Excellence, consulenza a parcella conviene sui grandi patrimoni

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Ma il divieto alle retrocessioni sarebbe un problema per la massa degli investitori, ai quali potrebbe essere offerto un servizio meno efficiente

La Commissione europea è intenzionata a trasformare il modello di pagamento della consulenza finanziaria. Ma i clienti come preferiscono retribuirla? Sembrerà un po’ naif, ma in Italia la risposta prevalente a questa domanda è: la vogliamo gratis. Da quanto emerge dall’ultima rilevazione Consob sulle famiglie italiane, il 57% dei clienti dei consulenti finanziari non è disponibile a pagare questo servizio. In verità, la gran parte dei clienti paga indirettamente il proprio consulente sotto forma di retrocessioni, il meccanismo che la Commissione europea, e in particolare la commissaria ai Servizi finanziari, Mairead McGuinness, vorrebbe vietare. Così facendo si restringerebbero i modelli di retribuzione della consulenza finanziaria alla sola parcella.

Secondo la prassi attualmente dominante in Europa, il gestore dei fondi “retrocede” alla banca e al consulente una parte dei pagamenti ricevuti periodicamente dal cliente al quale il consulente ha proposto e venduto il fondo. Quando un accordo di retrocessione c’è, il costo medio del prodotto è più elevato del 35%, aveva calcolato un recente studio fatto realizzare dalla Commissione europea. Per tale ragione, ha argomentato la McGuinness, abolire le retrocessioni abbasserebbe di oltre un terzo i costi che gli europei pagano per investire.

Se il divieto diventasse realtà, nell’ambito della nuova legislazione “Eu retail investment strategy”, i clienti desiderosi di un servizio di consulenza potrebbero solo pagarlo direttamente sotto forma di parcella. Quest’ultima è una forma di pagamento difficile da non vedere, al contrario del meccanismo di retrocessione, che viene ignorato da almeno il 42% dei clienti italiani, i quali dichiarano di ricevere un servizio di consulenza interamente gratuito. Il timore dell’industria della consulenza in numerosi Paesi europei è che l’obbligo di parcella allontanerà gli investitori dal servizio di consulenza, aprendo un “vuoto” o “advice gap”. Un vuoto che, incidentalmente, colpirebbe anche le entrate delle banche: quelle che attualmente ricevono dalle società di investimento, sotto forma di retrocessione.

Consulenza finanziaria: a chi conviene un nuovo modello 

Ma, al di là delle ripercussioni per l’industria del risparmio, quale offre i migliori risultati per l’investitore: la consulenza a parcella fee only o quella basata sulle commissioni relative al collocamento dei prodotti? E’ la domanda alla quale ha cercato di rispondere Excellence Consulting, una società di consulenza specializzata nei servizi finanziari. Per farlo, Excellence ha confrontato i dati disponibili sui costi del modello britannico, nel quale le retrocessioni sono già vietate, con quello italiano, che è quasi esclusivamente basato sul modello commission based.

Secondo i dati della Financial Conduct Authority britannica, ha affermato Excellence, i clienti pagano al consulente in media l’1,9%, suddiviso fra uno 0,8% pagato sotto forma di parcelle al professionista e dall’1,1% in commissioni di gestione sui prodotti. “Il costo dei prodotti è diminuito dopo l’introduzione il 31 dicembre 2012 della Retail Distribution Review (il corrispettivo della nostra Mifid) che ha vietato appunto le retrocessioni, ma non vi è una evidenza certificata da parte della Fca della riduzione dei costi totali a carico del cliente, a causa del contemporaneo aumento delle commissioni di consulenza”, ha affermato Excellence.

E in Italia? La Consob non calcola in modo distinto le componenti di costo suddivise fra consulenza e gestione del prodotto. Il dato certo, comunicato dall’Autorità europea degli strumenti finanziari (Esma), è che i costi di gestione dei fondi in Italia sono fra i più alti d’Europa: le spese totali si attestano al 2,05% per i fondi azionari e all’1,19% per gli obbligazionari. Secondo i sostenitori del modello fee only, questo costo elevato ha molto a che vedere con gli accordi di retrocessione, che contribuiscono ad aumentare i costi finali a carico del cliente – erodendo parte delle performance dei suoi investimenti.

“Nel nostro Paese è vero che non c’è una chiara percezione di come vengano remunerati i consulenti”, si legge nel lavoro di Excellence, “tuttavia va anche menzionato che le banche, in ottemperanza a Mifid 2, devono rendere disponibile ai clienti il rendiconto dei costi, con dettaglio delle spese del cliente per consulenza e prodotti”. Se molti clienti ritengono di non pagare nulla per la consulenza, è perché tale documentazione non viene letta o compresa? “Difficile rispondere, mancano indicazioni oggettive su quanto i clienti leggano o comprendano le comunicazioni sulla trasparenza dei costi e potrebbe essere un punto meritevole di approfondimento”, ha dichiarato a We Wealth Maurizio Primanni, ceo di Excellence Consulting, “sicuramente la strada indicata dalla Mifid 2 è quella di un crescente incremento della trasparenza, ma serve anche la disponibilità da parte del cliente a valutare le informazioni che riceve”.

