La società di ricerca Chainalysis ha realizzato un report dedicato ai miti crypto per provare a mettere ordine fra le varie critiche mosse contro il Bitcoin
Attorno a ogni fenomeno mediatico che si rispetti sorgono miti e pregiudizi che, spesso, non trovano riscontri pratici. Le criptovalute e il Bitcoin rientrano a pieno titolo fra i fenomeni mediatici controversi anche perché, a sorreggerli, si trova un immaginario anarchico e rivoluzionario secondo il quale gli intermediari finanziari, grazie alla tecnologia blockchain, potranno essere marginalizzati.
Chi ha deciso di esporre una parte del proprio portafoglio a questi prodotti dovrebbe essere consapevole del rischio collegato alla grande volatilità delle criptovalute, una caratteristica che non sembra destinata a cambiare nel prossimo futuro. I più scettici dell’universo crypto, però, mettono in dubbio che queste monete virtuali possano sopravvivere a lungo termine. Per i possessori di criptovalute lo scenario più temibile è il seguente: essendo prive di un controvalore reale, le crypto possono “cadere a zero” qualora non vi sia più una domanda a sostenerne il valore. Benché non siano convertibili in oro o altri beni reali, lo stesso non potrebbe accadere alle monete tradizionali: avendo corso legale, sono un mezzo di pagamento che nessun venditore può rifiutare sul territorio nazionale di riferimento. Come tali, le monete tradizionali sono uno strumento necessario per per la vita di tutti i giorni.
Per provare a mettere ordine fra le varie critiche mosse contro le criptovalute la società di ricerca Chainalysis, una delle più rispettate in ambito blockchain, ha realizzato un report dedicato a “33 miti da sfatare” sulle criptovalute. Ne abbiamo scelti cinque di particolare interesse per chi ha deciso o sta considerando di investire in questo universo. Una scelta che, in ogni caso, resta una scommessa finanziaria caratterizzata da rischi superiori alla media.
1. Le criptovalute sono una moda passeggera
Predire il futuro è un compito impossibile in ogni ambito della finanza. Se si guarda al passato, però, la storia delle criptovalute si è fatta già abbastanza lunga e con molteplici ritorni di fiamma: difficile considerarla una moda passeggera, secondo Chainalysis. “Quindici anni dopo il whitepaper di Satoshi Nakamoto sul Bitcoin, le valute digitali sono esplose dal concetto di un singolo asset digitale a un fiorente ecosistema con una capitalizzazione globale di 1.180 miliardi di dollari”. Inoltre, su 45 Paesi studiati dal Consiglio Atlantico, un think tank basato a Washington, “quasi tre quarti stanno apportando modifiche sostanziali al loro quadro normativo per le criptovalute”. L’idea che i fallimenti di Ftx e TerraLuna possano aver dato un colpo di grazia non convince Chainalysis: nonostante il calo nella capitalizzazione complessiva “il volume delle transazioni è ancora molto più elevato nel 2022 rispetto al 2019 e al 2020, e il numero grezzo di transazioni è più alto che mai”.
2. Le criptovalute sono usate solo dai criminali
Non è un segreto che le estorsioni informatiche siano pagate esclusivamente in criptovalute e che, dalla nascita, il dark web si sia servito del Bitcoin come moneta franca per acquistare armi e stupefacenti. Sarebbe fuorviante, però, considerare questi utilizzi come gli unici o più frequenti in assoluto. Secondo i dati di Chainalysis, la quota di controvalore scambiato in criptovalute collegata ad attività illecite è stata compresa fra l’1,9% e lo 0,12% nel periodo 2017-2022. Si tratta di percentuali che hanno, comunque alcune notevoli limitazioni: non considerano ad esempio casi oggetto di indagine giudiziaria come Ftx né la conversione in criptovalute di denaro guadagnato in modo illecito e convertito in criptovalute per finalità di riciclaggio (“anche se quest’ultima attività può essere tracciata).
