L’intelligenza artificiale nelle imprese
Sono ormai diversi i pareri autorevoli che sostengono che l’AI aumenti la produttività e aiuti le persone nel proprio lavoro, ma che mal usata può anche generare danni significativi e profondi sul capitale umano e il valore delle imprese.
Il ruolo dell’AI nella produttività e creatività
Una ricerca dell’Università del Minnesota, per esempio, sostiene che l’AI alzi notevolmente il livello medio degli output dei job affidati (che siano lettere, documenti, presentazioni, analisi). Ma anche che sono i meno esperti di intelligenza artificiale a ottenere risultati più creativi, in quanto si affidano meno al ruolo di “ghostwriter” dell’AI rispetto ai loro colleghi più esperti.
Rischi dell’AI: l’omologazione e la perdita di distintività aziendale
Possiamo dunque aspettarci che i nostri team di knowledge workers producano output aziendali (presentazioni, analisi, piani di marketing, comunicazioni) migliorati e con guadagni indubbi anche di efficienza. Ovviamente, anche il rischio del produrre documenti “carini” ma uguali a tutti gli altri pare dietro l’angolo.
L’etica dell’AI nelle imprese
Il problema non sussiste se il documento è una mail standard, la diminuzione degli errori di sintassi e ortografia può solo essere salutata come un avanzamento per l’umanità. Più problematico se il documento entra nel merito della distintività aziendale: un piano strategico o di marketing, una comunicazione o creatività su un brand.
Qualcuno più cinico di noi potrebbe dire: cosa ci sarebbe di diverso rispetto a ora, quando molti documenti che dovrebbero contenere idee sono “copycat” di tanti altri già editati in passato o altrove? Temiamo che il collega cinico possa aver ragione, ma lasciamo perdere.
Quando pensiamo alle conseguenze di un cattivo uso di questo strumento potente in azienda, ci preoccupiamo tutti dei rischi dell’intelligenza artificiale sul piano etico. Ma poco della potenziale “disfunzionalità” che può generare.
Strategie aziendali e re-skilling del capitale umano
Ci preoccupiamo poco di come ottimizzare il funzionamento della tecnologia al servizio delle organizzazioni, di quali rischi corriamo e quali rimedi applicare.
Qui si potrebbe giocare il bivio fra strategie aziendali diverse.
La prima è la Strategia di “efficienza”: se riteniamo accettabili output esteticamente e professionalmente impeccabili, ma sostanzialmente modesti sul piano creativo, il progetto di re-skilling del capitale umano verterà essenzialmente sulle competenze di ottimizzazione massima delle capacità dell’IA, alla ricerca della massima efficienza e riduzione dei costi.
Se invece riterremo indispensabile mantenere elevato il livello di creatività e quindi opteremmo per una Strategia di “efficacia”, il re-skilling del capitale umano dovrà prevedere anche un’attività di formazione alla creatività che “obblighi” le persone ad attivare soluzioni non automatizzate.
La pigrizia come nemico della creatività
Un nemico della creatività, ben più antico dell’AI, è la pigrizia. Brain Rot, cervello marcio, è il neologismo “parola dell’anno” scelta dalla Oxford University per rappresentare il 2024. Si riferisce, agli effetti stordenti di una fruizione eccessiva dei social. Ma se lo proiettiamo al nostro futuro, potrebbe benissimo rappresentare la caduta delle competenze nei nostri talenti fra i knowledge workers, sempre più dipendenti da un utilizzo spinto dell’IA.
Il futuro delle imprese con l’AI: un’analisi distopica?
L’Intelligenza artificiale potrebbe sostituire l’uomo non grazie alle sue intrinseche capacità, ma grazie alla già citata pigrizia dell’essere umano. E qui si riaffacciano i pensatori malvagi, quelli che immaginano un futuro nel quale, per un qualsiasi “down” dei nostri sistemi tecnologici dovranno essere riportati in azienda vecchi professionisti decrepiti, gli unici in grado di far funzionare sistemi aziendali e professionali senza gli automatismi affidabili della tecnologia e della IA.
Conclusioni
La vendetta tardiva dei boomers: un orribile scenario distopico, ma nell’ombra qualche boomer già sghignazza.