L’Italia è un mercato assicurativo poco digitalizzato e “sottopenetrato”, ha affermato l’Italian Insurtech Association: ma a puntarci sopra sono soprattutto attori stranieri
Una delle ragioni risiede dallo scarso interesse, per ora, delle compagnie assicurative consolidate che dominano il canale che ancora più conta nella vendita di polizze in Italia: quello fisico
Offrire una magnifica esperienza di utilizzo digitale, nella sottoscrizione e nella gestione della polizza “non basta”, ha dichiarato l’Insurance Practice Leader di CRIF, Giuseppe Dosi, alla vigilia dell’Italian Insurtech Summit
A livello internazionale gli investimenti insurtech stanno subendo una decisa battuta d’arresto nel 2022. In Italia, però, il flusso di denaro diretto alle startup del settore assicurativo abilitato da tecnologie innovative ha proseguito il suo trend di crescita, con 200 milioni di euro di investimenti nel primo semestre del 2022, contro i 60 milioni dello stesso periodo di un anno prima.
Secondo le previsioni dell’Italian Insurtech Association (IIA) si arriverà a quota 500 milioni di euro entro la fine dell’anno, dai 280 milioni del 2021. Nonostante la forte crescita, l’Italia resta il fanalino di coda nei confronti degli altri Paesi europei, con le startup di Gran Bretagna, Germania e Francia che hanno rispettivamente ricevuto investimenti, per 3,7, 3,3 e 2,9 miliardi di euro nel primo semestre di quest’anno.
La pubblicazione di questi dati anticipa la terza edizione dell’Italian Insurtech Summit organizzato da IIA, che in programma dal 21 al 23 settembre e che ospiterà circa 200 speaker proveniente da oltre 26 Paesi.
Ma esattamente su quali tecnologie stanno investendo le aziende interessate a rendere più digitali i propri servizi assicurativi? Secondo i dati raccolti dall’Insurtech Investment Index del Politecnico l’82% delle compagnie intervistate ha dichiarato prioritario innovare la propria offerta di prodotti e servizi, mentre il 77% ritiene una priorità aumentarne l’efficienza. Tra le tecnologie innovative su cui puntare l’85% degli intervistati ha indicato API (Interfaccia di programmazione delle applicazioni), e il 77% ha indicato soluzioni di intelligenza artificiale.
“La bassa penetrazione assicurativa unita al basso livello di digitalizzazione del nostro Paese, hanno reso l’Italia un mercato molto attrattivo, soprattutto per i player stranieri: entro la fine del triennio 2020-2022 il nostro paese vedrà l’ingresso di oltre 50 soggetti in ambito assicurativo con piani di investimento importanti”, ha commentato Simone Ranucci Brandimarte, presidente di IIA.
“Il mercato assicurativo digitale nostrano continua ad avere grande potenziale di crescita, ed è per questo che noi continuiamo a ritenere un traguardo fattibile la cifra di un miliardo di euro in investimenti in insurtech entro il 2023″, ha aggiunto. “Appare tuttavia chiaro che le compagnie assicurative siano chiamate a orientare i propri sforzi nella cooperazione con l’universo insurtech al fine di evolvere la filiera e arginare il rischio di rimanere schiacciati da player stranieri. L’80% dei progetti Insurtech sul mercato hanno obiettivi di breve periodo (1-2 anni) e non ancora di lungo respiro (4-5 anni); purtroppo questa visione a breve termine, concentrata su risultati immediati, va a scapito di una lungimiranza che potrebbe far decollare il mercato”.
Insurtech: perché i big italiani non investono di più
L’IIA prevede che l’80% delle polizze globali nel 2030 sarà veicolato attraverso piattaforme digitali. Tuttavia, gli attori consolidati nel nostro Paese, i cosiddetti “incumbent”, hanno ancora poco interesse a puntare forte sull’offerta digitale.
Il mercato assicurativo, infatti, è ancora dominato dalle reti fisiche, ha spiegato Giuseppe Dosi, Insurance Practice Leader presso CRIF, e le grandi compagnie hanno poco interesse a cambiare questo stato di cose. Per i nuovi attori tech questo è un problema, ha proseguito Dosi, perché in assenza di reti fisiche è difficile vendere polizze facendo solo affidamento sul canale digitale. Esiste un problema di domanda di assicurazione, cui contribuisce anche una limitata competenza specifica da parte dagli italiani. Dosi riassume il concetto in una frase apparentemente contradditoria: “In Italia le polizze si vendono, ma non si comprano”. Insomma, qualcuno te le deve proporre nel mondo reale.
Offrire una magnifica esperienza di utilizzo digitale, nella sottoscrizione e nella gestione della polizza “non basta”, ha aggiunto l’Insurance Practice Leader di CRIF, poiché si tratta di un attività “a bassa frequenza di contatto”. Si rinnova la polizza una volta all’anno e, in alcuni casi non certo frequenti (si spera per entrambe le parti), si ricorre alla piattaforma per chiedere un rimborso. Le grandi compagnie assicurative italiane, dunque, saranno restie all’investimento massiccio in Insurtech “finché quello assicurativo non sarà un mercato competitivo, ossia quando il prezzo del ‘non fare’, sarà superiore al prezzo del ‘fare'”. Per ora i ritorni degli investimenti sono ancora troppo lontani nel tempo perché i manager si arrischino a cavalcare precocemente il trend, ha concluso Dosi.
Quel momento di presa di coscienza, secondo Stefano Bison, Group Head of Business Development & Innovation di Generali, si starebbe però avvicinando: “Quando i Millennial saranno il mercato come numerosità e forza commerciale cominceremo a vedere un cambio di passo netto”.