Criptovalute e tasse: la banca ci guadagna ma il Fisco resta a mani vuote?
Una banca vuole fare trading in criptovalute. Ma può davvero valutare le crypto al fair value senza pagare tasse? È la domanda provocatoria che molti operatori finanziari si sono posti con l’avvento delle cripto-attività nei bilanci aziendali.
Immaginiamo un istituto bancario che investe in criptovalute e, a fine anno, vede lievitare il valore delle stesse: questi “guadagni sulla carta” possono davvero rimanere esentasse finché non vengono realizzati? La risposta arriva da una recente novità normativa e dal chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, che delineano un quadro sorprendentemente favorevole per imprese e banche, purché gestito con rigore contabile. Vediamo di cosa si tratta.
L’art. 110, comma 3-bis del Tuir: la norma che consente alle imprese di non pagare tasse sui guadagni in crypto
La chiave di questo interessante meccanismo fiscale si trova nell’articolo 110, comma 3-bis, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Introdotta nel 2023, questa disposizione sancisce che le criptovalute detenute da società soggette all’Ires non subiscono tassazione per le variazioni annuali di valore se non vengono effettivamente vendute o permutate.
In altre parole, le rivalutazioni (così come le svalutazioni) di criptovalute registrate a fine anno non vengono tassate fintanto che il guadagno (o la perdita) resta solo “sulla carta” e non si concretizza in una cessione. Si tratta di una deroga importante rispetto alle regole ordinarie: normalmente, le rimanenze di magazzino influenzano il reddito d’impresa anno per anno (art. 92 Tuir), ma per le cripto-attività il legislatore ha scelto un approccio diverso e più prudenziale.
Pertanto, se una banca possiede cripto-attività che si rivalutano considerevolmente durante l’anno, non dovrà pagare imposte su questo guadagno latente. Le tasse entreranno in gioco soltanto nel momento in cui la criptovaluta sarà ceduta e il guadagno sarà effettivamente realizzato.
La logica dietro questa norma è chiaramente illustrata nella relazione governativa che l’accompagna: il legislatore vuole evitare che le oscillazioni di mercato di asset altamente volatili come le criptovalute incidano sul risultato fiscale delle imprese. Naturalmente, quando invece le cripto-attività vengono cedute o permutate, la differenza tra corrispettivo ottenuto e valore fiscale di carico concorrerà alla formazione del reddito imponibile in quell’esercizio. In sintesi, si paga l’imposta solo sul guadagno effettivamente realizzato, non sulle fluttuazioni temporanee di valore.
Criptovalute: il doppio binario contabile-fiscale spiegato dall’Agenzia delle Entrate
Con la recente risposta all’interpello n. 78 del 2025, l’Agenzia delle Entrate ha confermato in maniera chiara e definitiva l’esistenza di un “doppio binario” contabile e fiscale:
- da un lato il bilancio civilistico, che registra le variazioni delle criptovalute con criteri standard, evidenziando plusvalenze o minusvalenze;
- dall’altro, dal punto di vista fiscale, tali variazioni sono completamente irrilevanti fino al momento del realizzo (vendita o permuta).
Questo sistema evita che l’estrema volatilità del mercato delle criptovalute abbia effetti negativi e imprevedibili sul risultato fiscale annuale delle aziende, creando di fatto una tutela fiscale importante.
Bitcoin in bilancio: come rivalutare le crypto senza pagare subito le tasse
Facciamo un esempio concreto per chiarire il meccanismo
Ipotizziamo che a gennaio l’azienda X acquisti 2 Bitcoin al costo unitario di 30.000 €. A fine dicembre, il prezzo di mercato di ciascun Bitcoin è salito a 40.000 €.
In bilancio, applicando il fair value, X registrerà le sue 2 criptovalute a 80.000 € complessivi (40.000 € × 2), anziché al costo storico di 60.000 €, rilevando un utile da rivalutazione di 20.000 € nel conto economico dell’esercizio.
Fiscalmente, però, grazie all’art. 110, comma 3-bis, Tuir, questo utile non viene tassato: nella dichiarazione dei redditi di X si opererà una variazione in diminuzione di 20.000 € per espungere la plusvalenza latente dal reddito imponibile. Il risultato? X non paga imposte su quel guadagno “teorico” maturato sui Bitcoin, dato che non li ha ancora venduti.
Proseguiamo l’esempio con l’anno successivo: nel nuovo esercizio, X vende i 2 Btc a 45.000 € l’uno, incassando 90.000 € totali.
Dal punto di vista contabile, avendo già “anticipato” parte del guadagno nell’anno precedente, X registrerà nel secondo anno un ulteriore utile da vendita di 10.000 € (90.000 incassati – 80.000 valore di carico a bilancio).
Dal punto di vista fiscale, invece, ora emerge la plusvalenza tassabile: il valore fiscale dei Bitcoin era rimasto al costo iniziale di 60.000 €, quindi la cessione a 90.000 € genera 30.000 € di utile imponibile da dichiarare. X dovrà pagare le imposte su quei 30.000 € proprio nell’anno della vendita.
Come gestire il doppio binario fiscale sulle criptovalute: le regole operative
Per sfruttare correttamente questa opportunità, le imprese devono adottare alcune strategie operative precise:
- scegliere un metodo di valutazione coerente: costo medio ponderato (Cmp), Fifo o Lifo, e applicarlo in modo continuativo;
- registrare accuratamente ogni operazione: è fondamentale tenere traccia dei prezzi, delle date di acquisto e delle eventuali vendite;
- predisporre scritture extracontabili: alla fine dell’anno, bisogna neutralizzare fiscalmente le oscillazioni non realizzate tramite apposite variazioni in aumento o diminuzione in dichiarazione dei redditi.
Criptovalute e tasse: opportunità per aziende, ma attenzione alla compliance
In definitiva, una banca può fare trading in Bitcoin senza pagare subito tasse sulle plusvalenze non realizzate, ma solo a patto di governare con attenzione il “doppio binario” contabile-fiscale.
La normativa offre un importante vantaggio in termini di cash flow e neutralità fiscale, riconoscendo la peculiarità di queste nuove attività digitali, ma richiede professionalità nella gestione. Operare in modo narrativo ma rigoroso significa saper cogliere le opportunità offerte dall’art. 110, comma 3-bis Tuir, senza mai perdere di vista i fondamentali della buona amministrazione e della compliance.