La confluenza in colossi automotive più impersonali e la transizione green hanno indebolito il carattere di certi marchi. In parte è accaduto anche per Alfa Romeo, che un secolo fa era sinonimo di corsa. Lo è rimasta nei decenni a venire, anche nelle versioni berlina destinate alla famiglia. E oggi?
L’ingresso dell’Alfa Romeo in grandi gruppi automobilistici multimarca, a cominciare da Fiat Auto negli anni ‘80, ne ha progressivamente svilito lo spirito sportivo che l’aveva accompagnata dalla nascita fino a quel momento. Le Alfa avevano un innegabile quid che le distingueva da tutte le altre auto: erano immediatamente riconoscibili, indipendentemente dallo stile, poiché avevano un’impostazione e un temperamento che tradiva il dna corsaiolo che le aveva ispirate, e dal punto di vista prestazionale erano sempre una spanna avanti alle concorrenti, grazie all’alto contenuto tecnologico.
Oggi, sia a causa del generale livellamento e alla spersonalizzazione determinati dall’appartenenza a grandi agglomerati che impongono sinergie di gruppo, sia in conseguenza delle politiche sempre più green, non è per tutti così immediato associare il nome Alfa Romeo all’eccellenza nel campo delle competizioni automobilistiche. Con i vari Sivocci, Campari, Brilli-Peri, Ascari, Varzi, Nuvolari, Villoresi, Farina e Fangio, l’Alfa Romeo spopolava, fin dagli anni venti del secolo scorso, nei circuiti di tutto il mondo e nelle corse su strada (Targa Florio e Mille Miglia su tutte), dove rappresentava la vettura da battere. Era talmente sentita questa supremazia da indurre un grande campione come Juan Manuel Fangio a ritenere che per un pilota correre per l’Alfa Romeo era come per un tenore cantare alla Scala di Milano. Era proprio nel dna dell’Alfa Romeo la tendenza a ricercare sempre il massimo livello tecnologico e il top delle prestazioni e non a caso lo stesso Enzo Ferrari, prima di fondare la propria casa automobilistica, correva come pilota su vetture Alfa Romeo per poi diventarne responsabile del Reparto Corse con la sua Scuderia. Istituito nel 1950, il Campionato del Mondo di Formula 1 venne subito vinto dall’Alfa Romeo, un dominio che si ripeté l’anno successivo: due Campionati mondiali, due trionfi.
La superiorità sugli avversari in quel momento era netta, ma scelte imprenditoriali contingenti imposero il concentrarsi di impegni, investimenti e risorse sulla produzione industriale. La Casa si ritirò quindi dalle competizioni, ancora imbattuta. Era in una fase di grande mutamento, di passaggio da una dimensione di alto artigianato e da un catalogo di vetture d’élite, a una produzione su scala industriale rivolta ad una clientela più vasta. In un’Italia appena uscita dalla guerra mondiale, apparivano anacronistiche le pompose e superlative 6C 2500, ottime e prestigiose vetture, ma ormai obsolete ed esageratamente costose. La svolta era rappresentata dalla nuova “1900”, una vettura modernissima, prima Alfa costruita in catena di montaggio e prima Alfa con carrozzeria portante monoscocca, vera artefice e protagonista del cambiamento radicale in atto. Si trattava di una berlina a tre volumi, sobria ed elegante, di notevoli contenuti tecnici e prestazioni da primato, nonostante la scelta di puntare su motori 4 cilindri in luogo dei celebri 6 e 8 C, gravati da maggior imposizione fiscale e costi di produzione oltre che di manutenzione divenuti insostenibili.
Ma era tutt’altro che una scelta riduttiva: i 4 cilindri erano motori in alluminio estremamente raffinati, a cominciare dalla distribuzione a doppio albero a camme in testa, e saranno una pietra miliare per la storia dell’automobilismo nonché uno dei segni distintivi Alfa Romeo per più di quarant’anni. L’architettura complessiva della vettura non era da meno. Le sospensioni anteriori indipendenti, lo sterzo pronto e preciso e la trazione posteriore con ponte rigido conferivano alla vettura una grande tenuta di strada, oltre ad agilità, sicurezza e piacere di guida. Il frontale a tre lobi, con il grande scudetto Alfa al centro e le due prese d’aria laterali, costituirà uno stilema destinato a contraddistinguere le Alfa per lungo tempo, a cominciare dalla Giulietta, presentata poco dopo.
L’impostazione sportiva era inequivocabile, anche se si trattava di una classica berlina a quattro portiere e spazio per ben sei passeggeri. E questo fu subito chiaro a tutti gli appassionati, a cominciare da quel 2 ottobre 1950 quanto la 1900 fu presentata all’Hotel Principe di Savoia di Milano, prima della ribalta inter- nazionale al Salone di Parigi del 1951. “La vettura di famiglia che vince le corse” era lo slogan pubblicitario che adottò l’Alfa Romeo in seguito alle innumerevoli vittorie ottenute dalla 1900, la vettura che accompagnava al lavoro i fortunati proprietari durante la settimana, per poi scatenarsi nelle gare il sabato e domenica.
