miart 2025, tre gallerie da non mancare
Materia fino alla sua sublimazione in forma pura. È la scelta della genovese ABC-ARTE (con delizioso presidio milanese su piazza Sant’Eustorgio) per miart 2025. Forte la presenza di artisti storicizzati, per gli investitori e appassionati meno propensi al rischio: Arnaldo Pomodoro, Nanni Valentini, Mario Schifano e Jerry Zeniuk. Pur con linguaggi e approcci distinti, questi maestri condividono un’indagine profonda sulla materia e sul suo rapporto con il tempo, lo spazio e la percezione. Il gallerista Antonio Borghese:«Quest’anno a miart presentiamo alcuni dei nostri artisti storicizzati di punta. Accanto ad Arnaldo Pomodoro—di cui abbiamo appena inaugurato una mostra personale nella nostra sede di Milano, con il contributo scientifico della Fondazione Arnaldo Pomodoro— ci sono i monocromi di Mario Schifano, le garze e le sculture di Nanni Valentini e le tele di Jerry Zeniuk. Inoltre, chi visiterà il nostro stand (B133) potrà scoprire alcune chicche che abbiamo riservato per l’occasione».

Valentini lavora la ceramica con un linguaggio essenziale e arcaico, trasformando la terra in una superficie vibrante, evocativa della stratificazione temporale. Pomodoro modella il bronzo scavando al suo interno, aprendo varchi che rivelano una tensione dinamica tra struttura e dissoluzione, tra presenza e assenza. A questo dialogo materico si collega Mario Schifano con una selezione di monocromi, opere in cui il colore si riduce all’essenzialità di un’unica tonalità, mantenendo però una forte componente fisica e gestuale. Un percorso che trova la sua evoluzione nelle opere di Jerry Zeniuk. Qui, la pittura si libera dalla gravità della materia per diventare pura luce e percezione, evocando una dimensione spirituale e sensoriale.
Insieme, questi artisti offrono una narrazione in cui la materia si trasforma progressivamente fino a diventare pura forma, esplorando i confini tra il tangibile e l’intangibile, tra il concreto e il metafisico.
Raffaella Cortese – L’Utopia
In occasione del 30° anniversario della sua fondazione, la Galleria Raffaella Cortese partecipa all’edizione 2025 di miart con un progetto curatoriale che indaga il tema dell’utopia. “Indagatori” sono gli artisti: Yael Bartana, Martha Rosler, Marcello Maloberti, Monica Bonvicini e Francesco Arena. L’utopia è interpretata come immediata, sospesa, mediatizzata, metamorfica, silenziosa, provocatoria, in un arco temporale di produzione artistica che va dal 1999 a oggi. Impossibile restare indifferenti.
Sulla parete frontale dello stand campeggia l’opera al neon Utopia Now! (2024) di Yael Bartana. L’opera invita a riflettere sull’urgenza di invocare l’utopia ora, nel presente, enfatizzando il contrasto e la tensione tra speranza e disillusione, in un viaggio visionario che esplora l’interazione tra utopia e distopia.

L’opera Invasion, dalla serie House Beautiful: Bringing the War Home, New Series (2008) di Martha Rosler, considera invece l’utopia come un ideale etico-politico destinato a non realizzarsi a livello istituzionale. Ma comunque in grado di stimolare l’azione politica. Questa serie di fotomontaggi è stata originariamente creata come risposta alla guerra del Vietnam alla fine degli anni Sessanta, poi ripresa tra il 2004 e il 2008 in opposizione alle guerre in Afghanistan e in Iraq. L’opera denuncia l’ipocrisia e lo scollamento tra il comfort delle case americane e la brutalità della guerra.

Da uno specchio vuoto alle manette, le chicche delle gallerie a miart 2025
Con l’opera Via Padova 355 (2024), di Marcello Maloberti, si rimane in bilico tra l’interno e l’esterno, tra realtà e percezione, in un’utopia metamorfica che si modifica o rigenera la funzione originaria degli oggetti, portandoli in una nuova dimensione estetica. L’opera è stata l’immagine guida per la mostra personale METAL PANIC (2024) al PAC di Milano. La fotografia richiama la KASALPUSTERLENGO (2006), in cui Maloberti si è appeso al cartello stradale della sua città natale, simulando una costante precarietà e devozione alle proprie radici socioculturali. In Via Padova 355, l’insegna di Milano sostituisce quella della sua città natale, evocando una nuova appartenenza e una profana caduta dal cielo.

Cartello (2023) di Francesco Arena rappresenta un’utopia silenziosa ma non muta, una riflessione sulla comunicazione come gesto e sull’assenza di parole. Il cartello, privo di messaggio scritto e appoggiato a terra, è sormontato da una candela che vi scioglie sopra la cera, trasformandolo in un simbolo di un impegno non detto, ma comunque presente, in attesa di una voce che lo riporti in vita.

Costituita da una catena che scende dall’alto con le manette pronte per essere indossate, You to Me (2022) di Monica Bonvicini, è sospesa tra immobilità e possibilità di azione. La tensione tra il desiderio feticcio e il suo soddisfacimento voyeuristico apre una riflessione sulle dinamiche di potere legate a genere, società e architettura. L’opera prende vita attraverso la presenza di un performer ammanettato, il cui corpo diventa un dispositivo scenico in grado di evocare sia un senso di prigionia sia di partecipazione attiva.
Bice Lazzari da Kaufmann Repetto
Kaufmann Repetto espone a miart Atelier dell’Errore, Sadie Benning, Katherine Bradford, Gianni Caravaggio, Elene Chantladze, Corydon Cowansage, Simone Fattal, Corita Kent, Kresiah Mukwazhi, Adrian Paci, Skuja Braden, Bice Lazzari. Vale la pena di soffermarsi su quest’ultima, dal 2 aprile esposta in galleria, figura altissima ed emancipata dell’arte del XX secolo. Nata a Venezia nel 1900, Lazzari studia disegno e arti decorative all’Accademia. Ventenne, si dedicherà alle arti applicate per ottenere l’indipendenza economica, collaborando con importanti architetti alla creazione di tappeti, tessuti e borse. È allora che per sperimenta disegni astratti e geometrici, tipici del repertorio Bauhaus e Suprematista.

Nel post seconda guerra mondiale e nel corso degli anni Cinquanta l’artista esplora i linguaggi del post-cubismo, dell’astrazione geometrica e dell’Informale. Il passaggio alla pittura acrilica, rende il suo stile astratto ancora più minimalista e netto. Le sue composizioni, ritmiche, testimoniano l’amore di Bice Lazzari per la musica e la poesia. Nelle opere degli anni ’70, si avvicina sempre più lucidamente a quella sintesi che lei stessa definisce come il “minimo indispensabile”. Muore il 13 novembre 1981 a Roma.
