività di pianificazione patrimoniale e successoria oltre gli immediati discendenti del cliente ? Insomma delle strutture che nell’ambito dell’assicurazione vita consentano la “staffetta” patrimoniale (i.e. il passaggio del patrimonio) da una generazione a quella successiva nella massima efficienza fiscale ed in una sorta di perpetuità “virtuale”. Azzardo puro? Potrebbe essere. E proprio perché si tratta di una tematica irta di insidie, nel prosieguo di questo articolo si farà riferimento ad una analisi sperimentale applicata ad un modello predefinito di ordinamento tributario, lasciando al lettore più curioso e volenteroso le dovute considerazioni. Sarà invece mio personale compito fornire (o almeno si spera) tutti gli elementi persuasivi necessari. E per poterli esporre nel migliore dei modi bisogna prima immergere la propria attenzione nella fantomatica galassia dei trusts.
L’ambita “immortalità” nel diritto dei trusts
Nella puntata precedente si è brevemente visto come lo strumento assicurativo vita presenti caratteristiche affini a quelle dello strumento trust. Per non essere troppo dispersivi, e poco puntuali, si è limitata quella avventata comparazione ai family trusts che amministrano/gestiscono il patrimonio mobiliare, ma tutto ciò entro i limiti strettamente necessari per far comprendere al lettore come l’assicurazione vita possa avere concrete opportunità per essere qualificata come un “quasi-trust”. E in alcune circostanze, assurgere anche ad un suo degno alter-ego.
Ma con riferimento a quanto qui interessa, bisogna innanzitutto indirizzare la propria attenzione verso la galassia dei trusts al fine individuare quelle specifiche strutture nelle quali è ricorrente la dote dell’ “immortalità”. Dolus-bonus e inutili trionfalismi a parte, con tale termine si vuole fare riferimento a quella caratteristica di perpetuità che contraddistingue alcune tipologie di trusts e che mal si concilierebbe con un principio vitale che caratterizza alcuni ordinamenti giuridici (prettamente di common law): ossia la commerciabilità di determinati beni e diritti, da un lato, con la potenziale minaccia che potrebbe derivare da una loro durata indeterminata (c.d. rule against perpetuities), dall’altro. Per tale ragione, come vedremo, la perpetuità non può che essere tendenziale e la durata giocoforza determinata (o almeno determinabile). In poche parole, “virtuale”.
Tanto premesso, dal diritto dei trusts (mi raccomando, non dimentichiamoci mai la “s”) e in particolare dall’ampio genus dei family trusts si possono richiamare tutte quelle species che, pur con una durata determinata abbastanza lunga nel tempo, permettono di continuare egregiamente e in modo indisturbato il loro lavoro alla scomparsa dei singoli componenti del nucleo familiare. E quindi di mettere in pratica quella succitata “staffetta” patrimoniale.
Senza entrare troppo nel dettaglio, si potrebbe incominciare la rassegna con i c.d. bypass trusts che attuano una parziale “perpetuità virtuale” perlopiù per finalità di asset protection ed efficienza fiscale in materia di transfer tax (i.e. la nostra imposta di successione/donazione). Se prendiamo come riferimento, ad esempio, un sistema tributario in cui la transfer tax:
a) è applicata oltre una certa soglia nei confronti dei legittimari (la nostra franchigia); ed
b) è differita alla scomparsa dell’ultimo coniuge (quando ha ad oggetto donazioni effettuate in vita tra i coniugi); ed
c) è dovuta soltanto al momento della dotazione del trust; ed
d) è applicata sul patrimonio trasferito mortis causa (estate tax) e non è dovuta dai singoli eredi (inheritance tax), che non rivestono quindi la qualifica di soggetti passivi d’imposta; allora
il trust potrebbe essere istituito irrevocabilmente al decesso del primo tra i due coniugi e in favore di quello superstite per ottimizzare al meglio il passaggio, dapprima, da un coniuge all’altro e, in un secondo momento, dal coniuge superstite ai discendenti. Niente di nuovo rispetto ad un trust testamentario, si potrebbe obiettare, se non fosse per il fatto che al decesso del primo coniuge la struttura subisce una metamorfosi divenendo un AB trust: le due lettere dell’alfabeto (che non hanno niente in comune con quanto citato nel paragrafo che precede, se non la pura coincidenza) stanno a significare che dal trust originario si generano due trusts:
(i) il trust B o bypass (o descendant) trust (irrevocabile). Viene dotato del patrimonio sino alla misura massima consentita dalla franchigia e istituito in favore del solo coniuge superstite (marital trust) e semmai anche dei figli (family trust) che assumono le vesti di beneficiari del reddito (o life-tenant beneficiaries); e
(ii) il trust A (revocabile). Viene dotato di quella quota del patrimonio che eccede la franchigia (confluita invece nel trust B) ed è istituito in favore del solo coniuge superstite, che è libero di modificare le caratteristiche del trust come meglio crede. Di norma tale trust, qualora confermato e non revocato, permetterebbe anche l’ulteriore vantaggio di differire la transfer tax dovuta sul patrimonio del primo coniuge sino alla scomparsa dell’altro coniuge superstite.
