Per chiarire la portata applicativa di tale norma, nell’ambito Legge di Bilancio per il 2018 è stata introdotta una disposizione (della quale è stata poi disposta in via legislativa l’efficacia retroattiva) che ha circoscritto l’interpretazione negoziale al singolo atto presentato alla registrazione, escludendo la possibilità per il Fisco di riqualificare un contratto registrato sulla base del collegamento con altri atti (e/o di elementi extra-testuali). Per effetto di questa modifica, il conferimento di un bene va fiscalmente analizzato senza tener conto della successiva cessione della partecipazione (e viceversa). L’operazione complessiva “plurifase” può semmai essere contestata sulla base della disciplina anti-abuso, qualora miri a conseguire un risparmio di imposta illecito, ma non può essere tout court riqualificata.
Da ultimo, con l’ordinanza n. 23549/2019, la Cassazione rimescolando le carte ha sottoposto alla Corte Costituzionale la questione di incompatibilità del nuovo articolo 20, con gli articoli 3 (principio di uguaglianza sostanziale) e 53 (principio di capacità contributiva) della Costituzione.
La Corte muove dal principio di prevalenza della sostanza sulla forma, per cui la qualificazione dell’atto a fini fiscali dovrebbe avvenire secondo parametri sostanzialistici e non di apparenza e considerando anche elementi esterni all’atto registrato e ad esso collegati: solo in questo modo si potrebbe individuare la portata economica dell’operazione e, di conseguenza, la disciplina fiscale applicabile nel rispetto del principio di capacità contributiva. Una diversa soluzione, secondo la Cassazione, violerebbe inoltre il principio di uguaglianza: la tassazione dell’acquisizione d’azienda è sempre espressiva della stessa capacità economica e non dovrebbe differire a seconda che ad essa si pervenga attraverso una cessione diretta ovvero mediante un conferimento e una successiva cessione di quote.
In attesa della decisione della Consulta, occorre ricordare che la remissione di una questione di legittimità non consente l’immediata disapplicazione della norma sospetta di incostituzionalità. Ne consegue che eventuali atti di liquidazione proporzionale dell’imposta di registro emessi dall’Agenzia delle Entrate sulla base dell’interpretazione della Cassazione sarebbero illegittimi e impugnabili davanti ai giudici tributari. L’eventuale accoglimento delle tesi espresse dalla Cassazione riporterebbe nuovamente in vigore il vecchio art. 20 con effetto retroattivo peraltro con inevitabili effetti sulla certezza del diritto. Pertanto, i rapporti pendenti – non ancora decisi con sentenza definitiva ovvero non ancora “prescritti” – ne resterebbero inevitabilmente condizionati. In tal caso è forse auspicabile che almeno la Corte Costituzionale, ammesso che voglia accogliere la tesi della Cassazione, quantomeno adotti una decisione pro futuro, che faccia salvi i comportamenti dei contribuenti che, in buona fede, abbiano posto in essere operazioni plurifase nel periodo di vigenza della nuova disposizione, escludendo per quel periodo riqualificazioni ex art. 20.