L’aumento dei tassi di interesse, un mercato del lavoro sempre più flessibile e un cambiamento del contesto sociale. Sono questi alcuni dei fattori che hanno profondamente modificato il mercato degli affitti in Italia, che negli ultimi anni ha visto un aumento costante dei canoni, soprattutto nelle grandi città.
Se da un lato la domanda di case in affitto è cresciuta – complice la difficoltà di accedere ai mutui e la maggiore mobilità lavorativa – dall’altro i prezzi sono lievitati, rendendo la ricerca di una soluzione abitativa sempre più complessa.
Il ritorno del contratto d’affitto a canone concordato
In questo scenario, la formula del contratto d’affitto a canone concordato sta guadagnando terreno come alternativa conveniente sia per gli inquilini, che beneficiano di costi più contenuti, sia per i proprietari, che possono godere di agevolazioni fiscali e di una maggiore stabilità contrattuale.
E mentre il boom degli affitti brevi ha contribuito a ridurre l’offerta sul mercato tradizionale, la stretta normativa su piattaforme come Airbnb e Booking sta spingendo sempre più proprietari a riconsiderare formule più strutturate e sostenibili nel lungo periodo.
Canoni troppo alti: il nuovo scenario degli affitti in Italia
Qual è la situazione italiana? We Wealth lo ha chiesto direttamente ad alcuni operatori del settore immobiliare.
“Il mercato delle locazioni in Italia negli ultimi 10 anni ha messo a segno un recupero del 33%. Dal secondo semestre del 2015 i valori sono in aumento e dopo il calo avuto nel periodo del lockdown, in cui la domanda si era fermata, c’è stata una ripresa importante. Il 2024 infatti chiuderà con una salita tra le più significative mai registrate, complice la domanda elevata e la bassa offerta abitativa scaturita in molte realtà anche dal fenomeno degli short rent”, dichiara Fabiana Megliola, responsabile Ufficio Studi Tecnocasa.
Il mattone come investimento: quanto rende affittare casa oggi?
Di fronte a un mercato delle locazioni in forte crescita, molti investitori e risparmiatori stanno guardando al mattone non solo come bene rifugio, ma anche come opportunità di rendimento. L’acquisto di un immobile da mettere a reddito, infatti, continua a essere una scelta diffusa, soprattutto nelle città con alta domanda abitativa.
Quanto può rendere, in ottica d’investimento, una casa da affittare?
“La nostra ultima analisi sui rendimenti evidenzia che in media si può ottenere un rendimento annuo lordo del 5,6% – spiega Megliola – In particolare, Genova, che tra le città italiane è quella con i prezzi più contenuti, permette di ottenere un rendimento più elevato che arriva al 7%, mentre Milano, che ha prezzi mediamente elevati, offre un rendimento più contenuto, intorno al 4,7% annuo lordo”.
Il mercato immobiliare italiano: forte domanda ma offerta stagnante
Tuttavia, in questo scenario, mentre la domanda di case in locazione è esplosa in Italia, l’offerta è rimasta stagnante.
“Nelle principali città italiane, il boom degli affitti brevi, particolarmente flessibili e remunerativi, ha comportato una riduzione dello stock di immobili in locazione portando a un aumento dei canoni mensili, che hanno raggiunto negli ultimi anni cifre difficilmente sostenibili. Oggi, chi acquista un immobile con finalità d’investimento, cerca di massimizzare i propri ricavi, trascurando talvolta il tema etico. Per questo motivo abbiamo assistito al boom degli affitti brevi sul mercato: altissimi ritorni, flessibilità estrema e problemi burocratici ridotti al minimo”, commenta Nicolò Martucci, ceo di Dokicasa.
Che poi precisa: “Negli ultimi anni, però, la situazione sembra essere cambiata. Governi e amministrazioni locali hanno cercato di limitare questa forma di affitto, riducendone i vantaggi e cercando allo stesso tempo di incentivare le soluzioni a lungo termine. Oltre a un aumento della cedolare secca su chi genera reddito attraverso le locazioni brevi, le amministrazioni locali hanno posto un focus sul canone concordato, alzando le soglie minime e massime previste dagli accordi, rendendo questa forma contrattuale sempre più conveniente, viste le agevolazioni fiscali che comporta”.
Come funziona il canone concordato
In cosa consiste in particolare il contratto a canone concordato?
I contratti stipulati in regime di canone concordato hanno una durata minima di 3 anni e prevedono una serie di vantaggi significativi per i proprietari di casa dal punto di vista fiscale.
Tra le agevolazioni, è prevista una riduzione dell’aliquota in regime di cedolare secca dal 21% al 10% (in caso di adesione), la riduzione del 30% dell’aliquota Irpef (in caso di regime ordinario) e lo sconto Imu.
Per ottenere questo tipo di incentivi, i locatori si impegnano a scegliere un canone che non superi le soglie definite dagli accordi territoriali, diversi da comune a comune.
Il canone concordato è una valida alternativa agli affitti brevi?
Secondo un sondaggio condotto da Wikicasa insieme a DokiCasa, oltre il 70% dei proprietari sarebbe disposto a passare dal canone libero al canone concordato. A dispetto di quanto uno potrebbe immaginare, in alcune città è già così.
Stando ai dati di Tecnocasa, infatti, se alla fine del 1° semestre 2024, a Milano prevaleva il contratto a canone libero (54,8%), in altre città, come Napoli e a Roma, vinceva già il contratto a canone concordato, con rispettivamente il 47,8% delle sottoscrizioni nel primo caso e addirittura il 65% dei contratti nel capoluogo italiano (vedere tabella sotto).
Affitti brevi, lunghi, transitori: quale contratto scegliere?
“La decisione su quale scegliere dipende dall’orizzonte di investimento e dalla posizione dell’immobile. Gli affitti brevi sono ideali in luoghi con un volume costante di viaggiatori e sono adatti per chi desidera recuperare l’uso dell’immobile rapidamente, ma i costi di gestione possono ridurne la redditività.
Gli affitti lunghi, invece, si adattano bene sia alle città che alle aree meno dinamiche, come alcune province. In questi casi è preferibile tuttavia investire dove c’è una popolazione in crescita per far crescere il valore del proprio immobile.
I contratti transitori offrono, poi, un buon equilibrio tra redditività e flessibilità, ma richiedono una gestione attenta per seguire le normative. Infine. con il canone concordato si ottengono benefici fiscali e si riduce il rischio di morosità grazie a canoni più accessibili”, riassume in poche parole Alessandro Marra, ceo di Domeo.
E Martucci conclude dicendo: “La formula del canone concordato può rappresentare una risposta concreta alla sfida del caro-affitti nelle principali città italiane, come dimostrato a Milano, dove, per quanto occupino ancora una quota residuale sul totale delle locazioni, gli affitti a canone concordato hanno mostrato una crescita esponenziale, con ulteriori margini di crescita”.
Contratti d’affitto a confronto. Canone libero vs canone concordato: cosa conviene?
Nella tabella, Wikicasa ha calcolato il reddito generato da un immobile a un prezzo di locazione vicino alle media di mercato, confrontando il canone libero in regime di cedolare secca (con tassazione al 21%) con quello del canone concordato in regime di cedolare secca (al 10%) e indicando il risparmio annuale stimato.
(Articolo tratto dal magazine di marzo di We Wealth)