Per farla breve, i beneficiari finali di entrambi i trusts A e B (o remainder beneficiaries) otterranno un patrimonio complessivo che sarà stato oggetto di tassazione soltanto sulla quota parte del fondo del trust A che eccede la franchigia del secondo coniuge superstite ormai scomparso. Tenete bene a mente che i redditi generati dal patrimonio confluito nel trust B (qualora assuma la forma del marital trust) saranno esclusi dall’asse ereditario del coniuge sopravvissuto in quanto soltanto il patrimonio di cui è stato originariamente dotato il trust assume rilevanza ai fini della transfer tax (che ricordiamolo, secondo quando previsto al punto “c” che precede, ha avuto luogo entro i limiti della franchigia del primo coniuge scomparso).
Volendo, poi, al bypass trust si potrebbe integrare la struttura SLAT (o Spousal Lifetime Access Trust) che permetterebbe, tra le altre cose, di istituire il trust quando il coniuge settlor è in vita, e non alla sua scomparsa, consentendo così di anticipare gli effetti del bypass trust, e quindi la distribuzione del reddito, nei confronti dell’altro coniuge ma anche di “cristallizzare” ad una data certa (e presente) i benefici offerti dalle franchigie in materia di transfer tax rispetto ad una loro paventata riduzione/rimozione in un futuro (incerto) che si identifica con la data di scomparsa del coniuge settlor.
Ma dove l’ambita “immortalità” (si fa per dire, ovviamente) raggiunge la sua massima espressione, è nel dynasty trust (o come viene anche denominato generation-skipping trust). Senza spirito di esaustività, se prendiamo sempre come riferimento le quattro caratteristiche “a, b, c e d” del sistema tributario poc’anzi citato, e ne aggiungiamo una ulteriore, ossia la previsione di:
e) un aggravio della transfer tax qualora il patrimonio sia trasferito ai discendenti in linea retta di grado successivo al primo (ossia, per intenderci, non da padre a figlio ma, ad esempio, da nonno a nipote o pronipote); allora
il trust potrebbe essere istituito irrevocabilmente dal titolare del patrimonio in favore dei suoi discendenti in linea retta che diverrebbero, quando in vita, beneficiari del reddito (quindi life tenant beneficiaries) mentre l’ultimo discendente sopravvissuto assurgere alla qualifica di beneficiario finale del patrimonio (o remainder beneficiary). In una tale struttura (anche se non si possono escludere varianti, vista l’ampia flessibilità e duttilità offerta dallo strumento trust) la perpetuità “virtuale” diviene più concreta in quanto la “staffetta” patrimoniale da una generazione all’altra (e quindi da un nipote e/o pronipote all’altro, e viceversa):
(i) continua fino alla scomparsa dell’ultimo discendente sopravvissuto e fintantoché lo consente …il trust. Nel senso che il “moto perpetuo” deve terminare al decesso dell’ultimo discendente e ha una durata massima che deve coincidere con la omonima prevista dalla legge regolatrice del (family) trust. Volendo generalizzare siamo nell’ordine degli 80/100 anni dalla sua data di istituzione (ricordiamoci che per la presente analisi non sono rilevanti i charity trusts o di scopo, per i quali vigono principi diversi);
(ii) in un ambiente “asettico” da transfer tax. Salvo quella eventualmente dovuta al momento in cui viene dotato il trust (caratteristica “c”) – se dovuta, in quanto di norma il trust viene dotato del patrimonio entro la misura massima prevista dalla franchigia – i successivi trasferimenti, ivi compreso l’aggravio citato nella caratteristica “e”, ne sono esenti in quanto il patrimonio non viene trasferito da un discendente all’altro, e pertanto da un asse ereditario all’altro, essendo questo nella proprietà del trust dal momento in cui il suo originario titolare se ne è spossessato (il c.d. trust fund).
Le potenziali applicazioni al private insurance ? Un analisi sperimentale
Quanto segue costituisce la prima parte di una analisi sperimentale di strutturazione e pianificazione patrimonial-assicurativa (la seconda seguirà con un successivo articolo) che introduce, da un punto di vista concettuale teorico, il fenomeno della perpetuità “virtuale” e comunque della “staffetta” patrimoniale in alcune strutture potenzialmente utilizzabili nell’ambito dell’assicurazione vita.
