Tenax oggi gestisce asset per quasi un miliardo di euro
Di questi, circa 450 milioni in equity (global financial), 200 milioni in private debt ed il resto in corporate bond e Insurance Linked Securities
Anche Tenax, dalla sua nascita, è molto cresciuto, ovviamente su scala diversa. Attualmente gestisce asset per quasi 1 miliardo di euro investiti in equity (global financial) per circa 450 milioni, private debt (200 milioni) ed il resto in corporale bond e Insurance Linked Securities (Ils).
Ogni gestore finanziario ha un suo stile. C’è chi crede ciecamente nei fondamentali delle imprese, chi nell’analisi tecnica, o negli algoritmi. Lo “stile” di Figna – che continuerà a guidare Tenax anche nel nuovo contesto proprietario – è di ritenere che in un mondo fortemente regolamentato, com’è quello delle assicurazioni e delle banche, la profonda conoscenza delle norme volta a proprio favore può rappresentare un driver fondamentale per indirizzare il business. La sua convinzione profonda è che nell’attuale contesto di bassi tassi d’interesse e di regole prudenziali sempre più stringenti – è stata la risposta europea alle crisi globali degli ultimi anni – il mercato dei capitali stia prendendo il posto delle banche nel finanziare le imprese. “Questo è il medesimo filo conduttore – spiega Figna – che ha spinto Fosun verso Tenax. Il gruppo cinese detiene circa 40 miliardi di riserve assicurative, la stragrande maggioranza delle quali allocate in compagnie europee, ed ha l’esigenza di aumentare la componente di investimenti alternativi, quelli che ci caratterizzano”. Attorno a questo robusto nucleo centrale l’hedge fund di Figna punta ad attrarre nuovi investimenti di terzi. In fondo è questa la scommessa dell’operazione cinese.
Con i suoi fondi di private debt Tenax è tra i pochi gruppi europei di asset management a godere della garanzia offerta dal programma InnovFinn (Bei) che copre fino al 50% di eventuali perdite. “Questa garanzia ha un valore enorme per un’impresa di assicurazione nel calcolo dei ratios di capitale di Solvency II. Per investimenti in private debt il ratios – si può stimare a titolo esemplificativo – passa dal 18-20 al 6-8%. In questo modo le compagnie possono abbassare il capital charge senza abbassare il rendimento dei loro asset”. E’ un esempio di come la conoscenza delle regole può aiutare il business.
Il private debt è per definizione rivolto al finanziamento delle Pmi
Con l’arrivo di Fosun aumenteranno le risorse a disposizione per le piccole e medie imprese italiane?
“Passeremo a cifre molto più consistenti di quelle attuali e non soltanto in Italia. Ci stiamo specializzando in fondi geografici. È già attivo un fondo italiano, a ottobre partirà un fondo tedesco e austriaco, poi sarà la volta della Gran Bretagna e quindi della penisola iberica”. Anche per la Germania c’è un tema regolamentare “molto interessante”, spiega Figna. “Tradizionalmente le Pmi di quel paese venivano finanziate dalle sparkasse (banche regionali) a tassi sostanzialmente sovvenzionati dai rispettivi lander. Con il passaggio della vigilanza sulle sparkasse alle Bce questo non è oggi più possibile e quindi c’è da attendersi, anche in quel paese, un maggior ruolo del mercato dei capitali rispetto alle banche nel finanziare le imprese. Nell’attuale contesto di tassi d’interesse il rendimento dei nei nostri fondi di private debt (intorno al 4%) si confronta inoltre con quello negativo attualmente ‘pagato’ dai bund”.
I fondi di private debt di Tenax sono rivolti soltanto agli istituzionali?
“No, il fondo italiano è aperto anche a investitori retail. Ovviamente, come impone la normativa, per investimenti superiori a 500mila euro. Se sono investitori professionali l’investimento può partire da 100mila euro. E’ un fondo chiuso irlandese e, attualmente, è distribuito in Italia dalle principali reti di private banking. La durata dell’investimento è di sei anni con un target di rendimento netto del 4% l’anno”.
Tassi d’interesse prossimi allo zero e contesto regolamentare sempre più rigido favoriscono il private debt ma mettono sempre più sotto pressione il sistema bancario.
C’è una via d’uscita oppure gli istituti di credito, così come li conosciamo oggi, sono destinati a scomparire facendo la fine dei mammut?
“Per chi vive di spread tra tassi – principalmente le banche ma anche le assicurazioni – questa situazione è molto problematica. L’unica possibilità è accrescere le dimensioni che però trova molti intralci regolamentari. Non serve una riduzione indiscriminata dei ratios prudenziali quanto, piuttosto, creare le condizioni per favorire le fusioni. Capisco che i regolatori europei siano timorosi nel consentire la nascita di entità che siano ‘too big too fail’ ma dovrebbero favorire l’integrazione del sistema bancario. In Usa due anni fa c’è stata una violenta accelerazione delle fusioni assicurative. Non è avvenuto lo stesso in Europa, o in Italia. Dall’altra parte dell’Atlantico sembrano più reattivi a capire i problemi, e ad affrontarli”.