Cosa è la Carbon Tax? A cosa servirà?
L’Unione Eruopea e l’Ocse hanno intrapreso un percorso per incrementare la tassazione affinché sia sostenibile dal punto di vista ambientale. Questo è l’obiettivo principale enunciato, rispettivamente, nella comunicazione della Commissione Europea del 14 luglio 2021 “Fit for 55: delivering the EU’s 2030 Climate Target on the way to climate neutrality”, e nel Report “Taxing Energy Use for Sustainable Development: Opportunities for energy tax and subsidy reform in selected developing and emerging economies”, affinché la tassazione delle imprese multinazionali, oltre che ad essere equa e bilanciata, sia anche attenta all’ambiente e volta a ridurre l’inquinamento.
Lo scopo, dunque, è quello di informare le azioni legislative sovranazionali alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra almeno del 55% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030.
Detti obiettivi sono stati condivisi (perlomeno in parte) anche dal COP26, in occasione del quale si è discusso della possibilità di introdurre una “tassa globale sul carbonio”, ovvero una imposta relativa al carbonio contenuto nei combustibili fossili, al fine di ridurre le emissioni di CO2 e di contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi.
Ebbene, dette imposte sul carbonio paiono essere lo strumento più efficacie per limitare l’incremento di temperatura globale: ed infatti, il potenziale gettito derivante dall’imposizione sul carbonio potrebbe essere destinato dagli Stati a realizzare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
La proposta Fit for 55
L’Unione Europea è attivamente impegnata sul fronte della tassazione ambientale; ciò in quanto l’obiettivo è quello di raggiungere un’Europea “climate neutral” entro il 2050, ossia lo scopo è quello di diventare il primo continente a impatto climatico zero.
Lo strumento legislativo più importante per realizzare detto obiettivo appare il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), ossia un meccanismo di adeguamento, per settori ben individuati, che abbatta il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. In sostanza, il CBAM equalizzerà il prezzo del carbonio tra prodotti nazionali e le importazioni, assicurando che gli obiettivi climatici dell’UE non vengano compromessi dalla possibile delocalizzazione della produzione in Paesi extraUE con politiche ambientali meno rigorose.
Il sistema CBAM funzionerà come segue: gli importatori dell’UE acquisteranno certificati di carbonio corrispondenti al prezzo del carbonio che sarebbe stato pagato se le merci fossero state prodotte sotto le regole dell’UE in materia di prezzi del carbonio. Viceversa, una volta che un produttore non UE può dimostrare di aver già pagato un prezzo per il carbonio utilizzato nella produzione delle merci importate in un paese terzo, il costo corrispondente può essere interamente detratto per l’importatore UE. Il CBAM contribuirà inoltre a ridurre il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio incoraggiando i produttori dei paesi non UE a rendere ecologici i loro processi di produzione.
Il citato meccanismo verrà introdotto gradualmente e, almeno all’inizio, si applicherà esclusivamente a un numero selezionato di merci ad alto rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio come, ad esempio, il ferro, l’acciaio, il cemento, i fertilizzanti, l’alluminio e l’elettricità.
Nascerà così un sistema impositivo che prevederà anche la cessione di tali crediti di carbonio.
Il sistema definitivo dovrebbe diventare pienamente operativo nel 2026, mentre la fase graduale inizierà nel 2023.
Il progetto è estremamente ambizioso, ma, oggi più che mai, è necessario introdurre una imposizione sostenibile e coordinata per la tutela dell’ambiente.
E gli altri Paesi come si comportano?
Come detto, gli ordinamenti fiscali, nazionali e sovranazionali, non possono più ignorare il ciclo di vita dei crediti di carbonio e i loro effetti sulle imposte sul reddito o sulle tasse sul carbonio, e la loro possibile applicazione transfrontaliera. Sul punto, può essere utile verificare le esperienze di altri Paesi.
