Azionario europeo, i “do’s e don’ts” di Janus Henderson Investors

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Il timore per la recessione e l’hype generato dall’Intelligenza artificiale dividono gli animi degli investitori azionari europei: per evitare di fare passi falsi occorre quindi concentrarsi sul lungo periodo, tastando periodicamente il polso del mercato. La view di Janus Henderson Investors

Da un lato i timori degli effetti della recessione, dall’altro l’hype suscitato dalle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale (IA). In mezzo il trend di disinflazione e la rigidità della BCE, sullo sfondo le tensioni geopolitiche del conflitto russo-ucraino. Gli investitori azionari del Vecchio continente si trovano ad affrontare un panorama complesso, nel quale risulterà fondamentale evitare trappole nel breve termine e posizionarsi correttamente per cogliere le opportunità di lungo periodo. Con Tom O’Hara, Portfolio Manager di Janus Henderson Investors, vediamo come fare (e cosa non fare).

Non lasciarsi suggestionare dalla paura della recessione

La recessione è nei pensieri di tutti, ma per quanto ci si sforzi di guardare dati e forecast, non è possibile prevede quando, con che magnitudo e per quanto tempo essa si verificherà. “Ciò che invece è possibile sapere e che già è noto – spiega O’Hara – è che il mercato azionario funziona secondo un meccanismo di attualizzazione: in altre parole, siamo convinti che alcuni settori all’interno dell’azionario europeo abbiano già scontato gli effetti di una possibile recessione, mentre altri no. In qualità di manager attivi a lungo termine, vediamo positivamente i disallineamenti di mercato, in quanto essi portano con sé numerose opportunità”. L’esperto della casa di gestione angloamericana ritiene che nel Vecchio Continente vi sia un ristretto numero di settori ciclici economicamente sensibili – tra i quali petrolio e gas, materiali e prodotti chimici – rispetto ai quali gli investitori hanno già fattorizzato la recessione nel prezzo delle azioni.

Ma non è tutto, in quanto secondo le previsioni di Janus Henderson Investors anche le aziende di questi settori giocheranno un ruolo chiave in futuro. “L’economia globale, infatti, si è avviata verso una ricalibrazione delle infrastrutture e delle catene di fornitura in un contesto caratterizzato da multipolarismo, tendenze post-Covid e (probabilmente) da un’inflazione più elevata. Ciò detto, crediamo che le aziende di questi settori potranno beneficiare dagli enormi cicli di investimento di capitale nel prossimo decennio. Per questo è importante per gli investitori concentrarsi sui titoli posizionati per performare meglio nel lungo termine, così da costruire un portafoglio adeguato per il prossimo decennio piuttosto che attuare contromisure per gestire le dinamiche di breve termine”.

Avere sempre il polso della situazione

Per quanto rilevante, il tema della recessione non è però l’unico al quale un investitore deve prestare attenzione quando decide se investire o meno in un’azienda. “L’Europa ospita numerose aziende di qualità – osserva O’Hara – ma quest’ultima caratteristica non sempre è sinonimo di una domanda resiliente in un ambiente economico in affanno. Al contrario, le aziende di questo tipo potrebbero rischiare un de-rating nel caso in cui la domanda sia persistentemente inferiore”. Cercare indiscriminatamente rifugio nella ‘qualità’ per evitare l’impatto della recessione potrebbe ritorcersi contro gli investitori, esponendoli potenzialmente a maggiori sofferenze.

“Nell’ultimo decennio- spiega con un esempio il portfolio manager – le aziende del segmento spirits (liquori, n.d.r.) si sono rivelate una buona scelta per gli investitori attivi europei ma quelle stesse aziende stanno oggi vivendo un de-rating causato da un export più debole oltreoceano. Le azioni sono ora negoziate a livelli minimi relativi pluriennali, venendo meno al loro presupposto, non realizzando quella “safety in quality” (sicurezza nella qualità) che molti investitori si aspettavamo. Questi ultimi, infatti devono ricordare che anche le aziende di qualità non sono immuni da tendenze specifiche del settore, ed è per questo che consigliamo di monitorare periodicamente questa asset class”.

Attenzione all’hype dell’AI

Infine, sebbene sia innegabile che l’hype suscitato dagli sviluppi del comparto dell’Intelligenza artificiale (AI) sia stato enorme, con effetti molto positivi sia per i titoli tech per quelli ad essi complementare, così non è stato per gran parte del resto del mercato. Molte aziende, infatti, hanno già sofferto gli effetti del giudizio tranchant degli operatori di mercato secondo il quale queste non potranno sopravvivere in un mondo AI-centrico, come nel caso dei servizi IT o delle etichette discografiche. “Approcciare gli investimenti vedendo solo bianco o nero non è però nella nostra natura di investitori attivi: pur consapevoli delle potenzialità dell’impatto dell’IA, prima di de-valutare un titolo ci assicuriamo con prove tangibili che quest’ultimo sia in effettivamente negativo” osserva O’Hara.

In altre parole, gli investitori attivi dovranno essere pazienti per capire per quali aziende l’AI sarà un’opportunità e per quali invece una minaccia. “A tal proposito, siamo convinti che le aziende che producono beni tangibili e servizi potranno avvantaggiarsi dell’AI per migliorare la propria offerta”. Anche in questo caso, l’esperto della casa porta degli esempi a supporto della view della casa di gestione angloamericana. “Le società che producono beni capitali, che vendono fabbriche completamente automatizzate e digitalizzate continueranno ad aver bisogno della componente ‘hardware e l’IA andrà invece a migliorare quella, con un beneficio complessivo per i clienti. Al contrario, le aziende di tipo asset light e software-type sono più esposte a potenziali effetti negativi dell’AI: necessarie ora meno persone per sviluppare gli stessi programmi, infatti, quest’ultima ha già significativamente ridotto il costo di sostituzione dei loro prodotti” conclude l’esperto.

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