A maggio mi ero occupata del caso Druet v. Cattelan. Avevo intitolato il mio articolo “‘Cera’ una volta un sodalizio …”, perché proprio di sculture in cera e di collaborazione tra autori si parlava.
Per i meno appassionati o attenti, questa la vicenda: l’ottantenne scultore francese Daniel Druet, creatore di innumerevoli figure di cera (in particolare, per il Musée Grévin di Parigi, per cui ha immortalato centinaia di personaggi famosi), alla fine degli anni ’90 inizia a collaborare con Maurizio Cattelan, su commissione del quale realizza, nel corso del tempo, una decina di statue, protagoniste di altrettante opere, divenute celeberrime.
Parliamo della raffigurazione di Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite (La nona ora, 1999, battuto da Christie’s nel 2001 per 886.000 dollari); dell’Hitler bambino inginocchiato in preghiera (Him, 2001, venduto nel maggio 2016, sempre ad un’asta di Christie’s, per 17.189 milioni di dollari), sino ad arrivare al “piccolo Cattelan di Rotterdam”, effigie dell’autore stesso che fa capolino da un buco nel pavimento di una sala espositiva del Museo Boymans-van Beuningen.
Le idee sono, indiscutibilmente, dell’artista italiano, ma la mano è quella dell’“artigiano” francese.
Proprio partendo da questa considerazione – e dopo aver constatato che i tentativi stragiudiziali volti a trovare una soluzione condivisa non avevano sortito esito positivo – la scorsa primavera Druet ha chiesto al Tribunale di Parigi di accertare il suo diritto ad ottenere un risarcimento milionario, sostenendo di aver subito un danno per non essere mai stato citato come esecutore delle nove opere di Cattelan che quest’ultimo gli aveva commissionato tra il 1999 e il 2006.
Particolare degno di nota: la causa è stata intentata nei confronti di Emmanuel Perrotin, titolare dell’omonima galleria, e della Monnaie de Paris, presso la quale, nel 2016, si è tenuta la personale “Not afraid of love”, interamente dedicata al nostro connazionale.
Cattelan, insieme alla sua società Magis, sono stati coinvolti nel giudizio dal museo della Monnaie, il quale li chiama in garanzia, in base al contratto a suo tempo sottoscritto tra l’artista e il museo stesso; Cattelan non è, perciò, controparte convenuta direttamente da Druet innanzi al Tribunale. Lo preciso perché si tratta, come vedremo tra poco, di un elemento che ha assunto un’importanza centrale nella decisione emessa lo scorso 8 luglio.
Ebbene, la domanda a cui il Giudice era chiamato a rispondere è quella (comune ad innumerevoli processi in tema di autorialità e partnership tra più creatori) per cui occorre capire se è autore colui che ha l’intuizione (Cattelan) o colui che realizza materialmente l’opera (Druet).
Parigi ha detto no a DruetIl Tribunale d’oltralpe ha infatti e innanzitutto ritenuto inammissibile la domanda di Druet, per essere stato Cattelan citato non direttamente da Druet medesimo, ma solamente in garanzia dal museo della Monnaie.
Lo ha detto, però, con una motivazione che alle orecchie di diversi giuristi è suonata un po’ troppo “in sordina” o salomonica, per aver affrontato più la questione dal punto di vista procedurale, che sostanziale.
Il Tribunale d’oltralpe ha infatti e innanzitutto ritenuto inammissibile la domanda di Druet, per essere stato Cattelan citato non direttamente da Druet medesimo, ma solamente in garanzia dal museo della Monnaie.
In sintesi, secondo il Giudice francese (ma lo stesso potrebbe dirsi secondo il codice di procedura civile italiano e la relativa giurisprudenza interpretativa), la chiamata in causa a titolo di garanzia è uno strumento processuale per cui un terzo viene reso parte di un procedimento esistente tra altri contendenti originari, senza che si crei, tuttavia, alcun collegamento giuridico-legale tra tale terzo e l’attore principale: ne consegue che tutte le domande proposte da Druet per presunta violazione del diritto d’autore sono irricevibili rispetto alla posizione dell’artista italiano.
Respinta in tal modo la richiesta di Druet, va detto però che la corte non ha del tutto mancato di esaminare la vicenda anche dal punto di vista sostanziale, seppur con un ragionamento piuttosto conciso.
Infatti, il Tribunale di Parigi ha preso in particolare considerazione il fatto che tutte le opere siano state divulgate con il nome del solo artista italiano e che la loro messa in scena sia avvenuta sotto l’esclusiva direzione di Cattelan, “senza la minima partecipazione di Druet nelle scelte relative alla disposizione scenica … o al contenuto del messaggio da veicolare”.
Sulla scorta di questa analisi, è stato affermato il principio per cui “divulgation vaut titre”: l’aver presentato al pubblico le opere in cera ricollegandole al solo nome ed al solo operato di Maurizio Cattelan ha costituito, secondo il Tribunale, un fatto decisivo al fine di far acquisire all’autore la titolarità assoluta ed indiscutibile delle creazioni.
Nel precedente articolo, immaginando che la vicenda venisse discussa davanti ad una corte italiana, avevo ipotizzato un risultato non molto distante da quello emerso dalla sentenza francese.
Anche Parigi, infatti, ha dato peso alla rilevanza della posizione del committente, il quale – di norma, in automatico e salve poche eccezioni – è il titolare dei diritti di utilizzazione economica dell’opera, e dunque l’unico a poterla sfruttare, senza che nemmeno si configuri un trasferimento di diritti dall’esecutore materiale al committente medesimo.
In aggiunta a ciò, peraltro, il Giudice francese ha dato particolare rilievo, nel decidere, all’elemento creativo, pacificamente di Cattelan, non di Druet.
A questo punto, non resta che chiedersi se Druet si darà pace o se, diversamente, ci sarà un processo in appello.
Immagine copertina – Maurizio Cattelan, “La Nona Ora” (The Ninth Hour), 1999, by Mark B. Schlemmer from New York, NY, USA – Guggenheim 2011.