In dottrina vi sono diverse definizioni di società familiare anche se ciò che distingue la società familiare da quelle a proprietà diffusa o comunque non familiari si ritiene essere la titolarità della proprietà (alias partecipazioni sociali) in capo ai familiari medesimi, la capacità – mediante diritti di voto, accordi statutari e/o parasociali – di esercitare il controllo sulla società da parte della famiglia e il coinvolgimento di più generazioni familiari nell’impresa con una prospettiva e un orientamento al futuro (inteso come prospettiva di gestione nel lungo periodo della società da parte dei familiari).
La disciplina sull’impresa familiare
La disciplina relativa all’impresa familiare è stata introdotta dalla legge di riforma del diritto di famiglia 151/75 ed è contenuta all’art. 230-bis c.c.
Tale disciplina:
i) è volta a tutelare i familiari dell’imprenditore che prestino di fatto in modo continuativo la loro attività di lavoro nella famiglia;
ii) ha natura residuale, in quanto trova applicazione solo quando le parti non abbiano espressamente pattuito di regolare il rapporto di lavoro in modo diverso.
Detta disciplina comunque rappresenta un profilo organizzativo semplice e basilare, posto che poi negli anni si è sempre più sviluppato un profilo di impresa che, seppur familiare, era caratterizzato dall’assunzione di forme giuridiche più strutturate quali società di capitali, in particolare srl.
Tre peculiarità alla base della società familiare
In un recente interessante contributo in dottrina (Busi C.A. “Il passaggio generazionale nelle società familiari”, in Diritto societario, “La gestione straordinaria delle imprese” 6/2022, p. 8), si sono individuate tre peculiarità che sono oltremodo qualificanti la società familiare.
La prima, costituita dalla intenzione di tramandare di generazione in generazione l’impresa e dalla partecipazione del fondatore/proprietario nell’attività di impresa; la seconda, composta dalla partecipazione della famiglia e dal controllo della famiglia nelle decisioni strategiche; la terza rappresentata dalla presenza di più generazioni contemporaneamente e dalla presenza di più membri della famiglia che rivestono ruoli di responsabilità.
A tal riguardo, è stato condivisibilmente rilevato come gli elementi caratterizzanti inequivocabilmente le società familiari nel confronto con altri tipi di imprese si possono riassumere:
i) nella posizione apicale rivestita dal fondatore o da un membro della famiglia suo erede come presidente o amministratore unico a capo dell’impresa;
ii) nel fatto che i soggetti impiegati dell’impresa sono rappresentati in larga parte dagli altri membri della famiglia del fondatore o del membro della famiglia suo erede, o comunque da partenti e partecipano in varia misura alla proprietà e al processo decisionale interno;
iii) la famiglia indirizza l’agire societario nonostante la presenza di manager che accettino formalmente la nomina, i quali sono in ogni caso assoggetti nel loro agire totalmente o, comunque, in maniera rilevante al volere della famiglia.
Il passaggio tra le generazioni si configura come elemento determinante della continuità dell’impresa e dell’intimo legame tra l’impresa e la famiglia. Al riguardo, la dottrina definisce il ricambio generazionale come il processo che “con l’obiettivo di assicurare la continuità dell’impresa, perviene a un nuovo assetto della proprietà del capitale dell’impresa in capo ai successori e al subentro di questi ultimi o di alcuni di essi nelle responsabilità di governo, di direzione e controllo dell’impresa”.
Gli strumenti del passaggio generazionale
In virtù di quanto sopra, risulta particolarmente rilevante la scelta dello strumento in grado di agevolare questo processo.
Oggigiorno, la scelta dello strumento per l’espletamento del passaggio generazionale dell’impresa familiare si divide equamente tra:
- il ricorso al patto parasociale, che se da un lato garantisce la riservatezza per tutta una serie di pattuizioni che vengono stipulate fra le parti, ha tuttavia il grande difetto di non possedere “efficacia reale”, cioè di non essere opponibile ai terzi e detto limite ne riduce grandemente l’efficacia; da questo punto di vista, si consiglia quindi di inserire il maggior numero possibile di pattuizioni all’interno dello statuto sociale, in modo tale che abbiano per l’appunto efficacia reale e siano comunque di facile conoscibilità per eventuali futuri terzi (si pensi a fondi di investimento) che nel futuro intendano approcciarsi all’acquisizione di tutta o parte della società familiare in questione;
- il ricorso a strumenti quali il trust, in relazione al quale bisogna sempre porre attenzione rispetto all’esperibilità dell’azione di riduzione e alla collazione ereditaria, assumendo quindi i dovuti correttivi, o contratti come la donazione, che è però strumento inidoneo, di per sé stessa, a generare qualunque sistemazione familiare dotata di una qualche “stabilità”;
- il ricorso a contratti ai sensi del diritto ereditario, in particolare il patto di famiglia, che anche in questo caso non ha mancato di evidenziare diversi profili da tenere nella dovuta considerazione, come la necessaria sussistenza di un contesto familiare pacifico, oltre al ricorrente problema dell’obbligato alla liquidazione dei legittimari diversi dall’assegnatario.
Altresì, in alcune situazioni può verificarsi che alcuni membri della compagine societaria familiare possano per vari motivi non essere più interessati alla gestione dell’impresa. Ciò potrebbe essere determinato da divergenze gestionali, da necessità di monetizzare la partecipazione, per motivi di salute, o altro.
Per esaudire tali esigenze, è possibile ricorre allo strumento del family buy out, ovvero un’operazione mediante la quale si può attuare il passaggio generazionale nell’ambito di un’impresa familiare gestita in forma societaria, consentendo ai soci di seconda generazione di subentrare nella proprietà e nel controllo della società senza dover pagare totalmente con denaro proprio le partecipazioni acquistate. In sostanza è un leveraged buy out in ambito familiare, e infatti non differisce dalla classica operazione attraverso la quale si acquisisce il controllo di una società target facendo leva sulla capacità di questa stessa società di ripagare il debito contratto per il suo acquisto.
Da ultimo, nella prassi, un’altra modalità frequentemente utilizzata per provvedere al passaggio generazionale è rappresentata dagli istituti dell’usufrutto e della nuda proprietà sulle quote sociali. È in uso che l’imprenditore fondatore, generalmente titolare con la moglie della totalità delle quote della società di famiglia, trasferisca la nuda proprietà delle partecipazioni agli eredi (figli o altri eredi designati). Attraverso la riserva di usufrutto sui beni trasferiti, il disponente può continuare a gestire l’impresa per tutta la sua vita o per il diverso periodo stabilito nel contratto (l’usufrutto, o la riserva, può essere anche temporaneo).
In ogni caso, è doveroso tenere in considerazione che spesso la soluzione migliore per costruire e pianificare un corretto e vincente passaggio generazionale è rappresentata dalla combinazione di diversi strumenti sopra elencati, anche all’esito di una analisi del caso specifico del cliente costruendo conseguentemente una soluzione “su misura”. È conseguentemente sempre opportuno e consigliato affidarsi a professionisti che abbiamo una profonda conoscenza di tutti gli strumenti utilizzabili e di ogni conseguenza fiscale, giuridica, societaria ecc. che una scelta, piuttosto che un’altra ovvero anche che nessuna scelta, può determinare.
(Articolo scritto in collaborazione con Nicolò Pavan, studio Righini e Associati)
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