Per poter procedere in tal senso, al modello di analisi si applicano i seguenti presupposti:
a) la struttura presa in considerazione è l’assicurazione sulla vita caso morte a vita intera (ma nulla vieta che possa essere anche una assicurazione mista, caso vita e morte, e quindi a durata determinata); e
b) in caso di pluralità di assicurati, la polizza cessa con il decesso dell’ultimo assicurato sopravvissuto; e
c) si tratta di un prodotto di investimento assicurativo (IBIP)
mentre il modello di sistema tributario utilizzato prevede:
d) l’esenzione da transfer tax sui capitali pagati al o ai beneficiari della polizza assicurativa ; e
e) il differimento di qualsiasi imposizione tributaria (tax deferral), sia questa diretta e/o indiretta, al momento in cui ci sia l’effettivo pagamento dei capitali di polizza al o ai contraenti e/o beneficiari della polizza assicurativa; e
f) la non applicabilità della transfer tax al momento della riunione del diritto di usufrutto con la nuda proprietà.
Ebbene una prima struttura che si potrebbe citare riguarderebbe la struttura A-A-BC, ossia l’assicurazione sulla propria vita (soggetto A quale contraente e assicurato) e in favore di terzi (i due beneficiari B e C) ma con un’importante caratteristica: la prestazione assicurativa in caso di decesso è oggetto di un quasi-usufrutto.
Il quasi-usufrutto altro non è che un diritto di usufrutto (e quindi di godimento della cosa) ma che presenta una peculiarità: in quanto costituito su cose consumabili e/o fungibili, alla sua estinzione (es. scadenza, cessazione o decesso) l’usufruttuario sarà tenuto a restituire cose della medesima quantità o qualità al nudo proprietario (a differenza dell’usufrutto “pieno” che invece comporta la restituzione della cosa originaria).
Applicato tale istituto giuridico al nostro modello, ne conseguirebbe che il cliente A dovrebbe costituire un quasi-usufrutto (e quindi un vincolo) sulla prestazione assicurativa avente il beneficiario B quale usufruttuario e il beneficiario C quale nudo proprietario. Volendo fare un esempio, possiamo immaginare una polizza assicurativa in cui il nonno sia il contraente e assicurato di polizza (soggetto A) mentre suo figlio sia designato quale beneficiario usufruttuario (soggetto B) e suo nipote quale beneficiario nudo proprietario (soggetto C).
Da un punto di vista pratico, considerato che l’oggetto sul quale si andrebbe a costituire il vincolo derivante dal quasi-usufrutto sarebbero, a seconda della legge applicabile al contratto di assicurazione, le somme in denaro e/o i titoli oggetto di trasferimento in natura, allora se ne può dedurre come la prestazione assicurativa debba essere corrisposta all’usufruttuario beneficiario B per poi essere, alla estinzione del quasi-usufrutto (che si può individuare in un termine o nel decesso dell’usufruttuario), nuovamente trasferita al nudo proprietario beneficiario C.
Questa conformazione della clausola beneficiaria (molto conosciuta nel mondo francofono) permetterebbe, nel sistema tributario delineato, di poter effettuare la “staffetta” patrimoniale dal soggetto A al soggetto C in un ambiente “asettico” da transfer tax rispetto invece ad una pianificazione effettuata senza l’utilizzo di una polizza assicurativa. Infatti, entrambe le due “staffette” patrimoniali, ossia da A a B (via polizza) e da B a C (fuori polizza e al decesso di B), non dovrebbero essere sottoposte a transfer tax nel rispetto di quanto previsto, rispettivamente, dalle due precedenti caratteristiche “d” e “f”.
Qualora, invece, la pianificazione dovesse avvenire senza l’utilizzo della polizza assicurativa, allora si rientrerebbe nella fattispecie del quasi-usufrutto disposto per testamento dal de cuius (nell’esempio sarebbe il nonno, soggetto A) e avente due eredi e/o legatari quali destinatari, rispettivamente, dell’usufrutto (suo figlio, soggetto B) e della nuda proprietà (suo nipote, soggetto C), ma con un’importante differenza: l’importo complessivo delle due componenti, usufrutto e nuda proprietà, sarebbe soggetto a transfer tax nella prima “staffetta” patrimoniale da A a B, mentre rimarrebbe immutata la caratteristica “f” in merito al trasferimento patrimoniale da B a C (e quindi il non assoggettamento a transfer tax).
Si denota come l’utilizzo potenziale di questa struttura nell’assicurazione vita possa consentire (almeno da un punto di vista teorico) una sorta di “perpetuità virtuale” non molto diversa, dal lato degli effetti, di quella prodotta dal passby (o AB) trust illustrato in precedenza. Infatti la seconda generazione (che nel trust sarebbe da individuarsi nei remainder beneficiaries mentre nell’assicurazione vita con il nudo proprietario beneficiario C) riuscirebbe nell’intento di una “staffetta” patrimoniale ed in piena ottimizzazione fiscale.
E la struttura assicurativa vita in grado di replicare il dynasty trust ? Beh, merita una trattazione separata. Infatti, sarà oggetto di analisi con il prossimo articolo nel quale saranno anche illustrati i potenziali svantaggi connessi alla tendenziale perpetuità applicata alla pianificazione patrimoniale
À la prochaine !!!