La Legge di Bilancio 2023 e la tassazione delle cripto-attività
La Legge di Bilancio 2023 ha inaugurato in Italia una disciplina organica per la tassazione delle cripto-attività, equiparando le plusvalenze su criptovalute a quelle finanziarie con imposta sostitutiva al 26%.
Il regime del risparmio amministrato per le criptovalute
Inoltre, è prevista la possibilità per gli investitori di optare per il regime del risparmio amministrato, affidando a un intermediario il calcolo e il versamento di tali imposte.
Risposta n. 135/2025 dell’Agenzia delle Entrate: i chiarimenti sul trattamento fiscale
In questo contesto si inserisce la Risposta n. 135/2025 dell’Agenzia delle Entrate, che fornisce importanti chiarimenti operativi sui dubbi emersi con l’introduzione delle nuove regole. L’interpello in questione – presentato da un exchange italiano registrato all’Oam – affronta cinque casi pratici relativi al trattamento fiscale delle criptovalute in regime amministrato, dall’uscita verso un wallet privato fino al metodo di calcolo del costo.
Vediamo sinteticamente ciascun punto e le indicazioni fornite dal Fisco.
Trasferimento di criptovalute: quando non si paga
Trasferimento su wallet personale (self-custody)
Il trasferimento di criptovaluta dal conto presso l’exchange a un wallet personale dell’utente (self-custodial wallet) non costituisce di per sé un evento imponibile, a patto che sia possibile dimostrare con documenti adeguati che il wallet di destinazione appartiene effettivamente allo stesso contribuente. In altre parole, la plusvalenza non va determinata al momento dello spostamento se le criptovalute escono verso un wallet di proprietà del cliente.
Attenzione, però, una semplice autodichiarazione del cliente non è considerata prova sufficiente. In mancanza di elementi certi e documentabili sulla titolarità del wallet, il Fisco tratterà il trasferimento come una cessione a terzi, quindi un’operazione fiscalmente rilevante (soggetta a imposta sul presunto realizzo).
Trasferimento verso un altro exchange
Una disciplina analoga si applica quando il contribuente trasferisce criptovalute dal primo intermediario a un conto presso un altro exchange intestato allo stesso soggetto. Anche in questo caso l’esonero dall’imposizione immediata vale solo se l’origine e la destinazione delle cripto coincidono nella sfera dello stesso proprietario, cosa che deve essere provata con documentazione oggettiva. Ad esempio, l’intermediario può richiedere estratti blockchain o attestazioni del secondo exchange che colleghino l’indirizzo di destinazione all’utente in questione.
Senza adeguate prove di continuità di titolarità, lo spostamento verso un altro exchange viene equiparato a una vendita e genera, quindi, una plusvalenza imponibile calcolata sul valore di mercato al momento del trasferimento.
Revoca del regime amministrato: come funziona
Uscita dal regime amministrato e trattamento fiscale delle perdite
Nel caso in cui il cliente revochi l’opzione per il regime amministrato (passando al regime dichiarativo “fai da te”), tale revoca in sé non configura né una plusvalenza né una minusvalenza realizzata nell’immediato.
L’Agenzia specifica, però, che l’intermediario dovrà continuare a operare come sostituto d’imposta fino al 31 dicembre dell’anno in cui avviene la revoca. Entro quella data, l’exchange sarà tenuto a fornire al cliente una certificazione con il valore di carico fiscale delle criptovalute ancora detenute e l’ammontare di eventuali minusvalenze residue non ancora compensate, indicando in quale anno tali perdite si sono generate.
Come utilizzare le minusvalenze pregresse
Queste minusvalenze potranno essere riportate negli anni successivi: il contribuente le potrà utilizzare per compensare future plusvalenze su criptovalute (realizzate entro il quarto anno successivo), sia nell’ambito di altri rapporti in regime amministrato, sia dichiarandole nel proprio quadro dichiarativo dei redditi.
In sintesi, l’uscita dal regime amministrato è “neutra” nell’immediato, ma l’intermediario sarà tenuto a trasferire al cliente tutte le informazioni necessarie per permettere il corretto utilizzo a posteriori delle eventuali perdite fiscali pregresse.
Deposito di crypto acquistate altrove: cosa fare
Cosa accade quando si depositano criptovalute acquistate su altri exchange
Un ulteriore quesito riguarda il caso opposto, ossia l’ingresso di criptovalute sull’exchange: cosa accade se il cliente deposita presso l’intermediario cripto che aveva acquistato al di fuori (su altri exchange o in self-custody)?
In questo scenario l’Agenzia è chiara: l’intermediario dovrà accertare il costo d’acquisto originario delle cripto depositate ai fini del calcolo delle plusvalenze future. È onere del contribuente fornire documentazione attendibile attestante il prezzo o valore di acquisto delle criptovalute trasferite. Non è ammessa, anche in questo caso, alcuna dichiarazione sostitutiva autocertificativa da parte del cliente.