Se il modello basato sulle retrocessioni venisse vietato, le conseguenze potrebbero variare in modo considerevole, a seconda della fascia patrimoniale nella quale si trova l’investitore. Excellence Consulting ha sostenuto che il modello fee only si adatta meglio al Regno Unito anche perché c’è una maggiore incidenza di grandi patrimoni. “In UK la ricchezza finanziaria media è di circa 140mila dollari pro-capite (2021) e i clienti con ricchezza superiore a un milione di dollari sono circa 2.850.000 (2021)”, ha affermato la società, e “non è conveniente per i consulenti assistere clienti che hanno una ricchezza inferiore a circa 250.000 dollari (2021, fonte: Credit Suisse, FCA)”.

In Italia la popolazione che ha una ricchezza superiore al milione di dollari è la metà rispetto a quella del Regno Unito, pari circa 1.413.000 unità, con una ricchezza media di 117mila dollari pro capite.

“La remunerazione della consulenza basata su commissioni avvantaggia i piccoli clienti che pagano un importo contenuto in valore assoluto e paragonabile ad altre spese che essi sostengono per altri prodotti o servizi professionali”, ha affermato Excellence consulting. Vuol dire che il modello a parcella funziona bene in particolare per i grandi patrimoni? “Questo è indubbio: se c’è una ricchezza media più elevata ci sono sicuramente più opportunità per una consulenza a pagamento”, ha confermato Primanni a questo giornale, “i dati stessi della penetrazione della consulenza fee based in Italia indicano che questa aumenta con l’aumentare della ricchezza”. Questo avviene anche perché una commissione pagata in percentuale diventa via via più “ingombrante” di una parcella fissa, quando le somme investite aumentano. 

Ma cosa potrebbe accadere se un mercato come quello italiano, nel quale molti piccoli investitori sono seguiti da un consulente non retribuito a parcella, venisse colpito da un improvviso cambio di paradigma normativo? Come cambierebbe l’offerta per il mercato di massa in assenza di retrocessioni? L’impressione di Primanni è che difficilmente si osserverebbe un travaso significativo verso la consulenza a parcella, data la poca disponibilità a pagare questo tipo di servizio, ma anche verso le forme di investimento low cost, come i robo advisor. Queste ultime, complice l’età media avanzata degli investitori faticherebbero diventare “mainstream” in Italia, ha affermato Primanni. 

Anche per questa ragione il ceo di Excellence Consulting ritiene che l’eventuale divieto alle retrocessioni aprirebbe in Italia, più che altrove, il problema dell’ “advice gap”: tolta la consulenza commission based, nessun altra forma di consulenza ne prenderebbe il posto per la gran parte del risparmio – né robotica né a parcella. Piuttosto, si potrebbe affermare un modello di semplice collocamento di prodotti, da parte delle stesse banche, che rispetti i criteri di adeguatezza al profilo di rischio del cliente.

Retrocessioni addio? Le banche prendono il rischio sul serio

Il potenziale impatto di questa trasformazione impone mosse strategiche, da parte delle banche, per il mantenimento dei flussi generati dalle commissioni. In tal senso poter contare su asset manager di proprietà dello stesso gruppo bancario può rappresentare un vantaggio, come ha sottolineato l’ad di Unicredit, Andrea Orcel, nel parlare dell’accordo stretto con Azimut anche in relazioni a possibili mutamenti dello scenario normativo sulla consulenza finanziaria. “Avere un asset manager ‘in casa’ è sempre un vantaggio”, ha dichiarato Primanni, “se oggi è solo un’opportunità, domani potrebbe diventare una necessità per sorreggere i margini”.

Fra gli attori bancari seguiti da Excellence, ha affermato Primanni, il rischio che il divieto alle retrocessioni diventi realtà viene preso sul serio: “Il rischio c’è ed è concreto, gli operatori devono valutare quali sono le implicazioni di questo rischio. Credo personalmente – ha aggiunto – che la coesistenza dei modelli fee only e commisson only sia la soluzione migliore, ma se il legislatore sceglierà un’altra strada gli operatori hanno forze e conoscenze per adeguare il modello di business”. Ma il cliente ne trarrà beneficio? “Non è detto che a un miglioramento nella trasparenza”, ha concluso Primanni, “corrisponderà un miglioramento nell’efficienza dei servizi offerti”.

Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.


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