3. Le criptovalute sono anonime e non tracciabili
“Le transazioni in criptovaluta sono sempre state ‘pseudonime’, in quanto legate a un indirizzo statico e visibile al pubblico – non anonime, come molti credono”, ha affermato Chainalysis. Tanto è vero che in diversi casi è stato possibile rintracciare i portafogli appartenenti a organizzazioni criminali che si erano servite di pagamenti in criptovalute. “Lungi dall’essere anonima, la blockchain ha prodotto il sistema finanziario più trasparente e democratizzato che il mondo abbia mai visto, con tutte le transazioni registrate in un libro mastro pubblico”, ha affermato la società di ricerca, “tuttavia, per monitorare efficacemente le attività o rintracciare i criminali, è importante disporre degli strumenti giusti, ed è qui che entrano in gioco le piattaforme di analisi della blockchain. Le aziende di criptovaluta, le istituzioni finanziarie e le forze dell’ordine”.
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4. Le criptovalute non hanno casi d’utilizzo nel mondo reale
L’uso delle criptovalute come mezzo di pagamento, nei Paesi caratterizzati da monete il cui valore non è particolarmente instabile, non è mai stato molto rilevante. La stessa cosa, però, non può essere detta nelle realtà economiche caratterizzate da un’inflazione fortemente collegata a un utilizzo troppo disinvolto della monetizzazione del debito pubblico, che porta a un costante deprezzamento delle monete nazionali. I livelli più elevati di “crypto adoption”, ossia di utilizzo concreto delle criptovalute nel mondo reale e non solo come mezzo di investimento/speculazione, si trovano in Paesi in via di sviluppo che, non di rado, hanno monete poco adatte a diventare una riserva di valore credibile. L’esempio più lampante, è quello del Venezuela, la cui moneta nazionale fatica a mantenere il proprio valore: gli autori del paper hanno calcolato che nel 2022 “i venezuelani hanno ricevuto oltre 37,4 miliardi di dollari in criptovalute”. Altri casi d’utilizzo sottolineati da Chainalysis è quello delle rimesse degli emigrati verso il proprio Paese d’origine o altre forme di trasferimenti di denaro transfrontalieri come le donazioni. Si stima, ad esempio, che siano arrivate in Ucraina donazioni crypto per un controvalore di oltre 56 milioni di dollari. La diffusione dell’e-commerce, inoltre, potrebbe ulteriormente spingere l’utilizzo di forme alternative di denaro: secondo un recente sondaggio il 46% degli store online che contano oltre 250 milioni di dollari di vendite annue accetta già le criptovalute come forma di pagamento. Anche per questa ragione, la gran parte delle banche centrali mondiali sta quantomeno esplorando la possibilità di lanciare una versione digitale delle loro moneta tradizionali: uno degli obiettivi, come affermato dalla Bce nel caso dell’euro digitale, è mantenere la centralità della moneta nazionale come strumento più diffuso per i pagamenti. Da questa centralità dipende l’efficacia della politica monetaria come strumento per indirizzare l’economia verso obiettivi di interesse comune.
5. Le monete digitali delle banche centrali (Cbdc) renderanno le crypto obsolete
Le banche centrali hanno previsto che le loro Cbdc avranno una maggiore rapidità ed efficienza di utilizzo, unita alla credibilità di una moneta emessa da un’istituzione ufficiale. Con queste premesse, perché i cittadini dovrebbero utilizzare criptovalute o stablecoin per acquistare beni e servizi? Le criptovalute cesseranno di avere vantaggi competitivi quando le monete digitali delle banche centrali diventeranno una realtà (oggi esistono solo in Nigeria, Giamaica e Bahamas)? Chainalysis non la vede in questo modo: “Così come oggi coesistono molte valute e circuiti di pagamento, in futuro potrebbero coesistere anche le criptovalute e le Cbdc”, hanno affermato i ricercatori, “se le criptovalute come il Bitcoin sono state inventate in parte per rispondere ad alcune sfide associate alle valute fiduciarie, come l’inflazione, oggi il loro scopo e il loro potenziale vanno oltre la semplificazione della finanza. I casi di utilizzo delle criptovalute e della blockchain continuano a crescere, anche nello spazio nascente ma in rapida espansione del Web3”.