Btp e i suoi fratelli: guida completa ai titoli di Stato italiani

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Una panoramica per conoscere i titoli di Stato italiani, dal Bot al Btp, ai Btp indicizzati e certificati a tasso variabile: come funzionano, come sceglierli

I titoli di Stato italiani sono una famiglia piuttosto variegata, il cui membro più celebre è senza dubbio il Btp. In circolazione, al 30 novembre 2022, ci sono titoli di Stato nazionali per un controvalore da 2.290 miliardi di euro e costituiscono la massima parte del debito pubblico italiano. Il Btp tradizionale vale, da solo, il 74% circa di tutta questa mole di denaro. Con l’aumento dei rendimenti osservato nel 2022 l’attrattiva dei titoli di Stato, da sempre apprezzati dalla clientela italiana, è decisamente aumentata anche agli occhi delle famiglie. Il tasso medio dei bond governativi italiani, all’atto dell’emissione, è passato dallo 0,10% del 2021 all’1,31% al 30 settembre 2022 (ed è successivamente aumentato ancora, anche se questo è il dato ufficiale più aggiornato al momento della nostra pubblicazione). 

Per orientarsi nella babele di sigle, affronteremo uno per uno tutte le tipologie dei titoli di Stato italiani, aggiungendo qualche considerazione operativa sul perché scegliere una soluzione o l’altra. Alcune caratteristiche sono comuni a tutti i bond governativi italiani: ad esempio, il taglio minimo è sempre di 1.000 euro e il rimborso a scadenza (salvo default o l’eventuale indicizzazione all’inflazione) corrisponde sempre al versamento iniziale. Comune è anche la tassazione delle rendite: 12,5% contro il 26% applicato su tutte le altre rendite finanziarie diverse dal titolo di Stato (o dalle polizze vita).
Le principali differenze, dunque, stanno soprattutto nel calcolo della remunerazione e nella durata del titolo. 

I titoli “zero coupon”: Bot

La famiglia dei titoli di Stato venduti “a sconto” o “zero coupon” comprende i Buoni ordinari del Tesoro (Bot) e i Certificati del Tesoro zero coupon (Ctz). Cosa li caratterizza rispetto ai normali bond? “A differenza di altri titoli di Stato, non corrispondono cedole periodiche, ma il loro rendimento è dato interamente dalla differenza tra il prezzo d’acquisto e 100 (cioè il valore di rimborso a scadenza)”, ha dichiarato a We Wealth Lorenzo Brigatti, di Lixinvest. Dal momento che il costo d’acquisto del titolo è inferiore a quello di rimborso, questi titoli sono definiti anche “a sconto”.
In generale, la scadenza dei Bot è mediamente più breve e, anche per questo, prima della risalita dei rendimenti avevano poca attrattiva per gli investitori al dettaglio. Dal 2021 il Ctz, che aveva sempre durata biennale, non viene più emesso, sostituito dai Btp a breve termine. 

Il Bot, invece, resiste e vale il 4,82% di tutto il debito emesso dal Tesoro. Può avere quattro possibili scadenze: a 3, 6, 12 mesi e “inferiore a 12 mesi” ossia flessibile. In quanto titolo a breve termine, la sua funzione nel portafoglio è solitamente difensiva: rende poco ed è considerato un’alternativa alla liquidità. “Non pagando alcuna cedola periodica non sono adatti per chi sta investendo con l’obiettivo di crearsi una rendita periodica, ma vista la loro corta scadenza potrebbero essere usati come “parcheggio” per liquidità che non serve oggi, ma potrebbe essere impiegata nei prossimi anni”, ha affermato Brigatti, “a condizione di portarli a scadenza, per non incappare nel rischio prezzo, cioè dover vendere al prezzo di mercato l’obbligazione prima della sua naturale scadenza”. Lo ricordiamo, se nel frattempo i rendimenti delle emissioni successive aumentano, il prezzo del titolo obbligazionario scende e viceversa (anche se con i titoli a breve scadenza come i Bot questo fenomeno è meno pronunciato).
Il Bot è una buona scelta come parcheggio della liquidità? “E’ bene ricordare che il tasso di interesse che offrono al momento è ben al di sotto del livello dell’inflazione attuale”, ha affermato Brigatti, “in più, esistono prodotti che per la stessa funzione offrono più garanzie (come i conti deposito, protetti fino a 100 mila euro) ed al tempo stesso sono meno esposti al cosiddetto ‘rischio Italia’, cioè il rischio che il governo italiano dichiari un fallimento tecnico e decida quindi di rimborsare meno del capitale investito”. D’altro canto, il conto deposito potrebbe porre vincoli più stringenti sullo sblocco delle somme vincolate, mentre un Bot può essere liquidato in ogni momento, se serve, a prezzo di mercato. “Per concludere, possono essere interessanti solo in alcuni casi particolari, ma la maggioranza degli investitori può usare altri prodotti, più adatti ai loro obiettivi di investimento”. 