Importanza della documentazione fiscale: evitare la tassazione sul valore totale
Se il cliente non fornisce prove documentali del costo storico, l’intermediario dovrà assumere un valore di costo pari a zero. In assenza di documentazione, qualsiasi successiva rivendita delle cripto depositate verrebbe tassata sull’intero corrispettivo, non potendosi riconoscere alcun costo iniziale.
Fondamentale è, dunque, conservare ed esibire all’occorrenza evidenze degli acquisti, come ad esempio estratti conto, ricevute o certificazioni rilasciate dagli intermediari presso cui le cripto sono state comprate.
Cosa succede se le criptovalute sono pervenute per successione ereditaria o donazione? In questo caso, la loro base di costo fiscale deve essere determinata secondo i criteri ordinari previsti in tali casi: per le successioni si considera il valore definito (o dichiarato) agli effetti dell’imposta di successione; per le donazioni si subentra nel costo originario del donante. Anche per queste casistiche, in mancanza di documentazione ufficiale il costo iniziale sarà assunto pari a zero.
Metodo di calcolo del costo delle crypto
Applicazione del criterio del costo medio ponderato
L’ultimo chiarimento fornito dall’Agenzia riguarda la modalità con cui l’intermediario deve determinare il costo fiscalmente riconosciuto delle criptovalute detenute in regime amministrato, soprattutto in presenza di acquisti successivi della stessa valuta digitale. Richiamando i precedenti di prassi finanziaria, la risposta conferma che si deve applicare il criterio del costo medio ponderato per ciascuna criptovaluta posseduta.
Vantaggi del costo medio ponderato nelle criptovalute
Questo approccio, del tutto analogo a quello già in uso per titoli azionari e altri strumenti finanziari omogenei, consente di avere un unico valore medio di riferimento per ogni valuta ai fini del computo di plusvalori o minusvalori.
Ne deriva un duplice vantaggio: si semplifica il calcolo fiscale sulle criptovalute e si evita qualsiasi margine di arbitraggio scegliendo quali “lotti” vendere, dato che il costo unitario è unico per tutti i token identici detenuti.
Implicazioni operative: rischi in caso di scarsa documentazione
L’importanza della documentazione fiscale per evitare rischi
La Risposta n.135/2025, in sostanza, mette fine a diversi equivoci e lancia un messaggio chiaro a operatori e investitori in criptovalute: il Fisco esige prove concrete e tracciabili di ogni movimento.
Operativamente, gli intermediari che offrono il regime amministrato dovranno dotarsi di procedure rigorose per raccogliere e conservare la documentazione relativa a trasferimenti in entrata e in uscita (dalla verifica della titolarità dei wallet esterni, alla certificazione dei costi di acquisto originari).
Dal lato degli utenti, chi opta per l’amministrato sulle cripto deve essere consapevole di dover fornire all’intermediario tutti i dati necessari (storico di acquisto, evidenza di proprietà dei propri wallet, etc.) per evitare che movimenti meramente redistributivi vengano considerati realizzi imponibili.
Rischi fiscali legati alla mancanza di trasparenza
La mancata o inadeguata documentazione comporta rischi concreti: trasferire cripto fuori dall’exchange senza adeguate prove di self-custody può far scattare una tassazione immediata sul valore trasferito, così come depositare cripto senza dimostrarne il prezzo di carico porta l’intermediario ad azzerarne il costo fiscale, con la conseguenza di pagare imposta sul 100% del ricavato in caso di futura vendita.
In definitiva, trasparenza e tracciabilità diventano condizioni imprescindibili per beneficiare della neutralità fiscale dei movimenti di criptovalute in regime amministrato, evitando brutte sorprese in sede di tassazione.
Domande frequenti su Criptovalute e dichiarazione redditi: quando si paga (e quando no)
La Legge di Bilancio 2023 ha introdotto una disciplina organica per la tassazione delle cripto-attività in Italia, equiparando le plusvalenze derivanti da criptovalute a quelle finanziarie e applicando un'imposta sostitutiva del 26%.
Il regime del risparmio amministrato offre agli investitori la possibilità di affidare a un intermediario il calcolo e il versamento delle imposte sulle plusvalenze derivanti dalle criptovalute, semplificando la gestione fiscale.
La Legge di Bilancio 2023 prevede un'imposta sostitutiva del 26% sulle plusvalenze derivanti da criptovalute, equiparandole al trattamento fiscale delle plusvalenze finanziarie.
Aderendo al regime del risparmio amministrato, l'investitore delega a un intermediario finanziario la responsabilità di calcolare e versare le imposte dovute sulle plusvalenze generate dalle proprie criptovalute.
La Legge di Bilancio 2023 ha stabilito un quadro normativo più chiaro e definito per la tassazione delle cripto-attività, introducendo un'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e offrendo la possibilità di optare per il regime del risparmio amministrato.