Ad esempio, in Cile la riforma fiscale del 2020 ha previsto che i contribuenti soggetti alla carbon tax possano compensare in tutto o in parte le proprie emissioni imponibili, e, ciò, nell’individuare l’imponibile dovuto. Ciò ha aperto le porte allo sviluppo di progetti di riduzione delle emissioni.
In Colombia nel 2017, il decreto 926 ha stabilito le condizioni che consentono ad alcuni enti regolamentati di essere certificati come “carbon neutral” e quindi di essere esentati dall’imposta. Per beneficiare della neutralità, gli enti devono presentare domanda di esenzione prima del termine di adempimento fiscale, corredata da un “Certificato di annullamento volontario” e una “Dichiarazione di verifica” delle compensazioni ammissibili pari alle loro emissioni. Il fatto che la Colombia consenta alle entità di compensare il 100% della loro responsabilità fiscale attraverso compensazioni di carbonio ha incoraggiato lo sviluppo di progetti che sono stati registrati, verificati e certificati per mitigare le emissioni di carbonio. Nella prima metà del 2017 sono state compensate 2 milioni di tonnellate di emissioni di CO 2.
In Messico la tassa speciale sulla produzione e sui servizi – “IEPS” carbon può essere pagata attraverso crediti di compensazione del Clean Development Mechanism (CDM). Dal 2018, il governo messicano ha accettato le riduzioni delle emissioni certificate (CER) dai progetti messicani approvati dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) per coprire il 20% del pagamento delle tasse a determinate condizioni. Secondo le stime del SEMARNAT (Ministero dell’Ambiente del Messico), la carbon tax è stata responsabile di una riduzione di circa 1,8 milioni di tCO 2 all’anno.
In Sud Africa, il Carbon Tax Act del 2019 ha consentito alle aziende di utilizzare le compensazioni di carbonio per ridurre la loro responsabilità fiscale sul carbonio fino al 5-10% delle loro emissioni effettive, in conformità con i requisiti sviluppati dal regolamento sulle compensazioni di carbonio. Il South Africa Revenue Services richiede ai contribuenti di presentare certificati pensionistici di compensazione delle emissioni di carbonio ai fini della tassa sul carbonio.
Negli Stati Uniti le compensazioni volontarie di carbonio (VCO) stanno diventando importanti nel contesto della CSR, poiché le aziende valutano e comunicano i propri obiettivi e prestazioni ambientali, sociali e di governance. Il trattamento fiscale dei VCO dipende dai fatti e dalle circostanze del contribuente: deducibile ai sensi della Sez. 162 (quale spesa ordinaria e necessaria corrente) o il costo può essere capitalizzato ai sensi dell’art. 263 e altri regolamenti (se il VCO prevede un beneficio a lungo termine). Alcune aziende ottengono VCO finanziando progetti intrapresi da un’entità senza scopo di lucro e tali pagamenti possono essere trattati come contributi di beneficenza.
Osservazioni finali
La tassazione ambientale è oggi una realtà e occorre prenderne atto. La sostenibilità del clima e la riduzione dell’inquinamento sono tematiche che non possono più esulare dalla realtà impositiva.
Da ciò, però, occorre introdurre un sistema impositivo che non consenta di realizzare frodi dalla cessione dei crediti di carbonio; diversamente, il rischio è quello di introdurre una nuova imposta senza alcun beneficio effettivo per il clima e l’ambiente, stante il commercio di crediti inesistenti.
Tale situazione potrebbe influire sulla effettiva capacità dei singoli Paesi e delle Istituzioni sovrannazionali di raggiungere gli obiettivi climatici annunciati, incrinando la fiducia con i contribuenti.
Sarà, dunque, necessario un coordinamento tra le varie Autorità fiscali nazionali, magari anche nel contesto di una maggiore digitalizzazione di tale imposizione sul carbonio: la “automatizzazione” dei processi impositivi sul carbonio potrebbe tracciare e tenere traccia dei progetti e dei relativi crediti regolarmente, abbassando i costi e abbreviando i termini. Il tutto, sempre nell’ottica di una maggiore sostenibilità.