Il fascino della cedola variabile: i Ccteu 

Aver acquistato titoli di Stato prima dell’aumento dei rendimenti osservato nel 2022 non avrebbe dato grandi risultati, ma un particolare bond avrebbe reagito meglio ai rialzi dei tassi: il Ctteu. La sua particolarità è la cedola variabile, la cui base è il tasso Euribor a 6 mesi, successivamente aumentato con un margine predeterminato. La cedola viene corrisposta su cadenza semestrale e, alla remunerazione, può aggiungersi un eventuale scarto di emissione – come nel caso dei Bot. La durata in questo caso è più lunga: si parte dai 3 fino ai 7 anni. Dal momento che rendono in base all’andamento del tasso di riferimento Euribor, il quale risente indirettamente della politica monetaria della Bce, i Ccteu diventano interessanti quando si attendono rialzi dei tassi negli anni seguenti. Dal momento che il rendimento si adegua, il prezzo del Ccteu è meno reattivo all’andamento dei rendimenti e quindi è meno volatile rispetto a quello di un Btp. D’altro canto, il rendimento di quest’ultimo è solitamente più interessante. 


Quando può convenire il Ccteu? “Dipende dalle aspettative che si hanno”, ha risposto a We Wealth il presidente di AssoSCF e consulente presso HCinque, Andrea Carboni, “se ci si aspetta un rialzo dei tassi ancora per un anno e poi un nuovo periodo di ribasso sarebbe utile indirizzarsi ora verso il tasso variabile e spostarsi poi sul tasso fisso tra un anno”, liquidando Ctteu e comprando Btp. In generale, il Ccteu rappresenta il 6,56% del debito emesso dal Tesoro. 


Sua maestà il Btp 

Titolo principe della raccolta effettuata dal Tesoro, il Buono del Tesoro poliennale (Btp) si presenta in diverse scadenze. In ogni caso, la sua cedola è fissa (a differenza del Ccteu) e semestrale, anche in questo caso può essere previsto uno sconto sul prezzo di emissione. A differenza del Bot e del Ctteu le scadenze si muovono in una forchetta di opzioni particolarmente ampia da 18 mesi a 3, 5, 7, 10, 15, 20, 30 e 50 anni. I Btp fino ai 30 mesi di durata sono chiamati Btp short term e hanno sostituito i vecchi Ctz, anche se a differenza di questi ultimi, possono pagare cedole (non rendono solo tramite lo sconto di emissione). 

Per capire come scegliere la scadenza “giusta” per le proprie esigenze rimandiamo a un nostro precedente articolo

Nella famiglia dei Btp esistono alcune sottocategorie particolari. Il Btp Green è un titolo che si distingue per un range di scadenze più ristretto, fra i 10 e i 30 anni e, soprattutto, perché vincola lo Stato a utilizzarne i proventi per scopi specifici legati alla transizione ecologica del Paese. 

Nel 2020-21, poi, il Tesoro ha emesso il Btp Futura, che è riservato solo alla clientela al dettaglio (le banche e gli altri investitori istituzionali non possono acquistarlo). La sua durata è compresa fra gli 8 e i 16 anni ed è pensato per incentivare il possesso fino a scadenza dal momento che le cedole tendono a crescere nel tempo (meccanismo ‘step up’) cui si aggiunge un premio fedeltà che aggiunge ulteriore rendimento per i risparmiatori che mantengono il titolo dall’emissione alla scadenza. Nel 2022 la formula non è stata ripetuta, forse perché sarebbe stata estremamente generosa alle condizioni di mercato successive all’aumento dei tassi (su questo il Tesoro, interrogato da We Wealth, non è stato immediatamente disponibile a condividere le sue valutazioni). 

A fine novembre 2022, il Btp Futura vale lo 0,91% delle emissioni del Tesoro. 

I titoli indicizzati all’inflazione Btp Italia e Btp€i 

Una categoria a parte nella famiglia dei Btp è rappresentata dai titoli la cui cedola il capitale sono indicizzati all’inflazione. In particolare, il Btp Italia, che prevede scadenze da 4 a 8 anni, aggiunge un rendimento fisso a una componente variabile determinata dall’andamento dell’indice Foi calcolato dall’Istat – che rappresenta il costo della vita basato sulle spese di “famiglie, operai e impiegati”. Il capitale rimborsato alla scadenza viene rivalutato sulla base della variazione osservata nel medesimo indice. Anche per il Btp Italia è previsto il premio di fedeltà per chi mantiene il titolo dall’emissione alla scadenza. 

Il Btp€i, al contrario del Btp Italia, indicizza le cedole e il capitale rimborsato a scadenza sulla base dell’inflazione dell’Eurozona e, in particolare al tasso armonizzato dei prezzi al consumo calcolato dall’Eurostat. Oltre a questa differenza, rispetto al Btp Italia le scadenze sono più varie e si estendono dai 18 mesi a 3, 5, 7, 10, 15, 20 e 30 anni. E’ meglio ancorarsi all’inflazione italiana o europea? Per un residente fisso in Italia, la prima soluzione sembrerebbe più logica. Le considerazioni su quale inflazione salirà di più in futuro sono, come sempre, complicate. Dall’entrata nell’euro, l’inflazione italiana è stata leggermente più bassa di quella dell’Eurozona anche se la recente crisi energetica ha fatto sì che, ad esempio nell’ottobre 2022, l’indice Foi italiano superasse ampiamente l’indice Hicp di Eurostat (+11,5% contro +10,7%).

Il Btp Italia ha una rilevanza del 3,78%, sul totale del debito emesso dal Tesoro.  

Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.


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