Il 31 ottobre si festeggia la novantanovesima giornata del risparmio, auguri a tutti i vostri risparmi, ovviamente. Per festeggiarla si mobilitano le istituzioni, i quotidiani pubblicano ricerche sugli italiani e il risparmio. Da queste ricerche vengono estrapolati e lanciati come notizie gli aspetti più evidenti: la resilienza degli italiani nel risparmio, il ritorno della loro storia di amore con il titolo di stato, la necessità di portare gli italiani su nuovi livelli di consapevolezza che evitino loro le tipiche trappole psicologiche che li portano ad agire seguendo le emozioni, la necessità di far salire la cultura finanziaria degli italiani, notoriamente i più “incolti” fra i popoli occidentali in materia di competenza finanziaria. Per carità, tutto vero.
Però ora basta, vi prego. Questa reazione emozionale (tipicamente italiana dunque) verso la retorica della giornata del risparmio in realtà nasconde una sottile vena eretica che proverò a esplicitare in una sorta di “manifesto per l’abolizione della giornata del risparmio”, sperando allo stesso tempo che siano passati di moda quei simpatici sistemi usati nel passato per convincere gli eretici ad abiurare.
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Ecco il manifesto, suddiviso nei suoi cinque articoli fondamentali
1. Abolizione della giornata del risparmio e sostituzione con l’”anno santo del risparmio”: copiamo la Chiesa
Per una attività fondamentale e necessariamente di ampio respiro non basta una giornata (sostituita il giorno dopo dalla festa dei santi, poi da quella della mamma, degli anziani, della donna, etc.) e nemmeno un mese (ottobre il mese dell’educazione finanziaria). Nell’anno del risparmio cercheremo di portare a casa cambiamenti significativi da parte delle istituzioni, dell’offerta e della stessa domanda. Nei punti sottostanti vediamo quali.
2. Istituzione della censura finanziaria che impedisca la diffusione quotidiana dei dati di apertura e chiusura delle Borse, degli spread e di tutte le altre news finanziarie di brevissimo termine che generano una comunicazione finanziaria ansiogena e confusa
Il newsmaking centrato sull’ultima ora è un dogma del giornalismo. Chi scrive ne è ben conscio: vengo da una famiglia di giornalisti, ho studiato giornalismo e le sue regole professionali in gioventù. Tuttavia, la centratura sull’ultima ora finanziaria crea l’impressione in tanti risparmiatori sani di mente che il mondo dell’investimento e dei mercati (che segretamente amo) sia incomprensibile e pericoloso.
Conscia della necessità di mediare esigenze diverse, la nuova censura finanziaria cercherà nuovi equilibri. Il divieto di pubblicazione non sarà assoluto, ma la notizia non potrà apparire in evidenza, mentre andrà sempre evidenziato il trend di medio lungo periodo. I trader guardano su un titolo – ad esempio – la media a 200 giorni? Bene quella sarà quotidianamente la notizia da mettere in evidenza. Non è sexy? Capisco, però, una comunicazione da trader o scalper (centrata sul micro cambiamento giornaliero) fa perdere di vista il senso delle cose. Lamentiamoci poi che gli italiani “non devono essere preda delle emozioni”.
Le emozioni le creiamo noi con la comunicazione sociale e finanziaria, non gli italiani. Guardiamo la luna e non il dito. Poi cercheremo di migliorare anche gli italiani.
3. La censura finanziaria entri anche nel merito della rendicontazione degli investimenti del singolo cliente
Sul punto della comunicazione la nuova “censura finanziaria da istituire” dovrebbe amorevolmente riprendere anche molti consulenti (e le loro banche). La passionaccia finanziaria di un consulente lo porta spesso a evidenziare con i clienti l’andamento del portafoglio nella logica Ytd: “da inizio anno stiamo facendo…”. Se quello non è un periodo felice si ricorre ad alternative sempre spot: al dato ancora più breve, o all’ultimo dato positivo.
Quanti consulenti e rendiconti finanziari riportano al cliente la prospettiva del portafoglio negli ultimi 10 anni? Ci fa paura pensarlo? Se sì, la finanza ha un problema serio. Eppure, in media la storia di relazione fra un consulente ed il suo cliente non è di molto inferiore, spesso ha una durata superiore. Talvolta ci lamentiamo che i nostri clienti non vogliono investire nel lungo termine. Pensiamo se non siamo anche noi, con la costruzione dei loro riferimenti, a portarli a pensare al breve termine come priorità assoluta.
4. Obbligo di testare su un panel di 100 italiani non investitori e diplomati in materie non economiche ogni comunicazione finanziaria a partire dai nomi dati ai prodotti finanziari
Le comunicazioni e i prodotti che non superano la comprensione piena di almeno i ¾ del panel, non possono essere lanciati sul mercato. Il linguaggio finanziario produce una parte (non tutta ci mancherebbe) dell’ignoranza degli italiani in materia finanziaria. Per cui proviamo a prendere la questione dal manico, lavorando sulle cause e non sugli effetti.