Le già notevoli prestazioni furono ulteriormente incrementate nella versione TI (Turismo Internazionale) del ‘52, con cavalli portati da 80 a 100 e velocità massima da 150 a 170 km/ora e successivamente nella TI Super, che raggiungeva una potenza di 115 cavalli ed una velocità di 190 km/ora; quest’ulti- ma versione, in livrea rigorosamente nera, parabrezza antiproiettile, tetto apribile e radio ricetrasmittente, sarà adottata dalla Polizia, che la denominò “Pantera”.
Per sfruttare ancor di più questo notevole potenziale, senza tuttavia affrontare ulteriori onerosi investimenti ed evitando di gravare sullo stabilimento ormai a pieno regime, la Casa decise di fornire motore e telaio accorciato (denominato 1900 C) ai geniali carrozzieri indipendenti allora in auge, ottenendo immediati riscontri entusiastici. In due casi si stipularono veri e propri accordi per produzioni in piccola serie ed inserimento delle vetture nei listini ufficiali della Casa. Anzitutto con la Touring, detentrice della formula “Superleggera”, che fu incaricata della produzione di una coupé, la 1900 C Sprint.
E poi Pininfarina, al quale fu affidata la versione cabriolet, che si rivelò troppo in anticipo sui tempi poiché il pubblico non vedeva ancora con favore l’auto scoperta. Il successo maggiore arrise quindi alla versione Touring, la Sprint, che inaugurò anche questa fortunata denominazione, rimasta nella nomenclatura ufficiale di vetture Alfa Romeo e poi adottata anche da altre Case proprio per distinguere le versioni più pepate, come a esempio dalla Triumph per la Dolomite e persino dalla Piaggio per una scattante Vespa 150. Per il design, Touring aveva attinto allo stile della sua precedente 6C 2500 SS Villa d’Este, su richiesta della stessa Alfa Romeo. Manteneva quindi una linea un po’ più classica della stessa berlina, richiamando la forma in rilievo dei passaruota posteriori, un velato accenno ai predellini nei brancardi delle fiancate e ancora, l’andamento dei parafanghi anteriori non del tutto integrati al cofano; il frontale trilobato era lo stesso della berlina.
Era costruita con il metodo Superleggera, mediante fissaggio di pannelli di alluminio su una struttura tubolare, che permetteva un alleggerimento di 100 chili rispetto alla berlina. Il motore potenziato (che sarà poi quello adottato dalla berlina TI) consentì alla Sprint una buona carriera sportiva, grazie alla sua grande guidabilità, alla maneggevolezza, all’affidabilità e alla frenata potente e sicura, garantita dai grossi tamburi che si intravedevano con notevole effetto scenico attraverso le ruote a raggi. La vettura fu aggiornata una prima volta nel ‘54, con la versione Super Sprint (con frontale rivisto e lunotto ampliato) e infine nel ‘56 con una nuova silhouette lineare e più slanciata, su richiesta dalla stessa Alfa Romeo per creare una sorta di family feeling con la linea della nuova Giulietta Sprint, che stava ottenendo grande successo.
Fu soprannominata “Giuliettona”, tanta era la somiglianza con la Giulietta e, pur perdendo in parte il carattere e l’impronta tipicamente Touring, acquisì un equilibrio e una purezza di linee eccezionali. Una versione dipinta in rosso matador ed interni rivestiti in pelle nera fu richiesta e consegnata allo Scià di Persia Reza Pahlavi, per il quale si dice fosse la vettura prediletta, tra le oltre trecento del suo parco auto. Il telaio 1900 C non poteva che far gola anche alla Carrozzeria Zagato, nota per la ricerca estrema della sportività e della massima leggerezza. Zagato seguì al millimetro la forma della meccanica, rivestendone ogni componente come una pelle attillata e perfettamente aderente. L’anteriore ricordava vagamente la fusoliera di un aereo, il muso era molto basso e la linea particolarmente aggressiva.
Era costruita su ordinazione, secondo le specifiche richieste dal cliente, senza uno standard definito. Lo stile era nient’altro che funzionale allo scopo e quindi all’efficacia nelle competizioni, secondo canoni di “bellezza necessaria”, come sostenuto dalla stessa Zagato. Con il motore elaborato da Conrero, si confermò la più veloce delle 1900, una vera sportiva purosangue. Le vetture Zagato, esclusive sia per aspetto sia per rarità (una quarantina di esemplari in tutto), sono oggi le derivate dal telaio 1900 C più ambite dai collezionisti. Sono pezzi da altissima collezione e raggiungono agevolmente nelle aste internazionali cifre vicine e non di rado superiori al milione di euro. Le 1900 di Touring, prodotte in meno di duemila pezzi, sono invece generalmente trattate a cifre vicine ai 3-400.000 euro; quotazioni di poco inferiori alle più rare versioni Pininfarina.