Proprio dietro i due exchange americani (New York e Nasdaq) ma davanti alla Borsa di Tokio. Una sorta di via della seta telematica destinata a convogliare attraverso le sue fibre i capitali occidentali alla ricerca di buoni investimenti in Cina e utilizzabile, allo stesso tempo, per favorire gli investimenti asiatici in Occidente. Già perchè proprio questa è la novità.
Superata di slancio la prima fase della propria industrializzazione la Cina sta ora sperimentando un nuovo modello di sviluppo, iniziando a delocalizzare all’estero alcune proprie produzioni, mantenendo ricerca ed headquarter in madrepatria. Proprio quello che nei decenni precedenti hanno fatto i gruppi europei e statunitensi.
Con le infrastrutture della Belt and Road Iniziative si stanno creando le condizioni logistiche per favorire gli scambi globali del futuro redistribuendo la catena del valore nei nodi toccati dalle nuove vie di comunicazione. L’iniziativa di Hong Kong, in fondo, era volta a facilitare la raccolta di capitali al servizio delle medesime finalità. Londra però ha detto no. All’unanimità, il board dell’Lse ha “rifiutato la proposta e, considerati i suoi difetti fondamentali, non vede alcun beneficio nell’andare avanti nelle trattative”.
La piazza britannica in realtà ha oggi altre priorità. Soprattutto è impegnata nell’acquisizione di Refinitiv, piattaforma di informazioni finanziarie concorrente diretta di Bloomberg, e di proprietà congiunta del fondo Blackstone, che detiene una partecipazione del 55%, e di Thomson Reuters (che controlla il restante il 45%).
E’ un’operazione da 27 miliardi di sterline che, una volta attuata, renderà irraggiungibile la piazza londinese per i pretendenti asiatici. Normalmente chi propone un’acquisizione gioca all’attacco. E, considerando i numeri della Borsa di Hong Kong la prima impressione potrebbe essere quella.
Con una capitalizzazione di 35 miliardi di euro è il più grande mercato di Ipo al mondo con oltre 2300 società quotate. È inoltre leader mondiale nel trading dei future sui metalli acquistato qualche anno fa proprio da Londra. Infine quella della città-stato asiatica è una piazza finanziaria interconnessa. Chi quota lì le proprie azioni può vederle scambiate anche a Shenzen e Shanghai le altre due grandi borse cinesi. E’ insomma un polo finanziario che attira capitali indirizzati in Cina.
Anche per queste considerazioni Prada, la maison di moda italiana, ha scelto di quotarsi a Hong Kong. “Gli sono stati riconosciuti nel prezzo di avvio delle contrattazioni multipli circa doppi a quelli che erano stati stimati in Europa”, sottolinea a We Wealth una fonte che ha avuto accesso al dossier.
Ma l’offerta della Borsa di Hong Kong può essere interpretata anche come una mossa in difesa. L’ex protettorato britannico è alle prese con la difficile coabitazione con la Cina che si propone di rafforzare i suoi legami con l’ex colonia. In fondo è questo l’obiettivo della Greater By Area (vedi altro articolo nel dossier) l’ambizioso programma di investimenti volto a crare una Silicon Valley globale tra Shenzen, Hong Kong e Macao.
L’equilibrio garantito dalla formula “un paese , due sistemi” grazie al quale la città-stato è cresciuta ed ha prospetrato in tutti questi anni, potrebbe essere rotto a favore di una più decisa collocazione nel “sistema” comunista. Poi c’è da rintuzzare la concorrenza portata dalle altre piazze borsistiche cinesi, soprattutto quella di Shanghai.
Quest’ultima è avviata a lanciare nel 2019 – riferisce l’ultimo report dell’associazione Italia-Cina – un programma che consentirà ai trader cinesi di acquistre i titoli di alcune società quotate a Londra sotto forma di Depository Receipt. I trader inglesi potranno fare altrettanto con le azioni cinesi. Hong Kong non sta a guardare.
L’ex colonia britannica è tradizionalmente leader nelle emissioni di debito delle imprese cinesi e nel 2017 ha avviato il progetto di Bond Connect per dare accesso al mercato interbancario dei bond cinesi agli investitori esteri . E’ il terzo mercato obbligazionario al mondo (dopo Usa e Giappone) con un valore di 9.800 miliardi. Finora attraverso Bond Connect sono transitati investimenti per 280 mld di dollari. Vista in questo scenario l’integrazione con Londra avrebbe rafforzato i legami con l’occidente e, implicitamente, anche l’autonomia e la libertà di cui gode la tigre asiatica.
Ma al di là dei temi geopolitici l’alleanza tra due grandi piazze finanziarie avrebbe generato valore? “Dipende – risponde Fabrizio Plateroti, per anni responsabile della regolamentazione alla Borsa Italiana – gli effetti di un consolidamento non incidono tanto sul trading quando sulla possibilità di conseguire risparmi sui costi delle piattaforme tecnologiche e dei servizi operativi” . Non è più sul trading, del resto, che le Borse conseguono i maggiori profitti e basta osservare il bilancio del London Stock Exchange per rendersene conto.
La Borsa inglese genera il 40% dei propri ricavi dai servizi informativi – ciò che spiega, tra l’altro, l’interesse per Refinitiv – il 38% dai servizi post trade e soltanto il 19% dalle fee di negoziazione. Per giunta – è ancora Plateroti a parlare – il business borsistico è fortemente regolmentato, per i possibili effetti sull’economia di un paese, ciò che rende le integrazioni planetarie assai complesse.
Sotto questo profilo non favorisce l’Hong Kong Exchange il fatto che sei dei tredici membri del suo board siano nominati dal governo della città che è anche il maggior azionista della Borsa. Tutto ciò comunque non diminuisce l’attrattività di una piazza finanziaria che – conclude Plateroti – “consente l’accesso ad un mercato dei capitali molto più liquido di quello europeo”. Anche se con altre forme, insomma, la partita è destinata a durare a lungo.