I produttori di quasi tutti i settori (forse con l’eccezione del farma etico, dove i prodotti hanno nomi legati alle molecole) si ingegnano per trovare nomi comprensibili e memorizzabili dalla mitica casalinga di Voghera. Noi no.
Il settore finanziario e in modo particolare il mondo del risparmio gestito che ha il compito di avvicinare la finanza alle persone non ha completato questo passaggio. Sfido un investitore affluent a recitarmi a memoria i nomi propri dei primi 4 fondi in cui ha investito (gli abbuoniamo gli Isin, ovviamente).
Oggi tutti pensano che gli italiani siano tornati al Btp perché affascinati dai tassi sopra il 4%. In parte è vero, ma le ricerche dicono che non c’è una voglia assoluta di rendimento, ma un mix di comprensibilità, semplicità, ragionevole certezza abbinate ad un rendimento ragionevole (anche se non sempre superiore all’inflazione). La sfida del linguaggio deve essere al centro dell’anno santo del risparmio per l’offerta e ci si aspetta una inversione copernicana delle attuali pratiche di comunicazione del settore.
5. Abolizione del termine “’educazione finanziaria per gli adulti” e delle pratiche connesse e istituzione di una fondazione nazionale dal nome esotico ma comprensibile “A fra’ che te serve?” (versione comunitaria : “Bro, what do U need?”)
Ovviamente saranno suggerite variazioni linguistiche regionali per rendere la fondazione vicina ai territori. Cerchiamo di spiegarci meglio su questo punto. L’educazione finanziaria è una iniziativa mossa da buone intenzioni, ma rischia di essere una attività top down. Ovvero, detta male, le istituzioni finanziarie detengono il sapere ed il linguaggio e decidono di insegnarlo agli italiani. Non sempre la risposta degli italiani a questo approccio è così interessata e coinvolta.
Come emerge dall’ultima ricerca Banca Italia 2023 sull’educazione finanziaria: “Nel 2023, rispetto al 2020, il livello di alfabetizzazione finanziaria degli adulti in Italia, pur rimanendo su livelli bassi, è lievemente aumentato (da 10,2 nel 2020 a 10,6 nel 2023, su una scala da 0 a 20). Il miglioramento è guidato dai comportamenti (da 4,2 a 4,6, su una scala da 0 a 9) e dagli atteggiamenti (da 2,0 a 2,3, su una scala da 0 a 4) in campo finanziario. Nei primi si considerano la gestione delle risorse finanziarie nel breve e nel lungo termine mentre per gli atteggiamenti si rilevano l’orientamento degli individui al risparmio e l’accortezza nell’uso del denaro….Il punteggio complessivo relativo alle conoscenze è rimasto sostanzialmente stazionario rispetto al 2020” (B.Italia; Indagine Alfabetizzazione Finanziaria in Italia- adulti – luglio 2023).
In altre parole: negli ultimi due anni le iniziative di educazione finanziaria non sono riuscite a innalzare il livello delle competenze. Gli italiani distratti dagli affari loro, ci sentono poco sul tornare a scuola. Mentre l’effetto positivo che si riscontra è concreto su alcune aree comportamentali e su un atteggiamento generale più consapevole verso il denaro.
Nessuno può dire se questo risultato concreto e comportamentale sia l’effetto di buone pratiche finanziarie sul campo (es. dei consulenti finanziari e i loro colleghi) e/o della naturale reazione della popolazione alla pressione inflazionistica sui bilanci famigliari. Fatto sta che l’ipotesi della nuova fondazione “A fra che te serve?” richiama proprio questo approccio bottom up: agiamo direttamente a migliorare i comportamenti. Ovvero le forme di educazione finanziaria non devono partire dall’insegnamento teorico di nomenclature e concetti finanziari, ma ripartire dalla rilevazione della volontà della famiglia italiana di migliorare (cosa ti serve? quale obiettivo vuoi raggiungere?) andando a inserire sul campo buone pratiche che ottimalizzino i comportamenti e la progettazione finanziaria della famiglia. Un’mportante istituzione proprio oggi ha lanciato l’idea di un bollino della qualità per l’educazione finanziaria. Ottima cosa. Ma la bollatura si misuri sulla capacità di portare vantaggi e cambiamenti concreti nella gestione finanziaria della famiglia, non sulla “qualità accademica”, importante ma talvolta troppo concettuale e lontana dalle sue esigenze per un italiano medio.
Prime conclusioni
Questa prima edizione del manifesto per l’abolizione della giornata sul risparmio si ferma qui. Ovviamente chi scrive è già pentito di quello che ha scritto e ne prende subito le distanze, scusandosi con tutti per l’irriverenza con cui si è affrontato un tema così importante (costituzionale) come il risparmio e la sua giornata.
Queste illetterate tesi si perderanno per fortuna nel nulla, come lacrime nella pioggia. Meglio così, torniamo tutti serenamente ai nostri compiti, le borse hanno appena aperto in positivo, lo spread regge, il petrolio è in calo, ma il gas continua a restare su quotazioni elevate.
Buona giornata del risparmio a tutti. Però, ripensandoci, è anche Halloween, il giorno degli scherzi che esorcizzano la paura di quello che non è come sembra. Dolcetto o scherzetto, che dite?