Investire in cryptoassets? Da qualche mese lo si può fare con molte certezze, specie fiscali, in più: diamo un’occhiata al panorama delle possibilità per il singolo risparmiatore. L’attività di compravendita al fine di lucrare plusvalenze sulle criptovalute, così come lo staking e il farming, ha trovato in generale una previsione piuttosto precisa anche a seguito delle normative nazionali (obbligo dal 18 Maggio 2022 di aderire al Registro Oam per gli operatori che intendono operare sul territorio italiano e norme fiscali di trattamento delle operazioni sui cryptoassets di cui alla Legge di Bilancio entrata in vigore il primo gennaio scorso) ed europee (Regolamenti Tfr e Mica).
La nuova tassazione su Bitcoin & co.
Per sommi capi la tassazione dei cryptoassets per le persone fisiche prevede in Italia dal 2023 il 26% di aliquota (sostitutiva qualora non si opti per la dichiarazione analitica), la possibilità di affrancamento del prezzo di carico pagando il 14% e il ravvedimento per la mancata denuncia passata (il quadro Rw della Denuncia dei Redditi resta obbligatorio ma non se si opera a mezzo di un operatore autorizzato) pagando per ogni anno fino al 2017 il 3,5% in caso di realizzo di redditi oltre, in ogni caso, lo 0,5%. “Insiste” inoltre un’importa annua del 2 per mille equiparabile al “bollo titoli” già previsto per le attività finanziarie tradizionali.
In generale il giudizio complessivo sul “combinato disposto” di tali normative è, ancorchè perfettibile e meglio precisabile (in specie dai Decreti attuativi), positivo e consente oggi a chi vuole investire in questo settore di poter usufruire di vari strumenti senza troppi pensieri se non quello di investire consapevolmente e al momento giusto.
Le regole di un buon investimento
In primis abbiamo ovviamente la compravendita di criptovalute (al prezzo spot oppure (come può essere fatto ad esempio sul Nasdaq dove peraltro si sta dibattendo, al momento senza esito, con la Sec sulla possibilità o meno di operare con Etf legati al prezzo spot o al prezzo future) e Nft (che possono essere compravenduti su Marketplaces tipo OpenSea o tramite altri operatori specializzati come ad esempio, per gli Nft artistici, le Case d’asta) da introdurre in e estrarre da un wallet che può essere gestito direttamente (tipo Metamask, a caldo, cioè su un hardware – da una chiavetta usb fino a unità più sofisticate- in rete, o a freddo, cioè tenendolo offline) oppure affidandolo ad un operatore specializzato, che può essere un exchange platform Cex, tipo Binance, o Dex, ma anche una banca tradizionale che preveda questo servizio di custodia per la clientela( ad esempio JP Morgan, Goldman Sachs o Banca Generali). Lo stesso dicasi per le operazioni di “messa a frutto” di assets digitali: nel caso di quelli finanziari la più utilizzata è lo staking (cioè la messa in garanzia, spesso in pool, di criptovalute per aggiudicarsi le fees di validazione di un blocco in una blockchain che utilizza a tal fine il pos).
Secondariamente si può investire acquistando singoli titoli azionari quotati di aziende che operano nel settore crypto, come ad esempio l’exchange platform Coinbase o l’impresa di mining Riot, che sono quotata sul Nasdaq.
È poi possibile investire in Etf anche quotati su Borsaitaliana, come Invesco Coinshare Global Blockchain Ucits Etf, che replicano passivamente il settore contenendo pacchetti azionari di un elevato numero di imprese che vi operano.
Infine l’attività di investimento in cryptoassets può venire realizzata affidandola a Fondi di Private Equity e, ove previsto dalle normative nazionali, a Sicav/Sicaf e Sgr con gli strumenti relativi da queste utilizzabili.
In generale è opportuno ricordare che gli investimenti finanziari in assets digitali sono estremamente volatili e corrono spesso un “rischio controparte” elevato, per cui speculare su di essi può essere molto pericoloso: una cosa è acquistare delle criptovalute per poter pagare in investimento, che so, in un Nft artistico che piace (sul che nulla quaestio), un’altra è farlo a fini meramente speculativi
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